URBANI: IL CODICE DEI BENI CULTURALI DIFENDE I TESORI ITALIANI

Di fronte alla crescente complessità nello sviluppo del territorio italiano e al cambiamento del quadro istituzionale con la modifica del Titolo V della Costituzione – ha spiegato il ministro per i Beni e le Attività Culturali, Giuliano Urbani – è stato necessario aggiornare le norme riguardanti la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico nazionale, risalenti al 1939.

Il codice, con una decisa semplificazione legislativa, fornisce uno strumento unico e certo per difendere e promuovere il tesoro degli italiani, coinvolgendo gli enti locali e definendo in maniera irrevocabile i limiti dell’alienazione del demanio pubblico, che escludera’ i beni di particolare pregio artistico, storico, archeologico e architettonico’. Il cardine attorno al quale ruota il Codice e’ l’art. 9 della Costituzione, in forza del quale la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

All’interno del ‘patrimonio culturale nazionale’. Ma da oggi cosa cambia? ‘La riforma del Titolo V della Costituzione – ha spiegato Urbani – ha distinto l’attivita’ di tutela da quella di valorizzazione, cosa che, dal punto di vista scientifico, non appare giustificata e, dal punto di vista amministrativo, crea non pochi problemi.

Soprattutto essa ha, in una certa misura, amputato la stessa funzione di tutela, sottraendole quell’insieme di attivita’ che della tutela stessa rappresentano lo sbocco necessario: si individua, si protegge e si conserva il bene culturale affinche’ possa essere offerto alla conoscenza ed al godimento collettivi.

Il codice, quindi, ha avuto l’arduo compito di ricomporre la materia sulla base dei nuovi equilibri costituzionali. E’ stata ricercata una soluzione equilibrata prevedendo – ha proseguito il ministro – in primo luogo, ampi margini di cooperazione delle regioni e degli enti territoriali nell’esercizio dei compiti di tutela; dall’altro, distinguendo concettualmente la fruizione dalla valorizzazione propriamente detta e privilegiando, nell’esercizio di entrambe le funzioni, il modello convenzionale: Stato, regioni ed enti locali agiscono sulla base di programmi concordati con l’obiettivo di costituire un sistema integrato di valorizzazione’.

Per quanto riguarda, in particolare, la funzione di tutela, si e’ tenuto conto della necessita’ di assicurare sull’intero territorio nazionale un’azione il piu’ possibile coerente e rispondente ad una logica unitaria di intervento, in modo da non creare, in un settore cosi’ delicato, frammentazioni e disparita’.Si e’ inoltre individuato nel Ministero il titolare ‘naturale’ delle funzioni sopradette, prevedendo tuttavia la possibilita’ che il relativo esercizio avvenga anche attraverso il conferimento, sulla base di appositi atti di intesa e coordinamento, di specifici settori di attivita’ in primis alle regioni e in via subordinata anche agli enti locali, quando cio’ risponda ad una piu’ puntuale ed opportuna applicazione dei principi di sussidiarieta’ e differenziazione. Di pari passo sono state meglio definite le nozioni di ‘tutela’ e di ‘valorizzazione’, dando loro un contenuto chiaro e rigoroso e precisando in modo univoco il necessario rapporto di subordinazione che lega la valorizzazione alla tutela, cosi’ da rendere la seconda parametro e limite per l’esercizio della prima. Con questo provvedimento si e’ comunque ritenuto di confermare in capo alle regioni a statuto ordinario l’ambito oggettivo delle attribuzioni ad esse precedentemente conferite in via di delega, concernente quella parte dei c.d. ‘beni librari’. Relativamente ai beni culturali di proprieta’ privata, con il codice si e’ colta l’occasione per prevedere una forma di ‘giustiziabilita” interna della dichiarazione di interesse culturale.Lo strumento del ricorso amministrativo consente all’Amministrazione di riappropriarsi di una funzione di controllo di merito sui propri provvedimenti. In tal modo, si e’ offerta ai destinatari di un provvedimento di dichiarazione l’opportunita’ di far emergere elementi nuovi o non sufficientemente valutati o per far rilevare eventuali vizi dell’atto, soprattutto sotto il profilo tecnico. Il codice ha preso spunto dalla possibilita’ di affidare beni archivistici in temporanea custodia all’Amministrazione, al fine di estenderla ad ogni tipologia di bene culturale.Constatato che lo strumento del deposito non e’ del tutto idoneo allo scopo, si e’ ritenuto che per l’affidamento di beni culturali privati a strutture museali statali, fosse piu’ adatto l’istituto civilistico del comodato. Il codice disegna inoltre la nuova disciplina dell’alienabilita’ dei beni culturali di proprieta’ pubblica, affermando che il principio che i beni culturali appartenenti al demanio dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali non possono essere alienati o formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi previsti dallo stesso codice, in modo da riportare unita’ e chiarezza nella disciplina di settore.Sulla base di tale principio si e’ quindi provveduto ad individuare un nucleo di beni culturali demaniali sottratti in modo assoluto alla circolazione. Il codice opera inoltre una modifica sostanziale della disciplina del controllo sulle autorizzazioni paesaggistiche, oggi soggette all’annullamento ministeriale (per soli motivi di legittimita’). ‘Dopo oltre sessanta anni dalle leggi Bottai del 1939 sulle cose d’arte e sulle bellezze naturali, – ha dichiarato il Ministro Urbani – con il Codice dei beni culturali, per la prima volta, e’ stata tentata una risistemazione aggiornata (e non solo compilativa come e’ invece avvenuto per il Testo Unico del 1999) del corpus normativo sui beni culturali. Il rispetto per l’impianto fondamentale della tradizionale disciplina dei vincoli in tema di beni culturali in senso stretto non ha impedito l’introduzione di importanti riforme dei singoli istituti.Sono inoltre stati introdotti nuovi modelli di gestione e di valorizzazione capaci di coniugare al meglio le esigenze prioritarie della tutela con una visione moderna del bene culturale, inteso anche come risorsa. Per quanto riguarda il paesaggio, e’ stata operata una vera rivoluzione copernicana che permettera’ di superare l’empasse amministrativa dovuta al continuo conflitto con le istanze regionali e locali di pianificazione del territorio. Si giunge cosi’ ad una pianificazione e gestione del paesaggio in accordo con le realta’ territoriali, ma pur sempre capace di salvaguardare gli straordinari caratteri culturali dei paesaggi italiani come patrimonio identitario dell’intera collettivita’ nazionale’.

Autore: Redazione

Fonte:CulturalWeb