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L’AQUILA. Il Maestro di Campo di Giove. Ricomporre un capolavoro.

Il furto, nel 1902, degli sportelli della Custodia di Sant’Eustachio privò l’arte abruzzese di un tassello importante per la ricostruzione della pittura centro italiana del XIV secolo oltre che del ciclo narrativo più grande dedicato alla figura del santo. Dopo il furto l’opera fu tagliata nelle scene che la componevano, immesse come “tavolette” sul mercato antiquariale.
Nel 2022, grazie all’acquisto da parte del Ministero della cultura di quattro tavolette sul mercato antiquario, il Museo Nazionale d’Abruzzo ha oggi nelle sue collezioni otto delle sedici scene che raccontano la storia di Sant’Eustachio.
Dall’importante acquisizione è nata l’idea della mostra curata da Federica Zalabra e Cristiana Pasqualetti che, grazie anche al generoso prestito di una collezione privata, espone, assieme per la prima volta dalla dispersione, le tredici tavolette finora rintracciate e, grazie alla collaborazione con la Diocesi di Sulmona, la statua del santo un tempo conservata nella Custodia. Un’occasione fondamentale per poter studiare l’ancora anonimo Maestro di Campo di Giove e apprezzare l’aspetto originale della Custodia grazie a una ricostruzione virtuale basata sui documenti esistenti.
Accompagna la mostra una ricostruzione virtuale della Custodia, un video animato per raccontare ai bambini la storia di Eustachio, una App per indagare scientificamente le opere attraverso le indagini multispettrali e tre pannelli tattili per non vedenti la cui modellazione digitale, grazie alla collaborazione con l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, è stata realizzata da Simone Rasetti.
Per migliorare l’esperienza di visita e facilitare l’accesso ai contenuti, sono stati, inoltre, allestiti pannelli didattici e didascalie estese in italiano e inglese, disponibili sul web anche in formato audio, accedendo ad essi tramite il QR Code.
Ad accompagnare la mostra, il Museo Nazionale d’Abruzzo pubblica Il Maestro di Campo di Giove. Ricomporre un capolavoro, il primo volume della collana “Note dal MuNDA” che raccoglie gli studi e le ricerche condotte sulle opere esposte, oltre ai due saggi delle curatrici. Un’ampia selezione di immagini invita ad un approfondimento sul tema della mostra.

Catalogo:
Il Maestro di Campo di Giove. Ricomporre un capolavoro, al MuNDA – Museo Nazionale d’Abruzzo – Via Tancredi da Pentima (ex Mattatoio) – 67100 L’Aquila
a cura di Federica Zalabra, Cristiana Pasqualetti
2023, 124 pp.
Brossura, 20×24 cm
ISBN: 9788891328427

Info:
Museo Nazionale d’Abruzzo, Sala Francescana,dal 26 maggio al 3 settembre 2023.
L’accesso alla mostra è incluso nel biglietto di ingresso.
Orari e biglietti del MuNDA:
dal martedì alla domenica 8.30/19.30 ultimo ingresso ore 19.00
biglietto intero 4 €, ridotto 2, gratuito al di sotto dei 18 anni

Vedi: https://museonazionaledabruzzo.cultura.gov.it/il-maestro-di-campo-di-giove-ricomporre-un-capolavoro/

PIEVE DI CADORE (Bl). restauro della pala realizzata da Tiziano per la Chiesa Arcidiaconale di Pieve di Cadore.

Tiziano, forse con l’aiuto della bottega, l’aveva dipinta tra il 1559 e il 1568 per la cappella gentilizia della famiglia Vecellio nella parrocchiale del suo paese natale, a Pieve di Cadore, e aveva anche voluto inserirci un suo autoritratto, dipendente da quello celebre ora al Prado, a memoria eterna del legame con la sua terra.
Da allora per quasi 460 anni, sfidando addirittura la mala sorte di ben due furti, la “Madonna col Bambino tra i santi Tiziano, Andrea e un accolito” è rimasta nella cittadina veneta e per lo più nell’ambiente sacro per il quale era stata voluta: la Chiesa di Santa Maria Nascente (così riconsacrata dopo la distruzione settecentesca dell’edificio gotico originario) sede dell’Arcidiaconato del Cadore, luogo di pellegrinaggio imperdibile per studiosi e amanti dello straordinario pittore veneziano.
Da questa estate la pala di Tiziano potrà essere ammirata nello splendore dei colori originali e della luce tizianesca, grazie allo straordinario restauro promosso e finanziato della Fondazione Tiziano e Cadore in occasione del suo ventennale insieme alla ditta Galvalux di Pieve di Cadore per volontà della famiglia De Polo e di tutti i soci. Galvalux, realtà imprenditoriale cadorina, è l’esempio del più prestigioso connubio di applicazione del colore tra lavoro artigianale e applicazione industriale made in Italy a supporto dell’alta moda internazionale. Il progetto è portato avanti in in accordo con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Βelluno, Padova e Treviso e con l’Arcidiaconato del Cadore con Monsignor Diego Soravia.
Da giovedì 4 maggio infatti la preziosa tela, che soffriva della perdita di spessore del pigmento originario e versava ormai in mediocri condizioni conservative, è stata trasferita in un laboratorio allestito appositamente nella vicina Casa di Tiziano l’Oratore – il cugino del pittore ricercato dalle principali corti europee del XVI secolo – sede appunto della Fondazione.
Qui saranno effettuate tutte le analisi diagnositiche non invasive con le più aggiornate tecnologie per ottenere per la prima volta informazioni fondamentali per lo studio dell’opera vecelliana e quindi si procederà alla pulitura e al restauro conservativo della pala affidati alle mani esperte di Francesca Faleschini, cui si deve anche il recente restauro dell’Annunciazione di Tiziano a Treviso.
Nei programmi la pala, valorizzata da un nuovo sistema di illuminazione, sarà ricollocata entro fine giugno nella Chiesa Arcidiaconale di Pieve di Cadore – che in questi anni è stata a sua volta oggetto di aggiornamenti tecnologici e di restauri, compreso l’intervento in corso sull’organo “Bazzani” – con l’inaugurazione e i festeggiamenti dovuti per questo dono al territorio e alla cultura.
Studio, ricerca, recupero e conservazione, valorizzazione, senso della comunità, genius loci sono del resto le parole d’ordine che muovono da sempre la Fondazione Tiziano e Cadore presieduta da Maria Giovanna Coletti che, istituita vent’anni fa nel suggestiva località ai piedi delle Dolomiti bellunesi, è diventata un punto di riferimento e un motore imprescindibile nello studio di Tiziano grazie al coinvolgimento dei più importanti studiosi dell’artista a livello internazionale.
La pala di Pieve di Cadore è un’opera di indubbio significato anche dal punto di vista biografico e personale del Maestro, considerata quasi un quadretto familiare.
La tradizione e alcune delle prime fonti sostengono infatti che nel dipinto vecelliano il volto del santo barbuto raffiguri Francesco, il fratello di Tiziano, mentre nel vescovo si tende a riconoscere i lineamenti del figlio Pomponio o del nipote Marco – continuatore dell’attività della bottega di Venezia; infine nell’immagine della Madonna la figura di Lavinia, la figlia deceduta dopo il gennaio 1574 e prima del 27 agosto 1576.
Non si può dire al momento, visto il passare del tempo e le sorti avventurose subite dall’opera, quanto queste identificazioni siano effettive, ma è evidente e noto il coinvolgimento emotivo e fattuale del clan Vecellio nella sua conservazione.
Il restauro della pala di Pieve di Cadore segnerà un ulteriore passo fondamentale nella conoscenza della produzione pittorica del sommo artista e i risultati conseguiti, le ricerche relative all’opera e al contesto, saranno al centro di un volume scientifico pubblicato il prossimo autunno dalla Fondazione, a cura di Stefania Mason presidente del comitato scientifico della stessa, con saggi di Don Paolo Barbisan, Elisa Buonaiuti, Davide Bussolari, Alessandra Cusinato, Enrico Maria Dal Pozzolo, Francesca Faleschini, Nicole de Manincor.

Fonte:
Antonella Lacchin – Email: lacchin@villaggio-globale.it – M. +39 335 7185874
Via Trieste 8, Mogliano Veneto, TV 31021

FIRENZE. La millenaria abbazia di San Miniato al Monte ritrova il «sorgivo nitore».

Dopo circa un anno si sono conclusi, grazie al sostegno della Fondazione «Friends of Florence» e al dono della consigliera Stacy Simon in memoria del marito Bruce, i restauri nella Basilica di San Miniato.
Realizzati sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza, ed in particolare della funzionaria Maria Maugeri, con un team di restauratori e professionisti della diagnostica e della conservazione, gli interventi hanno riportato l’edificio al suo «sorgivo nitore», ma senza mai turbare la vita della comunità monastica benedettina, come osserva l’abate di San Miniato padre Bernardo Gianni.
I restauri del pulpito (che poggia dal lato del camminamento, su due colonne in breccia con capitelli in marmo in stile corinzio composito) e della transenna, posta sul presbiterio a separare lo spazio della Gerusalemme Celeste dedicato alla preghiera, sono iniziati nella primavera del 2022. Si tratta di due pezzi unici dell’arte romanica, ampiamente studiati da Guido Tigler e da Nicoletta Matteuzzi che li hanno datati in un periodo compreso fra il 1160 e il 1175. Pur coperti da depositi coerenti e incoerenti, erano in discreto stato conservativo. Nella transenna, manutenzioni e restauri eseguiti nel tempo erano distinguibili per una cromia leggermente più chiara dei materiali utilizzati. Più preoccupante risultava invece l’alterazione sull’altare, di esecuzione più tarda, in corrispondenza della cornice marcapiano, degli archi e della zoccolatura che appoggia sul sedile di marmo. Il restauro è stato svolto da Daniela Manna, Marina Vincenti con la collaborazione di Laura Benucci, Vittoria Bruni, Elisabetta Giacomelli, Simona Rindi.
Sul retro della transenna le pitture murali, risalenti probabilmente al periodo più antico della chiesa (secoli XIII-XIV) ed eseguite in parte a calce in parte a buon fresco, con elementi decorativi architettonici, finti marmi, cornici e ed iscrizioni in latino, presentavano ridipinture a tempera lavabili, ora rimosse dal restauro eseguito da Bartolomeo Ciccone, Donato Ciccone e Sara Chiaratti.
Il «Cristo Crocefisso» in terracotta invetriata, attribuito da Giancarlo Gentilini alla bottega dei Buglioni e datato 1515 circa, presentava, oltre a un elevato strato di deposito atmosferico, vecchie integrazioni pittoriche sul perizoma e sulle braccia e una mano totalmente staccata e sorretta da chiodi, forse a causa dei vari spostamenti subiti. Come suggerisce anche la doppia croce lignea, una più piccola e antica, l’altra più recente, faceva forse parte di una pala più completa. La composizione è autoportante, tale che ogni pezzo va a incastrarsi con quello adiacente. Da una visione laterale il Cristo si presenta con esigui spessori, mentre la testa è realizzata in altorilievo e ben svuotata dall’interno. L’intervento conservativo di Filppo Tattini ha previsto lo smontaggio del Crocefisso dai supporti lignei, una pulitura superficiale con la rimozione o la riduzione a livello della superficie originale dei vecchi interventi alterati. La mano è stata ripulita e incollata nella corretta posizione.
Il mosaico del catino absidale (55 mq circa di superficie), costituito da tessere lapidee dipinte, vitree, a lamina d’oro, ceramiche, è stato restaurato a cura della ditta Habilis S.r.l. di Andrea Vigna e Paola Viviani (con la collaborazione di Stefania Franceschini, Chiaki Yamamoto, Eleonora Bonelli, Arianne Palla, Giulia Pistolesi, Marialuce Russo). Realizzato in più fasi dagli anni Settanta del Duecento, ben comprese nel corso delle accurate indagini, presentava depositi incoerenti e coerenti, atmosferici e nerofumo, lesioni e difetti di adesione degli intonaci, sollevamenti di singole tessere e di strati più superficiali, numerose stuccature alterate e debordanti ed estese ridipinture. Il restauro ottocentesco per opera di Antonio Gazzetta aveva comportato un rifacimento con la tecnica indiretta.
Infine, sul Busto reliquiario di san Miniato (la cui proposta di restauro aveva vinto la V edizione del «Premio Friends of Florence Salone dell’Arte e del Restauro» di Firenze organizzato dalla Fondazione in collaborazione con il Salone omonimo), è intervenuta Anna Fulimeni con la collaborazione di Francesca Rocchi. Realizzato in legno, stucco e cartapesta nel 1420 circa, il busto ritratto del soldato armeno ucciso dall’imperatore Decio e ritenuto primo martire della città è stato oggetto di diverse proposte attributive, tra cui quella di Carlo Del Bravo ad Antonio Federighi e di Luciano Bellosi a Donatello o a Nanni di Bartolo (documentato al suo fianco a partire dal 1419). Compromesso da alcune rotture nella struttura e con ridipinture, specie nel volto, e numerosi sollevamenti del colore e della doratura, il busto ha ora recuperato i valori espressivi che ne rendono più leggibile la concezione di statua a tutto tondo con notevole qualità dell’intaglio anche nel retro. È riemersa la policromia diafana dell’incarnato del giovane santo con sul capo una corona impreziosita da gemme che affonda nella massa dei capelli dorati. Degna di nota è poi la raffinatezza della veste frastagliata e della posa delle mani.
Per i restauri alla transenna, al pulpito, all’abside e all’altare le indagini scientifiche sono state condotte da Donata Magrini, Barbara Salvadori, Silvia Vettori dell‘Ispc-Cnr (Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Firenze; Cristiano Riminesi e Barbara Salvadori hanno curato invece il mosaico nel catino absidale. Le indagini con spettrometro ELIO a raggi X sono state a cura del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Firenze (Alba Santo, Sara Calandra); le indagini petrografiche su campioni di colore del Busto di san Miniato sono di Marcello Spampinato, mentre quelle diagnostiche a cura di TC c/o l’Istituto Fanfani di Firenze (Cecilia Volpe); Teobaldo Pasquali, infine, ha condotto le indagini Rx, Uv, Ir.

Autore: Laura Lombardi

Fonte: www.ilgiornaledellarte.com, 2 maggio 2023

TRIESTE, Parco di Miramare. Apre il Castelletto.

Un restauro minuzioso che ha restituito il tono sobrio dello spirito cui l’edificio e il decoro delle sale sono stati improntati.
“Guardando ora il Castelletto è come se comprendessimo che da sempre così era stato e doveva essere”.
Un castello in miniatura, con un suo carattere particolare, al tempo semplice e prezioso.
Oggi viene restituito alla collettività ed ai tanti appassionati visitatori di Miramare l’edificio più antico del Parco, che ospitò Massimiliano d’Asburgo e la sua consorte Carlotta del Belgio in attesa che fosse completato il Castello, dopo un restauro minuzioso e condotto nel pieno rispetto della storia, degli stilemi costruttivi e delle caratteristiche originarie.
In scala ridotta, il Castelletto di Miramare ha lo stesso stile della dimora nobiliare voluta da Massimiliano d’Asburgo e dalla consorte Carlotta del Belgio. La memoria recente ricorda l’edificio nella sua veste di colore giallo ocra ergersi nel Parco di Miramare dominante in un punto panoramico a picco sulla baia di Grignano.
“Il Castelletto è stato trattato nel corso di questo lungo e accurato restauro come un unico pezzo da collezione – ha detto nel giorno dell’inaugurazione il direttore del Museo storico Andreina Contessa -, di cui si voleva preservare l’atmosfera elegante, semplice e intima, propria degli appartamenti privati dei giovani arciduchi che l’hanno abitato per pochi anni”.
Progettato da Carl Junker nel 1856, il Castelletto -, chiamato anche Klein Schloss o Gartenhaus -, fu ultimato in circa un anno e utilizzato da Massimiliano e Carlotta saltuariamente fino al 1860, in attesa che fosse completata la costruzione del Castello.
Negli anni successivi fu destinato a dépendance per gli ospiti: vi soggiornarono, tra gli altri, la madre e i fratelli minori di Massimiliano. Tra il 1866 e il 1867 Carlotta, rientrata dal Messico, visse qui per alcuni mesi, finché rientrò in Belgio presso la famiglia.
“Questo castello in miniatura ha un suo carattere particolare – ha aggiunto il direttore Contessa -, al tempo semplice e prezioso. Il primo piano è scrigno unico perfettamente conservato dello stile tipico della metà dell’Ottocento e del gusto eclettico del committente, con le sale nei diversi stili reinterpretati dal gusto ornamentistico dell’epoca. Si capisce perché questo luogo abbia un’attrattiva speciale per il pubblico; è un eccellente esempio di come il restauro possa essere rispettosissimo, esteticamente poco invasivo, quasi sottotraccia, eppure sappia restituire le atmosfere di cui tutti siamo alla ricerca. Non il tempo perduto, ma un tempo che ha concluso il suo corso, rimanendo però parte della storia e della cultura del luogo”.

L’edificio si sviluppa su due piani. La pianta irregolare e i quattro prospetti diversi tra loro, unitamente alla presenza di bow-window e terrazze e allo slancio della caratteristica torretta, generano un gioco di volumi particolarmente movimentato; il linguaggio architettonico è il gotico quadrato che caratterizza anche il Castello, di cui il Castelletto doveva rappresentare una sorta di versione in miniatura. Come nell’edificio principale, che però è realizzato in pietra, il colore delle facciate era chiaro, come attestato dalle foto d’epoca e dai saggi stratigrafici effettuati nell’intonaco; tale cromia è stata ripristinata con il restauro, mentre in precedenza le facciate apparivano di un colore ocra intenso che ricopriva anche parte degli elementi in pietra.
Nel corso del tempo l’edificio ha avuto varie destinazioni d’uso e ha subito diverse modifiche, pur preservando il suo originario aspetto complessivo. Le prime modifiche alla pianta avvennero già in epoca asburgica, con la modifica ad alcune partizioni interne; negli anni Trenta del Novecento il Castelletto fu destinato a museo, dove trovarono posto arredi e opere d’arte del Castello non utilizzati dal duca d’Aosta. In quell’occasione furono installati l’impianto di riscaldamento e quello elettrico, e furono eliminate le decorazioni originarie al piano terra. Nel secondo dopoguerra ospitò per un periodo la Galleria Nazionale d’Arte Antica.
Infine, in occasione della ristrutturazione eseguita nei primi anni Novanta per ospitare la sede del WWF che coordinava la Riserva Marina Protetta di Miramare, sua ultima destinazione d’uso, al piano terra furono realizzati spazi espositivi che prevedevano la presenza di ingombranti allestimenti interni la cui ha lasciato pesanti tracce negli ambienti del piano terra. Dal 2016 il Castelletto è rimasto chiuso.

“I restauri minuziosi sono spesso invisibili, restituiscono il tono sobrio dello spirito cui l’edificio e il decor delle sale sono stati improntati – ha detto Contessa a proposito dell’intervento -. Guardando ora il Castelletto è come se comprendessimo che da sempre così era stato e doveva essere.
L’intero edificio è stato rinnovato secondo i più rispettosi canoni di conservazione ispirati alla tutela e alla sostenibilità. Restituire il Castelletto a Miramare, alla città e al pubblico dei visitatori è un passo importantissimo di quel recupero e ripristino totale del comprensorio iniziato e portato avanti con irremovibile energia in questi anni. Iniziato col camminamento sopra il Viale dei Lecci, la riqualificazione del parterre, delle serre nuove (dove sono stati creati l’Orangerie e il MiraLab), del Bagno ducale, del boschetto dei pruni, del Terrazzo dei Cannoni, questo processo tocca oggi uno dei suoi apici, con il delicatissimo restauro del Castelletto, cui seguirà a breve quello delle Antiche cucine”.
L’intervento di restauro è stato avviato nel 2021 con un duplice obiettivo: da un lato recuperare la leggibilità dei caratteri originari dell’edificio, dall’altro garantirne la conservazione, la valorizzazione e il ritorno alla pubblica fruizione, anche prevedendo diversi possibili futuri utilizzi.
A questo proposito, mentre il primo piano, dato il suo pregio artistico, avrà una destinazione museale e potrà anche accogliere piccoli eventi, il piano terra ospiterà un bookshop con prodotti di alta gamma e sarà adibito ad accoglienza dei visitatori vista anche la prossima realizzazione dell’ascensore panoramico in salita da Grignano.

Le opere non hanno alterato in alcun modo le caratteristiche originarie dell’edificio e, anzi, hanno permesso di svelarne e rivalutarne le peculiarità. Grazie a questo complesso intervento gli spazi del Castelletto saranno nuovamente fruibili per il pubblico, che potrà ammirare questo ‘castello in miniatura’ con visite guidate dedicate.
Visitare il Castelletto e i “luoghi speciali” di Miramare. Il servizio sarà solo su prenotazione e per gruppi di minimo 8 persone, previo acquisto del biglietto “Miramare luoghi speciali che include anche l’accompagnamento culturale.

Info:
Biglietto Miramare | Luoghi speciali
Fornitore del Servizio: Verona83 (Concessionario servizi aggiuntivi) in collaborazione con Studio Didattica Nord Est
Luoghi visitabili: Cucine Storiche, Bagno Ducale e Castelletto, oltre a Belvedere dei cannoni e Orangerie.
Durata visita: circa 2 ore totali: > € 20 intero, adulti (quota accesso € 10 / quota visita-servizio culturale € 10)
> € 12 ridotto, per giovani 18-25 anni (quota accesso € 2 / quota visita-servizio culturale € 10)
> € 10 per bambini e ragazzi 6-17 anni (quota accesso, con aggio: € 0 / visita-servizio culturale € 10)
> Gratis per bambini <6 anni
Prenotazioni e pre-acquisto biglietti: attraverso i consueti canali (call center e on line). I biglietti dovranno essere preventivamene ritirati presso la biglietteria del Castello.
Maggio 2023 | Visite guidate al Castelletto: In occasione del primo mese dall’inaugurazione e in attesa che siano riaperte anche le Cucine storiche (e attivato il servizio “Visite ai luoghi speciali”):
> domenica 14 maggio apertura straordinaria Castelletto con visite a cura del personale del Museo, previo acquisto biglietto al Castello
> domenica 21 maggio apertura straordinaria Castelletto, con visite a cura di Studio Didattica Nord Est, previo acquisto biglietto al Castello.

In allegato, opuscolo del Castelletto: MIRAMARE_Castelletto_opuscolo

FIRENZE. I condottieri impolverati di Santa Maria del Fiore.

Nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore è giunto al termine il restauro, iniziato a fine maggio, dei cenotafi affrescati di due leggendari condottieri: Giovanni Acuto (l’inglese John Hawkwood, condottiero e capitano di ventura a servizio di vari Stati e infine della Repubblica fiorentina) è la prima opera firmata da Paolo Uccello, mentre di mano di Andrea del Castagno è quello di Niccolò da Tolentino. Quest’ultimo, dopo aver combattuto per i Malatesta ed esser passato al servizio dei fiorentini, riportò nel 1432 la vittoria nella Battaglia di San Romano (quella immortalata dal trittico di Paolo Uccello diviso tra Uffizi, Louvre e National Gallery) e per le sue gesta fu nominato capitano generale di Firenze.
L’intervento, diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore sotto la tutela della Soprintendenza Abap per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato e reso possibile da American Express, è stato affidato a Daniela Dini, che già nel 2000 aveva operato una completa pulitura dei due cenotafi nonché il ritocco pittorico a velatura tonale delle lacune. A distanza di due decenni era necessario asportare la patina scura dovuta a inquinamento e polvere inerte che ne offuscava la lettura.
Se la polvere superficiale è stata rimossa con pennelli morbidi, per quella più profonda la pulitura si è svolta a tampone con ovatta di cotone idrofilo e acqua deionizzata tramite carta giapponese interposta, cercando però di mantenere il più possibile il ritocco pittorico precedente di grande entità. Al termine della pulitura si è provveduto a stendere velature tonali nelle lacune ricorrendo a pigmenti naturali (vegetali e/o minerali).
Il primo restauro dei cenotafi avvenne nel 1524, ad opera di Lorenzo di Credi, autore della cornice «a candelabre» sull’affresco di Paolo Uccello. Nel 1688, in occasione delle nozze del principe Ferdinando (figlio di Cosimo III dei Medici) con Violante di Baviera, gli affreschi furono per così dire rinvigoriti. Nel 1842 il restauratore Giovanni Rizzoli, notando lo stato di sofferenza dei condottieri, optò per il distacco dalla parete ponendoli su una tela di canapa intelaiata solo ai lati e il pittore Antonio Marini intervenne con un consistente restauro pittorico.
Rimasti collocati nella controfacciata fino al 1946, i due affreschi furono affidati nel 1953 a Dino Dini, che decise di asportarli dalla tela e porli su un supporto rigido costituito da masonite temperata e un telaio in alluminio, oltre a rimuovere i rifacimenti dei precedenti restauri e a compiere un ritocco pittorico sulle lacune. Nel contratto per il monumento di Giovanni Acuto, che risale al maggio 1436, si legge la richiesta di eseguirlo in terra verde rifacendo un affresco, probabilmente deteriorato, che era stato realizzato da Agnolo Gaddi e Giuliano d’Arrigo detto il Pesello un anno dopo la morte dell’Acuto, avvenuta nel 1394.
Paolo Uccello dovrà però replicare la sua opera, perché non soddisfaceva i committenti, completandola giusto in tempo per la solenne inaugurazione della Cupola del Brunelleschi il 30 agosto 1436. Più breve la realizzazione dell’altro affresco: nel 1455, vent’anni dopo la morte di Niccolò da Tolentino la Signoria di Firenze delibera di onorarne la memoria con un monumento «in modo e forma» di quello dell’Acuto. L’anno successivo l’opera è finita e viene pagata ad Andrea del Castagno 24 fiorini. I tempi così stretti sono forse motivati dai rapporti di amicizia in vita tra Niccolò da Tolentino e Cosimo il Vecchio.

Autore: Laura Lombardi

Fonte: www.ilgiornaledellarte.com, 31 gen 2023