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ART BONUS. Così l’Art Bonus ha modificato in 10 anni il mecenatismo culturale.

Risale al 2014 la legge che istituisce l’Art Bonus, il principale strumento di mecenatismo culturale dell’ordinamento italiano. Dieci anni dopo, possiamo trarre alcune conclusioni sui pregi, difetti, potenzialità e limiti di questa misura.
“Siamo tutti mecenati”. A dieci anni esatti dall’entrata in vigore dell’Art Bonus, è questo il mantra più utilizzato nella campagna di comunicazione che vuole promuovere, presso una platea sempre più trasversale, lo strumento di sostegno al mecenatismo culturale più significativo dell’ordinamento italiano, in esecuzione di un principio fondamentale sancito dalla Costituzione all’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Al 31 maggio 2014 data il Decreto-legge n. 83 contenente “𝐷𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑢𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑡𝑢𝑡𝑒𝑙𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑎𝑡𝑟𝑖𝑚𝑜𝑛𝑖𝑜 𝑐𝑢𝑙𝑡𝑢𝑟𝑎𝑙𝑒, 𝑙𝑜 𝑠𝑣𝑖𝑙𝑢𝑝𝑝𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑢𝑙𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑒 𝑖𝑙 𝑟𝑖𝑙𝑎𝑛𝑐𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑡𝑢𝑟𝑖𝑠𝑚𝑜”, convertito in legge nel luglio dello stesso anno. Un’operazione promossa con forza dall’allora ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che introduceva così, nel panorama fiscale italiano, lo strumento dell’Art Bonus, operativo dal 2015: un credito di imposta volto a favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura, e dunque del patrimonio culturale pubblico nazionale (con le specifiche e i limiti che vedremo).

La nascita dell’Art Bonus 10 anni fa
“Dieci anni fa, nel concepire l’Art Bonus, abbiamo studiato modelli internazionali di successo come il mecenatismo culturale diffuso negli Stati Uniti e in altri Paesi europei” spiega oggi l’ex ministro “In particolare, ci siamo ispirati a normative che incentivano le donazioni private al patrimonio culturale, offrendo agevolazioni fiscali significative ai donatori. E l’Art Bonus, che continua a essere un incentivo fiscale importante, è ancora il più forte in Europa per favorire il mecenatismo culturale”.
Oltre al vantaggio fiscale – un credito d’imposta (da ripartire in tre quote annuali) in capo al donatore pari al 65% dell’importo erogato per valorizzare cultura e spettacolo – la nuova norma mirava sin dall’inizio a stimolare quel sentimento di appartenenza sociale e culturale che dovrebbe indurre tutti a favorire la conservazione della propria identità culturale, con l’obiettivo di trasmetterla alle generazioni future. Facendo anche appello al senso civico e provando a intercettare l’attaccamento individuale o la vicinanza a determinati beni e istituzioni culturali legati a doppio filo con il territorio d’appartenenza.
L’Art Bonus si prefiggeva quindi una funzione educativa sulla collettività al di là delle manifeste ricadute pratiche dello strumento, in origine previsto in via temporanea per i periodi d’imposta dal 2014 al 2016, poi reso permanente.

Come funziona l’Art Bonus
Tutti, come si è detto, possono donare, che si tratti di enti non commerciali, imprese e società cooperative, persone fisiche (dipendenti, pensionati, persone fisiche non titolari di partita Iva, lavoratori occasionali, lavoratori autonomi titolari di partita Iva, dal 2023 anche se a regime forfettario). E si può scegliere di dichiararsi o restare anonimi. Ma non sono ammesse donazioni in contanti, per garantire la sacrosanta tracciabilità delle operazioni, di cui peraltro i beneficiari sono obbligati a dare pubblicità – nel dettaglio dell’ammontare delle erogazioni ricevute e del loro impiego con aggiornamento mensile – sulla piattaforma online che facilita le donazioni stesse.
Puntuale è invece la casistica di interventi che possono beneficiare della raccolta: operazioni di manutenzione, restauro e protezioni di beni culturali pubblici; sostegno degli Istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche, dei teatri, dei festival, dei centri di produzione teatrale e di danza, dei circhi e degli spettacoli viaggianti; realizzazione di nuove strutture o potenziamento delle esistenti di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. Un elenco che evidenzia il suo limite più discusso: i possibili destinatari delle erogazioni sono Comuni, Regioni, Province, Città Metropolitane e altri enti direttamente collegati ad attività culturali, mentre continuano a essere escluse le erogazioni a favore di beni culturali di proprietà privata e di enti ecclesiastici. Tradendo l’articolo 113 del Codice dei Beni Culturali in tema di valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata qualora siano adibiti alla fruizione pubblica. Focalizzandosi sui beneficiari “ammessi”, d’altro canto, è possibile individuare un altro limite indiretto della pur lodevole normativa: l’Art Bonus funziona laddove le amministrazioni locali credono nello strumento e si impegnano per promuoverlo. Cerchiamo di capire perché.

Uno strumento efficace ma che mostra i suoi limiti
Oggi i numeri sembrano dare ragione a chi nello strumento ha creduto: in 10 anni l’Art Bonus ha sollecitato la raccolta di oltre 900 milioni di euro, coinvolgendo oltre 41mila mecenati. Ma navigando sulla piattaforma che ben adempie allo scopo della trasparenza e della tracciabilità delle operazioni si possono evincere dati “scomposti” più indicativi. In termini di distribuzione sul territorio nazionale, l’utilizzo dell’Art Bonus è molto discontinuo: tra le regioni, la Toscana vanta il maggior numero di beneficiari (529) seguita dalla Lombardia (399), che però detiene il primato per ammontare delle donazioni, sospinta dai numeri più che lusinghieri di enti come la Fondazione Teatro La Scala, che da sola ha finora raccolto oltre 170 milioni di euro (in generale, in tutta la Penisola, si dimostrano molto capaci di attrarre il mecenatismo tutte le grandi fondazioni teatrali e lirico-sinfoniche, dal Regio di Torino al Maggio Fiorentino, dall’Arena di Verona all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, al Donizetti di Bergamo, al San Carlo di Napoli). Seguono, per capillarità degli interventi, regioni come il Piemonte, l’Emilia-Romagna e il Veneto. Fanalini di coda, con meno di una decina di interventi attivati ciascuna, sono Molise, Basilicata e Valle d’Aosta.

L’Art Bonus in Nord Italia
Il Nord Italia, nel complesso, beneficia anche di donazioni più cospicue, per la maggior concentrazione di istituti bancari e grandi imprese. “La reale diffusione dell’Art Bonus è avvenuta dove la presenza delle Fondazioni Bancarie è più intensa e, di conseguenza, le realtà locali, pubbliche e private, sono più abituate a immaginare progetti e trovare controparti con cui sostenerli”, spiega Franco Broccardi, segretario della commissione di Economia della Cultura presso il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e consulente per le politiche fiscali di Federculture “Il Ministero tramite la sua partecipata ALES ha svolto un enorme e appassionato lavoro di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo spesso le associazioni professionali e di categoria con riscontri alterni. La capacità progettuale da parte delle amministrazioni locali e la loro attivazione è un ulteriore tassello mancante perché l’Art Bonus possa dirsi davvero un successo”.
In un confronto tra città d’arte, per esempio, Firenze batte Roma: l’amministrazione comunale fiorentina, in questi dieci anni, ha evidentemente creduto nello strumento, sottoponendo molte decine di interventi alle erogazioni liberali.
C’è poi il tema, che prescinde dalle amministrazioni pubbliche, dell’accentramento di risorse da parte di siti culturali più noti o capaci di farsi pubblicità. “Art Bonus è una misura di straordinario valore che in parte ha segnato un nuovo corso nel rapporto tra pubblico e privato nel sostegno alla cultura ai monumenti e alla produzione culturale” sottolinea a riguardo l’Assessore alla Cultura di Milano, Tommaso Sacchi “Però è necessario non guardare esclusivamente alle istituzioni culturali più note, ma anche a quelle preziosissime realtà che evidentemente fanno un po’ più fatica a essere raccontate. Il patrimonio della nostra città è composto da tantissime realtà diverse e ognuna merita più sostegno possibile”.
In Piemonte ed Emilia-Romagna, invece, la distribuzione di interventi completati con successo sembra essere più equa, anche a sostegno di siti “minori”.

Chi sono i mecenati in Italia?
Vale la pena, infine, aprire un interrogativo sulla natura dei mecenati. Solo il 4% dei 900 milioni raccolti finora, infatti, proviene da donazioni di privati. Influisce sul dato una capacità di spesa nettamente inferiore rispetto ad associazioni, fondazioni e imprese; ed è invece importante sottolineare il numero delle loro donazioni, che ha superato quota 25mila (a fronte di 5mila donazioni di enti non commerciali per un totale di 450 milioni di euro e 10mila donazioni di imprese per 430 milioni di euro), dimostrando che si può fare leva sulla condivisione di identità culturale, sul senso civico e sulla responsabilità intergenerazionale dei cittadini. “Ma i risultati potrebbero essere migliori se soprattutto i piccoli Comuni sapessero far leva sul senso di appartenenza. C’è un problema di sensibilizzazione al patrimonio culturale, in Italia abbiamo ancora molta strada da fare. Si pensi al tema sulla bellezza uscito tra le tracce dell’ultimo esame di maturità: è stato, tra tutti, il meno scelto dagli studenti. Non è un caso”, sottolinea Broccardi. D’altro canto, non si può non evidenziare come fondazioni bancarie ed enti affini – a oggi categoria più generosa – abbiano semplicemente spostato sull’Art Bonus ciò che già mettevano sul piatto con altre forme di mecenatismo o sponsorizzazioni.

Art Bonus, restauro e tutela del patrimonio
Tra gli obiettivi sicuramente centrati dell’Art Bonus c’è invece l’impegno per rendere economicamente sostenibili le attività di restauro e manutenzione del patrimonio. Un obiettivo approfondito nel 2016 a comprendere interventi di manutenzione, protezione e restauro anche di beni culturali di interesse religioso presenti nei Comuni dei territori di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria colpiti dal sisma del Centro Italia. Tra le donazioni raccolte allo scopo rientra il finanziamento pari a 6,64 milioni di euro che Intesa Sanpaolo ha destinato al Comune di Amatrice per la ricostruzione e il restauro della chiesa di San Francesco.

Il caso dell’Opificio delle Pietre Dure
“La parabola in crescita dell’Art Bonus è rispecchiata dal caso dell’Opificio delle Pietre Dure, che si occupa di opere che appartengono ad altri. Dunque per noi le donazioni si configurano come sostegno all’attività dell’istituto nell’impegno a favore di una determinata opera” spiega Emanuela Daffra, Soprintendente dell’istituto del MiC dedicato al restauro, basato a Firenze “Penso al primo tra gli interventi di cui OPD ha beneficiato, risalente al 2016: grazie a Prada si è potuto concludere il restauro ‘impossibile’ dell’Ultima Cena di Vasari in Santa Croce. A partire da allora le donazioni si sono succedute con ritmo annuale, senza interrompersi se non nel 2020, assecondando con naturalezza alcune di quelle che chiamerei ‘vocazioni identitarie’”. E proprio il lavoro dell’OPD alimentato dell’Art Bonus porta all’attenzione un altro caso virtuoso legato al terremoto del 2016: “Esemplare è il contributo erogato da OVS per restaurare la tela di Vincenzo Manenti, Madonna col Bambino e Santi, proveniente dalla Chiesa di San Benedetto a Norcia distrutta nel terremoto, dopo avere conosciuto l’articolata attività di Opificio per il recupero dei beni nelle zone colpite dal sisma. Art Bonus è anche uno straordinario strumento di educazione alla responsabilità, importantissimo per stabilire un dialogo efficace tra restauro e mecenatismo”. I contributi più significativi in tal senso, prosegue Daffra, “vengono dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze: proprio perché Opificio opera in modo articolato e ogni restauro è progettato con cura, è fondamentale il sostegno all’intera struttura. E aggiungo che per realtà come la nostra sarebbe fondamentale individuare e diffondere l’informazione su modalità di sgravio fiscale per i cittadini stranieri, anche turisti, che ci volessero supportare”.

L’Art Bonus per salvare la Torre Garisenda di Bologna
Più di recente, l’urgenza di mettere in sicurezza la pericolante Torre Garisenda di Bologna ha sollecitato, grazie alla campagna Art Bonus avviata dal Comune (Sosteniamo le due Torri, con testimonial d’eccezione come Gianni Morandi e Cesare Cremonini), una grande partecipazione collettiva. Finora la raccolta ancora aperta ha ottenuto oltre 2 milioni e 715mila euro in erogazioni liberali, e vanta numerosissime donazioni private: spesso piccoli importi, però pienamente fedeli allo spirito del mecenatismo culturale.

Autore: Livia Montagnoli

Fonte: www.artribune.com 12 ago 2024

FIRENZE. 100 anni di Galleria d’Arte Moderna a Palazzo Pitti. Gli Uffizi li celebrano con una mostra virtuale.

Accessibile liberamente sul sito web del museo, la mostra 1924-2024 ripercorre il processo di fondazione e crescita della collezione ospitata negli appartamenti dei Granduchi di Lorena, raccolta preziosa per raccontare l’arte italiana tra Settecento e Novecento.

Era l’11 giugno del 1924 quando a Firenze inaugurava la Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti, oggi nel circuito museale delle Gallerie degli Uffizi.
Proprio l’imponenza di uno dei poli museali più visitati al mondo fa spesso dimenticare la varietà e il prestigio delle collezioni che le Gallerie custodiscono su entrambe le sponde dell’Arno.
Ma al secondo piano dei Palazzo Pitti, negli ambienti che un tempo furono residenza dei Granduchi di Lorena e saltuariamente ospitarono i rappresentanti di Casa Savoia fino agli anni Trenta, il nucleo di sculture e pitture che spaziano dalla fine del Settecento fino ai primi decenni del Novecento (in crescita costante, grazie a donazioni e acquisti) non ha nulla da invidiare ai capolavori medievali e rinascimentali conservati agli Uffizi.

La Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti: storia e finalità
La collezione della pinacoteca si formò nella seconda metà dell’Ottocento dalla raccolta delle migliori opere provenienti dai concorsi dell’Accademia delle Arti e del Disegno, un tempo esposte nella galleria dell’Accademia, e più tardi fu arricchita dal confluire di numerose collezioni cittadine d’arte del periodo a cavallo tra XIX e XX secolo, come quella del critico e mecenate Diego Martelli, acquisita nel 1897, che diede l’impulso essenziale alla nascita della Galleria. L’allestimento attuale, articolato cronologicamente in 30 sale che comprendendo tutte le stanze dell’ala laterale settentrionale posteriore del complesso architettonico (con affaccio sui Giardini di Boboli), risale invece ai primi anni Settanta del Novecento.
Nella sua prima forma espositiva, infatti, la Galleria d’Arte Moderna si presentava come una sequenza storica nella quale ai dipinti di Pietro Benvenuti e di Giuseppe Bezzuoli si avvicendavano sale monografiche dedicate ad Antonio Ciseri e a Stefano Ussi, un “sacrario” dei pittori macchiaioli costruito intorno al lascito di Martelli e, infine, una rassegna di artisti contemporanei selezionata entro i limiti della tradizione figurativa toscana incarnata da Libero Andreotti, Felice Carena, Giovanni Colacicchi, Baccio Maria Bacci, esposti accanto ad altri protagonisti dell’arte italiana fra le due guerre. L’idea, all’epoca, fu quella di utilizzare la neonata Galleria come vetrina per le opere di arte contemporanea locale, assecondando la lungimiranza dello stesso Martelli, che era stato capace di raccogliere le testimonianze artistiche più aggiornate del suo tempo. Nel Dopoguerra, la raccolta si sarebbe aperta anche ad artisti internazionali.

La Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti dagli anni Settanta a oggi
Con la riapertura del museo nel 1972 si volle dare spazio al dialogo tra il contesto architettonico e le opere esposte senza tralasciare gli arredi che, a partire dall’Esposizione Universale tenuta a Firenze nel 1861, Vittorio Emanuele II aveva cominciato a collezionare. Fu allora che si propose il criterio della divisione in generi. La collezione venne incrementata con l’apporto di collezioni privati quali la raccolta di Leone Ambron (1947), il comodato di Emilio Gagliardini, le donazioni di Pietro Saltini e Domenico Trentacoste, fino ad arrivare a quella recentissima (2022) di Carlo Del Bravo.
Oggi la Galleria propone innanzitutto una ricognizione completa dell’arte italiana tra XVIII e inizio del XX secolo: si scoprono così lavori ascrivibili al Neoclassicismo e al Romanticismo, prima dell’importante nucleo di pittura della scuola dei Macchiaioli. L’itinerario ottocentesco si conclude con espressioni del decadentismo, simbolismo, postimpressionismo, divisionismo, correnti coeve e in relazione l’una con l’altra, in un periodo di grande fermento artistico per l’Italia, ben espresso da autori come Francesco Hayez, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Medardo Rosso, Giovanni Boldini. In tempi recenti, a seguito dell’accorpamento delle collezioni dei musei di Palazzo Pitti e della Galleria degli Uffizi, infatti, le raccolte ottocentesche e novecentesche si sono arricchite ancora, attraverso una politica di acquisizioni condivisa con la commissione Gam relativa a opere di età moderna e contemporanea: l’ingresso del Ritratto del Conte Arese in carcere di Hayez è uno dei risultati più significativi di questo impegno, insieme a lavori grafici e sculture di Adriano Cecioni, Libero Andreotti e Manzù.

1924 – 2024: la mostra virtuale per i 100 anni della Gam di Firenze
E per celebrare il primo secolo di vita della Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti, gli Uffizi hanno deciso di organizzare una mostra virtuale, ora accessibile sul sito del museo. A cura di Elena Marconi e Chiara Ulivi, l’esposizione virtuale presenta una selezione di 50 opere significative per raccontare la storia della collezione, e propone un percorso digitale guidato, arricchito da approfondimenti testuali sulle origini della Galleria e sui singoli lavori “esposti”, oltre che da foto degli allestimenti storici.

Autore: Livia Montagnoli

Fonte: www.artribune.com 12 giu 2024

TORINO. Imparare l’economia con l’arte e la realtà virtuale.

Gli uomini di fiducia di Cosimo de’ Medici che sfilano in parata ben riconoscibili nel corteo che segue la Cavalcata dei Magi (1459) dipinta da Benozzo Gozzoli a Palazzo Medici Riccardi; la regalità di Maria Serra Pallavicino (1606) ritratta da Rubens; il consumismo fatto di balli, lustrini, serate trascorse nei salotti dei caffè parigini fissato nello sguardo della cameriera che ci introduce al Bar delle Folies Bergère (1881-82) di Manet. E poi ancora i Bagnanti di Maximilien Luce, che racconta l’altro volto della Parigi di fine Ottocento, con le fabbriche che incombono sullo sfondo di un momento di svago; o I nottambuli (1942) di Edward Hopper, memento alla crisi economica del 1929.
Il Museo del Risparmio di Intesa Sanpaolo, nato nel 2012 a Torino, si propone ora di spiegare i principi dell’economia attraverso l’arte. Per farlo, inaugura la sala interattiva chiamata Ammirare, che propone ai visitatori due postazioni VR con visori Oculus di ultima generazione per interagire con la riproduzione animata di dieci celebri opere d’arte, e ripercorrere, così – grazie al supporto della realtà virtuale e alla più immediata comprensibilità delle immagini – alcuni passaggi fondamentali della storia economica globale. Come la nascita delle banche, l’evoluzione e le crisi dei mercati finanziari, le origini della società consumistica, la fiscalità, concetti talvolta percepiti come complessi, affrontati al museo con il supporto di Ambrogio Lorenzetti, Iacopo de’ Barbari, Joachim Beuckelaer, Pieter Brueghel, Peter Paul Rubens, Marinus van Reymerswaele, Édouard Manet, Pierre Bonnard, Maximilien Luce, Edward Hopper.
Alle origini dell’iniziativa c’è la missione fondante del Museo del Risparmio, nato per diffondere l’educazione finanziaria in maniera semplice e divertente, beneficiando anche di quel rapporto con l’arte coltivato assiduamente dal gruppo bancario torinese, cui si deve la creazione del modello Gallerie d’Italia: “con questa iniziativa proponiamo un originale approccio interdisciplinare aperto e creativo”, spiega il Presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro. “L’arte e l’economia sono entrambi punti di osservazione della realtà, sebbene da prospettive molto diverse. Convivono da anni – e bene – nel Gruppo Intesa Sanpaolo e da oggi anche nel Museo del Risparmio”. Un museo concepito dalle origini come progetto di “edutainment”, che sfrutta la tecnologia e l’interattività per sorprendere i visitatori, siano essi bambini, studenti o adulti che vogliono addentrarsi nell’approfondimento di un tema spesso ostico, ma intrinsecamente connesso con la realtà quotidiana.
Dunque anche la sala Ammirare presenta l’opportunità di interagire con gli elementi di ogni scenario dei dipinti selezionati, che si tratti delle personalità riunite nella “holding” di Cosimo de’ Medici, del vademecum sulla contabilità contenuto nella Summa di Luca Pacioli (ritratto da Iacopo de’ Barbari nel 1495), del caotico ufficio dell’esattore delle tasse rappresentato da Brueghel il Giovane nel 1615.
C’è spazio anche per parlare del mercato dell’arte, attraverso il Ritratto di Ambroise Vollard con il gatto (1924) di Pierre Bonnard: si parte dalla storia del mercante illuminato che alla fine del XIX secolo sostenne pittori quali Cézanne, Gauguin, Van Gogh, Matisse e Chagall, per arrivare al fenomeno della digitalizzazione e degli NFT, con le speculazioni della crypto arte.
Si può accedere alle postazioni previa prenotazione presso la biglietteria al momento dell’accesso al museo.

Info:
Torino, Museo del Risparmio, Via San Francesco d’Assisi, 8A, dalle 10 alle 19 (martedì chiuso)

Autore: Livia Montagnoli

Fonte: www.artribune.com 22 mar 2024

Federico Giannini, Ilaria Baratta. Alle origini del mecenatismo. Gaio Cilnio Mecenate e il suo sostegno alle arti.

Col termine “mecenatismo” si indica l’attività di chiunque favorisca le arti accordando un sostegno munifico a chi le produce (artisti, letterati, musicisti, registi e via dicendo). Il termine oggi designa soprattutto l’attività delle aziende o dei privati che sostengono finanziariamente la produzione di arte, ma si può anche parlare di “mecenatismo di Stato” laddove sia un ente pubblico a supportare i programmi artistici. Il termine, comune anche in altre lingue (mécénat in francese, mecenazgo in spagnolo, mecenato in portoghese, Mäzenatentum in tedesco e via dicendo) deriva dal nome del politico romano Gaio Cilnio Mecenate (Gaius Cilnius Maecenas; Arezzo, 68 a.C. circa – 8 a.C.), consigliere dell’imperatore Augusto, noto proprio per la sua celebre azione di sostegno alle arti.
Nato ad Arezzo, città cui rimase sempre legato e che gli ha oggi dedicato il proprio Museo Archeologico Nazionale, apparteneva a una famiglia molto benestante, che aveva nobili origini etrusche (il poeta Properzio, uno dei tanti letterati sostenuti da Mecenate, lo avrebbe definito “Maecenas eques Etrusco de sanguine regum”, ovvero “Mecenate, cavaliere con sangue etrusco di re”): dopo una breve carriera militare, verso i trent’anni d’età cominciò la propria carriera politica, sia in campo diplomatico, sia in campo amministrativo. L’inizio della sua carriera, in particolare, è fissato nel 40 a.C., quando, finita la guerra di Perugia, venne inviato in Sicilia per combinare il matrimonio tra Ottaviano (il futuro imperatore Augusto) e la sua seconda moglie Scribonia. A seguito di quest’attività, Mecenate sarebbe sempre stato uno dei più fidati consiglieri di Ottaviano, tanto da arrivare a esercitare il potere per suo conto quando il futuro imperatore era impegnato nelle proprie campagne militari.
Il ventennio che va dal 29 a.C., l’anno in cui Ottaviano diede avvio alle riforme che avrebbero portato, due anni dopo, alla nascita dell’impero (la data di fondazione è fissata convenzionalmente al 27 a.C.), fino all’8 a.C., anno della scomparsa di Mecenate, appare avaro di notizie: gli studiosi hanno spesso pensato che, in questo periodo, il cavaliere di origini etrusche avesse in qualche misura perso i favori di Augusto, ma in realtà il ritiro dalla vita pubblica di Mecenate sembra essere piuttosto dovuto, ha spiegato lo studioso Pierfrancesco Porena, all’assetto istituzionale che Ottaviano diede allo Stato.
Il fondatore dell’impero, divenuto Augusto nel gennaio del 27 a.C., “ridisegnò”, ha scritto Porena, “il sistema dei rapporti tra le antiche magistrature e il senato da una parte, e la sua personalità dotata di auctoritas, di un amplissimo imperium e di poteri consolari dall’altra”, e in questo nuovo assetto “non c’era più posto per una funzione come quella di Mecenate, estranea a ogni schema di carriera e a ogni mandato legittimamente avallato dal senato o dal popolo romano, e basata solo sull’amicitia con il figlio di Cesare. Le riforme augustee, vincenti, atrofizzarono le possibilità di inserimento di Mecenate nelle strutture istituzionali del nuovo regime”.
Mecenate e Augusto continuarono tuttavia a rimanere amici, e l’aretino continuo a consigliare l’imperatore: peraltro, la lontananza dalla carriera politica gli consentì con tutta probabilità di coltivare le proprie attività di sostegno alle arti, che aveva comunque portato avanti anche ben prima del 29 a.C. L’attività di Mecenate come sostenitore di artisti era già lodata nella Roma del I secolo d.C.: Marziale, per esempio, lamentava che nella Roma del suo tempo non ci fosse più un Mecenate a proteggere le arti, e stesse considerazioni vengono espresse da Giovenale nella satira VII, che stigmatizza l’abitudine dei ricchi della Roma dell’epoca di spendere soldi per ostentare in maniera volgare il loro status e di dimostrarsi invece molto parchi quando si tratta di sostenere le arti e le lettere.
A Roma, Mecenate aveva stretto attorno a sé un circolo formato dai più importanti letterati della Roma augustea, a cominciare da Virgilio, Orazio e Properzio (Orazio, in particolare, fu molto amico di Mecenate e gli dedicò gli Epodi, le Satire e i primi tre libri delle Odi), per continuare poi Lucio Vario, Quintilio Varo, Plozio Tucca, Domizio Marso, Gaio Melisso, Ottavio Musa, Valgio Rufo e diversi altri).
Mecenate aveva dalla sua parte una forte competenza in materia letteraria, ed era lui stesso letterato (le sue opere ci sono però note solo attraverso pochi frammenti tuttavia sufficienti a dimostrare le sue conoscenze e la sua ampia cultura, che spaziava dalla poesia greca alla letteratura latina, passando attraverso la lingua etrusca, anche in relazione alle sue origini), oltre ad ampie disponibilità economiche che gli attirarono anche alcune critiche, dal momento che lo stile di vita del cavaliere era tutt’altro che austero, e quindi lontano dalla tradizione romana.
È in particolare Seneca, nell’epistola 114 a Lucilio, a offrire un ritratto molto particolare di Mecenate, descritto come un uomo fin troppo raffinato che desiderava mettersi in mostra senza nascondere i propri vizi, e la cui eloquenza era “degenerata” e “corrotta” come quella di un ubriaco, le sue parole singolari come la sua casa, la sua moglie, i suoi amici. Altri scrittori contemporanei, del resto, non mancano di descriverlo come un personaggio stravagante, nell’abbigliamento come nei comportamenti. Porena spiega questi lati del temperamento e dell’atteggiamento di Mecenate come una sorta di continuazione delle sue origini etrusche: “il suo comportamento”, ha scritto lo studioso, “evocava il ‘doppio’ della tradizione aristocratica etrusca, celebrato allora nel dio Vertumnus – virile e languido a un tempo – dall’umbro-etrusco Properzio”, e “l’amore per il lusso costituiva un’adesione esplicita alla tradizione aristocratica etrusca, che aveva fuso piena affidabilità politico-diplomatica e solide capacità operative con gli agi di una vita fastosa”.
Allo stesso modo dovrebbe esser letto il rapporto con la moglie Terenzia, che godeva di libertà che solitamente non erano concesse a una donna romana: anche in questo, Mecenate perpetrava la tradizione di grande libertà, per l’epoca, di cui godevano le donne etrusche. La sua fu dunque una figura sostanzialmente isolata, e probabilmente il suo tenore di vita dovette avere dei riflessi anche sulla sua attività culturale.
Un ritratto piuttosto noto di Mecenate è quello che si legge nelle Historiae dello storico Marco Velleio Patercolo, scritte nel 30: “nato da cavaliere ma di splendida razza, uomo vigile quando le cose richiedevano vigilanza, lungimirante e capace, ma quando era a riposo dalle sue attività, si dava al lusso ed era più effeminato di una donna”. Un ritratto che corrisponde all’immagine che anche altri contemporanei ci hanno consegnato di Mecenate: un uomo equilibrato, che non approfittò della vicinanza ad Augusto, che seppe gestire le sue attività politiche con rigore, serietà e compostezza, e che nel privato amava però concedersi lussi che potevano sembrare eccessivi, specialmente agli occhi di una società romana che vedeva la rilassatezza di Mecenate come un difetto.
Centro del suo otium, termine con cui nel suo caso occorre designare la sua attività culturale fuori dalla vita politica attiva, era la sontuosa dimora con giardino (i famosi Horti Maecenatiani) che Mecenate si fece costruire sull’Esquilino a Roma, e dove non mancavano luoghi per la conversazione e i ricevimenti, uno spazio termale, alcune sale dove Mecenate esponeva le proprie collezioni d’arte. Una dimora tanto sontuosa (cosa peraltro insolita per un cavaliere: solitamente una domus così simile a una reggia era una prerogativa di un senatore o comunque di qualche personaggio ai vertici dell’amministrazione pubblica) che dopo la sua scomparsa diventò proprietà di Augusto (che, peraltro, sappiamo fu molto addolorato per la morte dell’amico).
Parte delle collezioni di Mecenate, peraltro, sopravvive: quello che rimane della raccolta fu rinvenuto nell’unica parte ancora conservata della domus, l’Auditorium (un triclinio estivo, una specie di sala da pranzo), oggi gestito dalla Sovrintendenza capitolina e visitabile su prenotazione. Si tratta soprattutto di statue derivanti da modelli greci (oggi tutte conservate ai Musei Capitolini, che ha una sala dedicata agli Horti Maecenatiani), tra cui sono da menzionare una splendida Testa di Amazzone derivante da modelli greci, una statua di Marsia ellenistica, una celebre statua raffigurante un cane, realizzata in rarissimo marmo egiziano e di produzione alessandrina, alcune statue raffiguranti le muse. Sono opere che testimoniano un gusto spiccatamente raffinato, una cultura evidentemente orientata verso l’arte greca, e anche una predilezione per gli oggetti insoliti.
I prodotti artistico-letterari della cerchia di Mecenate non erano, come pure s’è pensato, finalizzati ad azione di propaganda, ma erano semmai destinati alle classi colte e alle élite di Roma, e non sappiamo quale sia stato il loro portato politico, e il ritorno per Augusto era soprattutto in termini d’immagine, come principe raffinato che aveva per consigliere un uomo di eccezionale cultura che sosteneva gli artisti (anche se un discorso a parte andrebbe fatto per l’Eneide di Virgilio le cui finalità travalicavano quelle del ritorno d’immagine indiretto per l’imperatore).
Poco chiari rimangono i rapporti di Mecenate con i suoi letterati, anche perché del personaggio storico non sappiamo molto: non esiste una sua biografia scritta da un contemporaneo, e quel che conosciamo del cavaliere lo abbiamo potuto apprendere dai commenti, per lo più frammentari, degli uomini del suo tempo. Come detto, si è a lungo pensato che il circolo di Mecenate fosse una sorta di circolo della propaganda augustea: oggi invece si tende a ritenere che, in un quadro in cui comunque Mecenate e Augusto intendevano formare consenso sostenendo le arti, i letterati della sua cerchia godessero in realtà di una certa indipendenza, anche se, come ha scritto lo studioso Luca Graverini, la soluzione al problema della natura ideologica del circolo di Mecenate “sembra essere al di là della nostra portata: […] le fonti a disposizione sono problematiche e soggette a un ampio spettro di possibilità interpretative”. Ci sono tuttavia dei punti fermi su cui si può provare a ricostruire la natura del rapporto tra Mecenate e i suoi artisti, a cominciare dal fatto che la sua posizione defilata rispetto alla politica attiva poteva consentirgli di non essere eccessivamente invadente e, al contempo, di prediligere e promuovere anche un’arte non impegnata, per quanto comunque la poesia impegnata dimostrasse idee ovviamente in linea con quelle di Mecenate e Augusto: “in poesia come in politica”, scrive Graverini, “vediamo la lode della pacificazione dopo le guerre civili, la rivalutazione del mos maiorum, delle antiche tradizioni e della moralità pubblica e privata, la rivitalizzazione dell’agricoltura italica l’esaltazione della grandezza di Roma, e così via”.
Resta però difficile capire fino a che punto si spingesse un’eventuale azione dirigista di Mecenate: probabilmente, come spiega ancora lo studioso, anche se il cavaliere ebbe di sicuro un ruolo di primo piano nell’organizzare la cultura augustea (sappiamo poi per certo che contribuiva economicamente al sostegno dei letterati), “probabilmente non dovette profondere molte energie per convincere i letterati dei vantaggi offerti dal nuovo ordine di cose: la pace e la tranquillità interna, dopo decenni di disordini sanguinosi, si propagandavano anche da sole quale soggetto degno di celebrazione poetica”. Non esistono, inoltre, prove di eventuali pressioni che Mecenate poté aver esercitato sui suoi letterati.
Ci sono giunte, infine, effigi di Gaio Cilnio Mecenate? Sono quattro le opere antiche ritenute ritratti di Mecenate, anche se è molto più probabile, come si vedrà, che oggi non si conosca il reale aspetto del cavaliere: le quattro opere candidate a trasmetterci la sua immagine sono un busto al Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, un altro busto ai Musei Capitolini di Roma, un terzo busto che si trova a Galway, in Irlanda, presso Coole Park (giunse in Irlanda dall’Italia nel XIX secolo), e infine una raffigurazione sul fregio meridionale dell’Ara Pacis a Roma. Secondo lo studioso Bernard Andreae, il busto conservato ad Arezzo fu probabilmente prodotto in età augustea da una bottega attiva a Roma e deve trattarsi del ritratto di un illustre personaggio aretino che visse a Roma attorno al 20 a.C., e il nome di Mecenate gli è sembrato essere quello più adatto per il ritratto.
La tesi di Andreae è stata però contestata da Sara Faralli nel 2018, perché non ci sarebbero elementi sufficienti a stabilire, oltre ogni dubbio, che il busto raffiguri proprio Mecenate. Lo stesso vale per il busto dei Musei Capitolini (che peraltro non è più esposto dal 1997), per quello irlandese che s’è voluto immaginare un ritratto di Mecenate sulla base, probabilmente, della somiglianza con le effigi del cavaliere che s’erano diffuse a partire dal Settecento (nel XVIII secolo si stabilì infatti, sulla base di un’erronea attribuzione di alcune gemme, l’immagine di Mecenate divenuta poi ricorrente, quella di un uomo in là con gli anni, fortemente stempiato, e col naso molto pronunciato), e per l’immagine che compare nel fregio dell’Ara Pacis.
Ci sono poi alcune immagini moderne, che si possono vedere tutte ad Arezzo. Il giardino dell’Anfiteatro Romano ospita un busto ottocentesco, esemplato sul busto dei Musei Capitolini, e sistemato nella sua attuale collocazione tra anni Venti e anni Trenta del Novecento (fu in particolare nel 1937 che venne messo definitivamente nel giardino dell’Anfiteatro), all’epoca in cui Arezzo, in clima di revival romano, s’identificava come la città che aveva dato i natali al grande patrono delle arti. C’è poi il singolare dipinto seicentesco di Bernardino Santini, conservato nel Palazzo Comunale di Arezzo, dove “Moecenas Arretinus”, come lo identifica la scritta sulla cornice, è dipinto secondo un’iconografia insolita: come un uomo maturo, dai capelli lunghi, vestito con un abbigliamento rinascimentale. E c’è, infine, il grande affresco dipinto negli anni Venti da Adolfo de Carolis che, nella Sala dei Grandi del Palazzo della Provincia, tra il 1922 e il 1925, dipinse una sorta di Maestà laica con i personaggi illustri della storia di Arezzo: Mecenate, vestito con la toga, si trova, primo sulla sinistra, vicino a Guido d’Arezzo, al pittore Margaritone, al poeta Guittone, a Francesco Petrarca, a Spinello Aretino. È raffigurato secondo l’aspetto che, a quel tempo, si riteneva fosse stato tramandato dalla ritrattistica romana. In posizione defilata, perché primo in ordine cronologico. Ma è una posizione in cui sta benissimo, dal momento che fu così, in disparte, che Mecenate condusse la sua azione di sostenitore delle arti e delle lettere.

Bibliografia essenziale:
– Peter Mountford, Maecenas, Routledge, 2019
– Sara Fanelli, Il busto di “Mecenate” all’Anfiteatro romano: la rappresentazione di Gaio Cilnio Mecenate ad Arezzo nell’Ottocento e Novecento tra erronee iconografia e celebrazione municipalistica in Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienza, 80 (2018), pp. 79-96
– Pierfrancesco Porena, Gaio Mecenate. Visibilità politica e originalità culturale nella Roma triumvirale e augustea in Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienza, 70 (2008), pp. 273-317
– Luca Graverini, Mecenate, Mecenatismo e poesia augustea in Annali Aretini, 12 (2006), pp. 49-71
– Bernard Andreae, Die Bildnisse des Gaius Cilnius Maecenas in Arezzo und an der Ära Pacis in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 112 (2005), pp. 121-161

Fonte: www.finestresullarte.info, 3 ott 2023

ROMA. Treccani apre uno spazio dedicato all’arte contemporanea.

Inaugurerà a Palazzo Mattei di Paganica a Roma il nuovo Spazio Treccani Arte, luogo dedicato all’arte contemporanea nato dalla visione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, la cui sede dal 1927 sorge proprio all’interno dello storico palazzo capitolino. L’apertura del nuovo spazio è prevista il prossimo 2 ottobre, con una mostra che “proverà a restituire al pubblico la poliedricità dei progetti finora proposti, presentando a totalità delle opere realizzate, nell’arco dei 5 anni di Treccani Arte, con oltre 30 artisti contemporanei”, annuncia l’Istituto.
Treccani Arte nasce nel 2018 con l’obiettivo di divulgare e promuovere la cultura, in particolare quella artistica attraverso iniziative mirate alla produzione di multipli d’artista e pubblicazioni dedicate all’arte contemporanea italiana e internazionale. Ne sono un esempio Utopia, che consiste in una raccolta di poster d’artista (tra cui Elisabetta Benassi, Ettore Favini, Claire Fontaine, Piero Golia, Emilio Isgrò, Marcello Maloberti, Rä di Martino e Alessandro Piangiamore) ognuno dei quali illustra uno dei lemmi contenuti nel Vocabolario Treccani; il progetto editoriale Enciclopedia d’artista (la versione Treccani del libro d’artista); le edizioni limitate, come quella firmata da Nico Vascellari; la collaborazione con istituzioni come il MAXXI; e poi l’Enciclopedia dell’arte contemporanea italiana, diretta da Vincenzo Trione.
Lo Spazio Treccani Arte nascerà negli ambienti del piano terra di Palazzo Mattei di Paganica, che saranno accessibili al pubblico gratuitamente. Qui, nel cuore del suggestivo Ghetto ebraico, saranno così esposti i progetti già realizzati da Treccani Arte, come nel caso della mostra inaugurale che vedrà protagonisti Giorgio Andreotta Calò, Giovanni Anselmo, Francesco Arena, Massimo Bartolini, Gianfranco Baruchello, Elisabetta Benassi, Rossella Biscotti, Loris Cecchini, Rä Di Martino, Bruna Esposito, Isabella Ducrot, Ettore Favini, Cao Fei, Claire Fontaine, Piero Golia, Alice Guareschi, Paolo Icaro, Emilio Isgrò, Alfredo Jaar, Luisa Lambri, Marcello Maloberti, Marzia Migliora, Marisa Merz, Maurizio Nannucci, Ornaghi e Prestinari, Diego Perrone, Alessandro Piangiamore, Remo Salvadori, Marinella Senatore, Ettore Spalletti, Giuseppe Stampone, Gian Maria Tosatti, Nico Vascellari, Francesco Vezzoli. Dal 2024 invece sarà la volta di mostre temporanee e progetti speciali.

Autore: Desirée Maida

Fonte: www.artribune.com, 24 lug 2023

Info: www.treccaniarte.com