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MILANO. Pubblico e privato insieme per il Cenacolo di Leonardo. 800mila euro dalla famiglia Bonomi per tutelarlo.

Pubblico e privato insieme per valorizzare il sistema culturale. Checché se ne dica è la via più fruttuosa per assicurare tutela, conservazione e fruizione del patrimonio storico-artistico italiano, non facile da amministrare proprio perché tanto ricco e articolato. Così a Milano il futuro del Cenacolo Vinciano passa dal sostegno dei fondi stanziati per la cultura nell’ambito del PNRR, ma pure dal generoso finanziamento messo sul piatto dalla famiglia Bonomi, tramite la Investindustrial Foundation.
Un contributo di 800mila euro che si aggiunge al milione di euro garantito dal Ministero della Cultura per alimentare il progetto di ammodernamento e messa in sicurezza del sito culturale più visitato di Milano, sviluppato in collaborazione con il Politecnico. il “nuovo percorso per un museo sostenibile”, presso il Cenacolo dipinto da Leonardo da Vinci nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, costerà complessivamente proprio 1,8 milioni di euro, cifra ora disponibile per concretizzare l’operazione.
L’intervento ha l’obiettivo di razionalizzare i flussi di visita, valorizzando il giardino e consentendo al visitatore di completare l’intero percorso senza mai uscire dagli spazi del museo, garantendo un’esperienza più agevole e completa. Per farlo si ricaverà un nuovo ambiente coperto e climatizzato, addossato al Refettorio, però con l’assicurazione di scongiurare interferenze con la struttura storica: lo spazio potrà essere destinato all’accoglienza dei gruppi e alla preparazione alla visita, ma ospiterà anche i laboratori didattici. Tutto questo a vantaggio di un ecosistema fragile com’è quello del Cenacolo Vinciano, a più riprese oggetto di interventi di restauro e vincoli preventivi per monitorare la sicurezza ambientale di una pittura fragile non solo per le condizioni del contesto, ma, sin dall’origine, per la tecnica d’esecuzione sperimentata da Leonardo (tecnica mista e secco su intonaco).
Già nel 2018, il contributo di una realtà privata – l’Eataly allora amministrata da Oscar Farinetti – aveva facilitato le operazioni conservative, finanziando con 700mila euro il progetto di recupero preventivo degli impianti di areazione del Cenacolo. Poi, nel 2021, il dipinto realizzato dall’artista toscano tra i 1494 e il 1498, Patrimonio dell’Unesco del 1980, era stato di nuovi interventi di restauro e riorganizzazione dei flussi di visita, per controllarne lo stato di salute dopo il ventennale intervento condotto da Pinin Brambilla e concluso nel 1999. E al 2021 risale l’avvio di una stretta collaborazione con il Politecnico di Milano per lo sviluppo di un sistema di gestione integrata dei dati utili al monitoraggio dell’opera, oltre al perfezionamento di un sistema di produzione di energia a pompa di calore (in ottica green) e alla nuova illuminazione progettata da Massimo Iarussi. Il nuovo ciclo di lavori, invece, non partirà prima del 30 giugno 2025, secondo il cronoprogramma previsto dal PNRR, per concludersi non oltre la fine del 2026.
A distinguersi in questa fase è l’atto di mecenatismo della famiglia Bonomi, storicamente impegnata nel sociale a beneficio della città di Milano. È Anna Bonomi Bolchini, prima donna protagonista della finanza, la figura di riferimento della famiglia in tal senso: nella Milano del dopoguerra fu lei a creare l’istituto de “Le Carline”, che accoglieva oltre 60 bambine, provvedendo alla loro completa assistenza fino alla maggiore età. Approccio che si rinnova nella figura di Andrea Bonomi, fondatore di Investindustrial, impegnata con la sua fondazione a sostenere l’istruzione, la protezione e la conservazione dell’ambiente, il patrimonio artistico e culturale e la scienza (in dieci anni di attività sono stati stanziati oltre 30 milioni di euro): “Per una famiglia con origine a Milano nell’Ottocento, partecipare al continuo rinnovamento della città è un onore e un privilegio, ma è soprattutto un dovere”.

Autore: Livia Montagnoli

Fonte: www.artribune.com, 22 ago 2o23

Michele Santulli. Sgarbi e il costume ciociaro.

Eppure è proprio così, la sensibilità e l’apertura mentale e la curiosità nonché, va ricordato, il coraggio e la intransigenza dell’uomo, oltre ad essere suoi sentimenti connaturati e viscerali, sono enormemente al di sopra delle risibili critiche che gli si possono muovere in certe apparizioni pubbliche, pur sempre all’insegna della coerenza e dell’impegno personali.
Di quale altro merito si è reso dunque creditore questo rarissimo personaggio d’arte e di cultura, in Arpino, città di cui è stato unanimamente eletto sindaco?
Domenica 20 p.v., mi conferma la ProLoco, assieme alle contrade di Arpino che rappresentano il Gonfalone, una manifestazione folkloristica che si ripete da molti anni, l’On. Sgarbi e la giunta comunale sfileranno indossando il costume ciociaro!! Un fatto eccezionale, un qualcosa di unico mai avvenuto prima! Basti pensare che i cosiddetti uomini politici, e non solo quelli. che si sono alternati in tutti questi anni in Ciociaria e cioè nella provincia di FR, di LT e in parte di quella di Roma, mai nessuno, a parte la cementificazione criminale e gli intrallazzi, si è mai accorto di questa realtà del costume ciociaro, addirittura non pochi, ancora oggi, nella loro catastrofica ignoranza e relativa arroganza lo identificano con qualcosa di cui vergognarsi!!! Cioè i tirolesi, gli scozzesi, i bavaresi, gli olandesi, ecc. sono onorati, orgogliosi e consapevoli del valore del loro abito tradizionale che indossano normalmente in ogni circostanza pubblica e privata, da sempre, oggi ancora di più proprio per tenere vive le comuni radici ed identità, da noi il costume ciociaro, il più celebre e il più decantato di tutti, è motivo di disonore!!!
Quale nemesi, quale ignominia. Infatti il costume ciociaro, nell’arte europea del milleottocento, e non solo nella pittura, è il soggetto più illustrato e più amato dagli artisti europei, perfino la crema lo ha dipinto: Degas, Corot, Manet, Cézanne, Van Gogh, Matisse, Picasso, Leighton, Briullov, Sargent, perfino i futuristi, nessun soggetto pittorico vanta tali firme…e questi poveracci politici nostrani si vergognano! E hanno inoltre ignorato una autentica gloria di valore internazionale.
Nella quasi totalità dei musei e gallerie del pianeta si può essere certi di vedere appesa alle pareti almeno un’opera che illustra una scena pastorale o una ciociarella, o un pifferaro o un pecoraio o un brigante: non c’è nell’ambito della pittura occidentale, a cavallo tra fine 1700 e prime decadi del 1900, un altro soggetto che possa anche lontanamente avvicinarsi a tale successo!
Quale occasione per il costume ciociaro e per il mondo dell’arte l’apparizione di Vittorio Sgarbi in questa terra tanto trascurata eppure tanto preziosa.
Ritorneremo sul tema affascinante e rivoluzionario con la presentazione delle immagini di Sgarbi ciociaro.
Questo evento certamente sarà l’inizio di una inversione anzi l’inizio del nuovo percorso.
Per eventuali dettagli rivolgersi al sito del Gonfalone o alla ProLoco di Arpino.
Che i sindaci, i cosiddetti politici, soprattutto gli insegnanti di ogni ordine, tuti i cittadini dotati di un pizzico di sensibilità ed amore del bello, assistano alla sfilata e ne traggano godimento e ammonimento.

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu

 

Michele Santulli. Un grande scultore americano e la Ciociaria.

Come ormai ben noto ai milioni di cultori che ogni giorno entrano nei musei in tutto il pianeta, l’uomo o la donna o altro soggetto in costume ciociaro rappresentano una immagine classica e consolidata nel panorama dell’arte occidentale del 1800. Una nota negativa, allo stesso tempo non onorevole, sotto certi aspetti, afferenti ovviamente non i visitatori, è il fatto che tali soggetti pur dunque universalmente ammirati e celebrati, siano senza nome, anonimi! E le connotazioni le più varie quali italiano, regionale, tradizionale, napoletano, abruzzese, romano, zingaro, savoiardo, basco, ecc. vengono impiegate per connotarli: non esiste un soggetto tanto conosciuto e allo stesso tempo così ignorato. E la cosa è particolarmente imbarazzante, alla costatazione che detti soggetti non solamente sono stati dipinti o scolpiti dalla gran parte degli artisti europei dell’epoca come nessun altro soggetto specifico, fatto di per sé straordinario ed unico, quanto sono stati letteralmente immortalati anche dai titani dell’arte di quel secolo, tanto per citarne qualcuno: Degas, Corot, Manet, Cézanne, Van Gogh, Picasso, Severini, Leighton, Sargent, Whistler, Briullov….
Non esiste un altro soggetto nemmeno lontanamente che abbia attratto questi giganti dell’arte! E avviene che la lista dei grandi artisti cultori del personaggio ciociaro, pur se raramente, tende ad ingrossarsi con nuove scoperte: si ricorderà che qualche tempo addietro abbiamo fatto la conoscenza di un’opera ciociara dipinta da uno di questi grandi maestri della pittura e del disegno del milleottocento, di Honoré Daumier, incontestabilmente il maggiore illustratore e vignettista ed anche notevole scultore e pittore dell’epoca. E alla metà del secolo, rigurgitante per la prima volta di moti e sommosse indipendentisti in tutta Europa, anche Daumier, sensibile ed attento quale era, non potette ignorare tale realtà e volle pensare all’Italia: avendo in mente la famosa immagine di Gulliver, il gigante tenuto legato e assaltato da tanti ometti, immaginò anche l’Italia nelle vesti di questo gigante che si svegliava -Le Réveil d’Italie- circondato da tanti soldatini che combattono tutto intorno contro il nemico: e questo gigante, personificazione dell’Italia che si svegliava alla lotta, non era come, si potrebbe pensare, Cavour o Mazzini o Garibaldi; era un ciociaro! cioè l’artista ritenne che il risveglio dell’Italia alla lotta per la sua indipendenza fosse più lucidamente e congruamente illustrato da un italiano tipico e veramente conosciuto, e non solo in Francia, da un ciociaro dunque, piuttosto che da qualche paludato uomo politico.
Si ricordi che in effetti questa umanità, per necessità nomade e girovaga, di artisti ambulanti quali il pifferaro, lo zampognaro, la ballerina col tamburello, erano uno spettacolo consueto per le vie dell’Europa.
Un secondo significativo artista ad occuparsi di queste creature della Ciociaria presenti per le vie del mondo fu uno scultore americano del 1800 tra i più conosciuti, vissuto lungamente a Firenze, Larkin G. Mead (1835-1910). E tra le sue opere, in gran parte pubblici monumenti in America, è stato individuato a parer mio un vero raro suo capolavoro e cioè una ciociara in grandezza naturale in terracotta, in costume, splendida a guardarsi, proprietà, purtroppo, di un privato collezionista: dico purtroppo non per sminuire la bontà e la passione del collezionista ma per il dispiacere che un’opera del genere non possa essere fatta oggetto di gratificazione e di acculturazione pubbliche da parte della gente comune!
E qui tocchiano un tema così delicato e grave che è opportuno non affrontare e che viene rimesso ai lettori di valutare. Non si conoscono le motivazioni e le eventuali occasioni alla base dell’interesse di Larkin G. Mead per questa ciociarella, pur ricordando che non pochi artisti fiorentini si erano occupati intensamente di tali soggetti ciociari quali Luigi Bechi, Vito d’Ancona, Telemaco Signorini stesso che se ne fece particolare promotore e anche Giovanni Fattori con ritratti di ciociare e numerose immagini all’acquaforte realizzate in occasione di un suo viaggio a Bauco oggi Boville Ernica: può darsi un sopraggiunto interesse alla vista di questa splendida ciociara oppure una commissione da parte di qualche cultore o collezionista, chissà. Certamente, è anche vero, che a Firenze non mancavano le evenienze per imbattersi, come ricordato più sopra, in questa umanità girovaga: pifferari, zampognari, ragazze col tamburello… numerose le occasioni a base dei loro spostamenti in tutto il Paese.

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu

Didascalia immagine: Larkin G.M EAD: Ciociara, terracotta, h.1,72 m. Coll.priv.

PAOLO UCCELLO. Il “gran et bel facto d’arme”. La Battaglia di San Romano.

La Battaglia di San Romano è forse l’opera più celebre di Paolo Uccello (Paolo di Dono; Firenze, 1397 – 1475). Il ciclo è composto da tre tavole, conservate in tre diversi musei e racconta un fatto d’armi del 1432: la battaglia combattuta a San Romano tra fiorentini e senesi.
San Romano, 1° giugno 1432. In questa piana, tra Montopoli e Pontedera, si svolse il “gran et bel facto d’arme”, secondo le parole del cronista Guerriero da Gubbio, che non ebbe un effetto decisivo nella guerra che da tre anni opponeva Firenze a Lucca e ai suoi alleati, ma che ebbe il potere, in un momento di difficoltà per la città gigliata, di risollevarne gli animi e diede poi l’occasione a Paolo Uccello di dipingere il suo capolavoro.
Varie fonti parlano di un combattimento durato più di otto ore, dalla mattina al tramonto, che coinvolse, per la parte fiorentina capitanata da Niccolò Mauruzzi da Tolentino, circa 2000 cavalieri e 1500 fanti, mentre il fronte nemico era formato da una più folta compagine di milizie senesi, genovesi, viscontee e imperiali, guidate da Alberico da Barbiano, da Bernardino Ubaldini della Carda (fino a poco tempo prima a capo dell’esercito della Repubblica fiorentina, ma inaspettatamente passato allo schieramento avverso) e da Antonio Petrucci. Giovanni Cavalcanti parla di una «zuffa grande e terribile», resa assordante dal clangore delle armi: «lo scoppio delle lance, e il martellamento delle spade, e il busso de’ cavalli, la terra con l’aria ne facevano mutamento». La giornata non si stava mettendo affatto bene per i fiorentini, ma al tramonto fu il provvidenziale intervento di Micheletto da Cotignola, chiamato in soccorso dal Tolentino, a capovolgere in maniera imprevista le sorti dello scontro.
Per molto tempo le tre tavole di Paolo Uccello oggi esposte alla Galleria degli Uffizi, alla National Gallery di Londra e al Musée du Louvre sono state ritenute frutto della committenza medicea, principalmente in virtù del fatto che nel 1492, all’indomani della morte di Lorenzo il Magnifico, esse si trovavano in Palazzo Medici a Firenze.
Ricerche svolte una ventina di anni fa da Francesco Caglioti hanno rivelato una storia assai diversa, che potremmo definire come l’affaire Bartolini Salimbeni. Oggi sappiamo come nel 1483 i fratelli Andrea e Damiano Bartolini Salimbeni, membri di una tra le famiglie più in vista della città, avessero portato le opere, ereditate dal padre Lionardo, nella loro villa di campagna a Santa Maria a Quinto. Il testé citato Lorenzo de’ Medici aveva ottenuto la metà della proprietà della terna di dipinti da Andrea, mentre Damiano era ben fermo a non cedere la propria parte, nonostante i tentativi svolti per persuaderlo a rinunciarvi. La determinazione di costui aveva spinto Lorenzo ad un gesto risolutivo: un suo emissario, noto come Francione, era stato inviato alla dimora fiorentina di Damiano, ove quest’ultimo aveva portato i tre dipinti, nel timore della loro sottrazione contro la sua volontà. Conosciamo tutti questi retroscena grazie ad un documento del 1495, dal quale apprendiamo come in precedenza lo stesso Damiano avesse inoltrato richiesta per la restituzione delle Battaglie, che dovevano dunque essergli state sottratte. In un momento in cui i Medici erano stati esiliati da Firenze, lo stesso atto disponeva circa la restituzione a Damiano della metà della proprietà, con il diritto di acquistare l’altra, a seguito della recente morte del fratello.

Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano, Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini (1438-1440 circa; tempera su tavola, 182 x 320 cm; Londra, National Gallery)
Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano, Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini (1438-1440 circa; tempera su tavola, 182 x 320 cm; Londra, National Gallery)

Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano, Il disarcionamento di Bernardino della Carda (1438-1440 circa; tempera su tavola, 182 x 323 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)
Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano, Il disarcionamento di Bernardino della Carda (1438-1440 circa; tempera su tavola, 182 x 323 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)

Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano, L’intervento di Micheletto da Cotignola (1438- 1440 circa; tempera su tavola, 182 x 317 cm; Parigi, Louvre)
Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano, L’intervento di Micheletto da Cotignola (1438- 1440 circa; tempera su tavola, 182 x 317 cm; Parigi, Louvre).

Da dove vengono quindi i tre pannelli della Battaglia di San Romano? Verosimile loro committente fu il summenzionato Lionardo di Bartolomeo Bartolini Salimbeni (1404 – 1479), che conosciamo per altri episodî di patronato delle arti a Firenze: l’analisi dello stile conduce verso la fine degli anni Trenta e ciò coincide con un momento focale della vita del personaggio, quale fu il matrimonio con Maddalena di Giovanni Baroncelli, nel 1438, occasione che dovette portare all’abbellimento del palazzo in cui i coniugi avrebbero abitato, sito nei pressi della chiesa di Santa Trinita. Nella “Camera grande” di questo edificio un atto del 1480 documenta la presenza della “Rotta di Niccholò Piccinino”, che può riconoscersi nel ciclo uccellesco, giacché lo stesso soggetto è quello ricordato nella sopra citata delibera del 1495. In origine i dipinti non esibivano il formato rettangolare che vediamo oggi, ma si chiudevano in alto con un profilo arcuato, coerente con la loro destinazione in una sala coperta da volte e quindi dalle pareti interrotte da lunette, entro cui le tavole si incastonavano: non come gemme di una galleria di quadri, come sarebbe stato nell’allestimento poi creato da Lorenzo il Magnifico nel suo palazzo, ma quali elementi di arredo domestico, in maniera non molto dissimile dall’immagine che altre residenze dell’alta borghesia fiorentina potevano avere. Le manomissioni sui supporti sono la conseguenza dei varî spostamenti cui, come detto, le tavole andarono soggette.
La scelta dell’artefice cui affidare la commissione ricadde su Paolo Uccello probabilmente perché pochi anni prima egli aveva dato prova, in un’impresa di prestigio e di forte impatto pubblico quale era stata la frescatura del Monumento a Giovanni Acuto nella cattedrale di Santa Maria del Fiore (uno dei ‘manifesti’, in pittura, dell’umanesimo fiorentino), di rappresentare con la dignità degli antichi un celebrato uomo d’arme quale era stato il condottiero già al servizio della Repubblica, assimilabile a quei Niccolò da Tolentino o Micheletto da Cotignola che erano stati protagonisti onorati della battaglia di San Romano.
L’interpretazione dei soggetti illustrati nel ciclo non è univoca. Siamo soliti leggerli partendo dalla tavola di Londra, in cui Niccolò da Tolentino, alla testa delle milizie fiorentine, muove battaglia al fronte avverso, mentre sullo sfondo compaiono, oltre ad alcuni fanti alle prese con picche e balestre, due soldati che fuggono in lontananza, che potrebbero essere gli emissari inviati a Micheletto da Cotignola.
Il secondo elemento della serie, a noi più noto, è quello degli Uffizi, il solo a contenere, a mo’ di decorazione araldica dello scudo posto nell’angolo sinistro, la firma “PAULI UGIELI OPUS”. Esso celebra la sconfitta dell’esercito opposto ai fiorentini, con un condottiero (in genere identificato in Bernardino Ubaldini della Carda) che viene disarcionato da una lunga lancia orizzontale che fende altresì il dipinto a metà.
Il terzo pannello del trittico, oggi al Louvre, viene riconosciuto come il momento risolutivo per le sorti dello scontro, con l’irruzione del Cotignola e dei suoi armati, che avrebbe sbaragliato la compagine nemica.
Il tono di questi dipinti si accosta a quello dell’epic style della letteratura tardo medievale, dalle chansons de geste ai romanzi cavallereschi, che doveva essere ancor vivo sia nella cultura profana sia nella sensibilità visiva del primo Rinascimento. L’idea della zuffa è resa evidente dall’assiepamento dei militi, dall’intreccio delle lance, dall’apparato di armi e corazze (per lo più eseguite con lamine metalliche), dal variopinto assembramento di vessilli e stendardi, ma del sangue vi sono poche tracce.
Tutto appare più simile alla rappresentazione di un torneo, su cui domina un senso di metafisica ed astrazione. Uccello sembra perfino compiacersi dei modellini di legno di cui si è verosimilmente servito per studiare l’anatomia dei cavalli: non solo i movimenti o il moto imbizzarrito mantengono sempre un’evidenza statica, ma laddove gli animali sono crollati a terra, come si nota nel primissimo piano dell’episodio degli Uffizi, è come vedere i cavalli delle giostre, smontati dal telaio meccanico che li manteneva in piedi e abbandonati come inutili giochi. Lasciati a terra come reliquie della battaglia sono pure gli scudi, i pezzi di armature simili a congegni fuori uso, e allo stesso modo i soldati riversi, elementi di una natura morta divenuti altrimenti utili alla creazione della griglia prospettica, non meno del reticolo delle picche spezzate o dei riquadri di zolle erbose, direzionati verso un punto di vista centrale che giunge a delimitare una vera e propria scacchiera di direttrici geometriche. Epopea più ludica e intellettuale che realistica.
L’esprit de géométrie di Paolo si esprime, di nuovo con intenti di sublime astrazione, nella creazione di mazzocchi simili a prismi sfaccettati, issati sul capo di alcuni cavalieri, nella Battaglia degli Uffizi. Questo tipo di copricapo, tipico del primo Quattrocento fiorentino, è trasformato dal pittore in un poliedro virtuosamente scorciato, ovviamente inverosimile nel contesto di uno scontro reale, ma consono alle attitudini intellettuali della visione uccellesca. Sotto questo versante, un ponte collega l’artista a Piero della Francesca, che proprio nella Firenze prospettica capeggiata da maestri quali Paolo Uccello aveva svolto la propria formazione: coi loro protagonisti colti in atti e movimenti sospesi oltre la dimensione del tempo, l’intarsio colorato di forme cubiche, le due scene di battaglia nel ciclo della Vera Croce in San Francesco ad Arezzo non potrebbero esistere senza il precedente di quelle qui commentate.
Per come lo conosciamo oggi e per ciò che narra Giorgio Vasari, Paolo era soprattutto noto al tempo come frescante, meno come pittore su tavola, specialmente nel grande formato. Con le loro dimensioni ragguardevoli i tre episodî della zuffa di San Romano costituiscono pertanto un’eccezione significativa, trattandosi peraltro dell’esempio più alto, nel campo della pittura quattrocentesca su tavola, nell’illustrazione del tema della battaglia. Ma sono altresì il fondamento della fortuna moderna del loro autore. Soltanto nel clima delle Avanguardie si attua la straordinaria riscoperta di Paolo nella cultura non solo italiana del Novecento, grazie alle prese di posizione di intellettuali ed artisti, da Schwob a Picasso, da Soffici a Carrà e a De Chirico, sino all’omaggio ai cavalieri immobilizzati al suolo reso da alcuni impressionanti fotogrammi del film Lancelot du Lac (1974) di Robert Bresson.

Autore: Mauro Minardi

Fonte: www.finestresullarte.info, 24 mar 2022

ROMA. La Gloria di Sant’Ignazio di Andrea Pozzo adesso è fruibile online in Haltadefinizione.

È tra i “must see” per tutti i turisti, viaggiatori e appassionati che si trovano a Roma, un capolavoro che, come se fosse una malìa, costringe lo spettatore a stare con il naso in su.
È l’affresco realizzato da Andrea Pozzo per la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma raffigurante la Gloria di Sant’Ignazio: un tripudio di vedute ardite, colori, illusioni prospettiche che fanno di quest’opera la quintessenza del barocco romano. Un capolavoro che, da oggi, è fruibile in ogni suo dettaglio anche in modalità virtuale grazie ad Haltadefinizione, tech company specializzata nella digitalizzazione di beni culturali che ha acquisito l’intera superficie affrescata della volta con tecnologia gigapixel su concessione del Fondo Edifici di Culto (Fec), proprietario del monumento.
La Gloria di Sant’Ignazio è solo l’ultimo dei dipinti digitalizzati e resi fruibili online da Haltadefinizione, dopo l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci e l’intero ciclo di affreschi realizzati da Giotto all’interno della Cappella degli Scrovegni di Padova.
La digitalizzazione dell’affresco di Andrea Pozzo da parte di Haltadefinizione arriva nell’anno in cui ricorre il 500esimo anniversario dalla conversione di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, di cui fece parte anche Andra Pozzo. Sul sito di Haltadefinizione, è così possibile zoommare su ogni dettaglio dell’affresco, ingrandendolo fino a dieci volte.
“Nell’anno delle celebrazioni mondiali per i 500 anni dalla conversione di Sant’Ignazio”, spiega Luca Ponzio, founder di Haltadefinizione, “ci uniamo alle commemorazioni offrendo la possibilità a tutti gli amanti dell’arte di scoprire l’affresco di Andrea Pozzo in formato digitale, e favorire, cosi`, la divulgazione e la conoscenza di questo capolavoro spettacolare”. Ecco a voi alcuni particolari della Gloria di Sant’Ignazio, davvero come non l’avete mai visto.

Guarda qui la “Gloria di Sant’Ignazio” di Andrea Pozzo in Haltadefinizione

Autore: Desirèe Maida

Fonte: www.artribune.com, 6 giugno 2021