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TORINO. Visita guidata a Palazzo Madama con il robot umanoide R1.

Non è passata inosservata la notizia delle prime sperimentazioni che hanno visto l’applicazione di tecnologie digitali innovative al servizio di esperienze culturali all’interno dei musei di Torino grazie alla rete 5G. I test, inseriti nell’ambito del progetto finanziato dall’Unione Europea 5G-TOURS “5G smarT mObility, media and e-health for toURists and citizenS”, Città di Torino – Assessorato e Direzione Innovazione, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura – Ericsson, TIM, Fondazione Torino Musei e Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, con il contributo dei partner internazionali Atos e Samsung, si sono svolti (e sono tutt’ora in corso) nel mese di maggio nelle sale della GAM e di Palazzo Madama.
In particolare, Palazzo Madama ha dato la possibilità ai propri visitatori di vivere tre diverse esperienze: una visita guidata in telepresenza dei sotterranei del Palazzo, di norma non aperti al pubblico, grazie al Minirobot Double 3 che, sfruttando la tecnologia 5G, è in grado di spostarsi con reattività e precisione anche negli spazi più ristretti; un’attività didattica che attraverso visori Meta Quest, anch’essi connessi alla rete 5G, permette al pubblico di risolvere un puzzle riposizionando i dipinti di Camera delle Guardie nelle proprie cornici, maneggiando e spostando virtualmente le opere presenti nella sala che, nella realtà, non è possibile toccare; e, infine, la visita guidata nella Sala Ceramiche del secondo piano accompagnati da R1, robot umanoide progettato dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e concepito per operare in ambienti domestici e professionali, il cui sistema di navigazione autonomo e remoto ben si integra con la larghezza di banda e la latenza offerta da una connessione 5G.
Durante le giornate delle sperimentazioni ho avuto modo di partecipare a una di queste visite, quella con il robot umanoide R1: ecco com’è andata.

Come funziona il robot umanoide per le visite guidate
Il robot R1 è alto 1 metro e 25 centimetri, pesa 50 kg ed è composto per il 50% in plastica e per il restante 50% in fibra di carbonio e metallo. Secondo quanto riportato sul sito web del museo, R1 “è in grado di descrivere le opere e rispondere alle domande relative all’autore o al periodo storico cui appartengono. La connettività 5G è necessaria a trasmettere a calcolatori esterni la consistente mole di dati generata dai sensori e dagli algoritmi che gestiscono la percezione dell’ambiente, la navigazione autonoma e la gestione dei dialoghi da parte del robot, con tempi di risposta molto rapidi”.
Il microfono principale, collocato sopra la spalla sinistra del robot, permette di selezionare prima della visita la lingua con la quale parlerà. Ci sono anche altri microfoni, posizionati in altre zone del corpo dell’umanoide, ma si tratta per il momento di prototipi. Pur essendo dotato di occhi, questi non svolgono alcuna funzione, ma sono in realtà solo disegnati sullo schermo che costituisce la testa del robot, al fine di rendere i tratti della macchina più umanizzati dal punto di vista estetico (esiste un dipartimento apposito che si occupa proprio dell’interazione uomo-macchina).
A far muovere R1, che si sposta su ruote, sono più telecamere a infrarossi che creano una ricostruzione 3D dello spazio. Questa viene confrontata dal robot con una mappa dell’ambiente che gli è stata fornita in precedenza, permettendogli di individuare eventuali ostacoli come, ad esempio, la bordatura lignea delle teche che conservano le ceramiche. Nella parte bassa del corpo, un laser tipo fascio su un piano serve a misurare ulteriori ostacoli e a fargli capire dove si trova. Un altro laser, collocato sopra la testa, gli permette di individuare ingombri che non poggiano sul suolo, come ad esempio le vetrine a parete. Il materiale di cui è rivestito esternamente è pensato appositamente per consentire al robot di sentire la pressione e permettergli di reagire, nel caso in cui dovesse incontrare degli intralci di cui non era stato messo precedentemente a conoscenza.
Prima di ogni visita, R1 ha bisogno di essere ricaricato. Gli servono circa 10-15 minuti per poter svolgere a pieno le proprie funzioni. Se non fosse che a condurre l’attività è una macchina, per quanto riguarda l’impostazione della visita (percorso prestabilito, discorso da fare, linguaggio da utilizzare) non ci sarebbero molte differenze con una visita guidata tradizionale svolta attraverso le classiche audioguide che si noleggiano all’ingresso del museo.
Le nozioni che il robot trasmette, grazie a un sistema vocale dai toni piuttosto femminili, così come il percorso da svolgere gli sono state fornite in precedenza, alla stregua della mappa dello spazio in cui si muove. Se nell’ambiente, però, ci sono troppi rumori, tende a confondersi e a ripetere quanto appena detto. Nel caso in cui non riesca a riconoscere lo spazio nel quale si sta muovendo o se trova degli ostacoli inaspettati come, per esempio, delle persone, ricalcola il percorso al grido di “Fatemi spazio”. Ogni interruzione al naturale (o artificiale?) corso degli eventi, siano ostacoli fisici o uditivi, viene riconosciuto dal robot come una sorta di errore del sistema. Al termine della visita, R1 invita i partecipanti a fargli delle domande e, nel caso in cui nessuno si faccia avanti, a consultare una lista delle domande creata appositamente. In alternativa, si può scegliere di dare il comando vocale “Fine tour”.

Ne avevamo davvero bisogno?
Il mio approccio a esperienze di questo tipo, forse frutto di uno scetticismo di partenza, è un misto di curiosità e sospetto. Non c’è dubbio che l’attività di ricerca scientifica, innovativa e digitale che sta alla base del progetto sia di grande valore e che sia frutto del lavoro eccellente di menti esperte. Quello che mi chiedo è però: ne avevamo davvero bisogno? Non sarebbe, invece, più utile applicare lo stesso tipo di tecnologia in contesti in cui la “macchina” possa generare un beneficio reale per l’uomo?
Probabilmente è un modo di pensare semplicistico il mio, che relega l’uso della tecnologia a mero strumento assoggettato al servizio delle persone. E, verosimilmente, lo stesso tipo di scetticismo ha accompagnato le varie fasi che hanno caratterizzato l’evoluzione tecnologica nel tempo, in diversi settori. Ma in un contesto come quello museale, in cui il digitale trova da tempo (anche se, forse, in modo non sufficientemente ampio) impiego, la presenza di un robot umanoide alla conduzione di visite guidate non aggiunge nulla di più all’esperienza svolta, anzi. Ciò che viene narrato da R1 nel corso della visita potrebbe essere detto da una qualunque guida museale, preparata ed esperta nel svolgere il proprio lavoro. Chiaramente, la memoria umana è fallace e il database di informazioni del quale ognuno di noi può essere dotato è sicuramente inferiore alla capacità di immagazzinare dati di un robot, fermo restando che anche in questo caso un limite esiste. C’è, infatti, una componente empatica e caratteriale che, inevitabilmente, in un’esperienza di questo genere viene a mancare. Le visite guidate condotte da una persona in carne e ossa sono costituite, oltre che da nozioni, anche da sguardi, gesti, sorrisi, intenzioni, intuibili persino sotto le mascherine. Insomma, il tutto è ben più della somma delle singole parti.
Il vero vantaggio nell’impiego di un umanoide in sostituzione dell’uomo resta quello economico. I costi di produzione, oltre le prime sperimentazioni, di un robot come R1 dipendono soprattutto dal tipo di materiali che lo compongono. Nel momento in cui si riuscissero a trovare materiali performanti e poco costosi, la macchina potrebbe essere riprodotta in serie e, a quel punto, subentrare all’uomo. Nel microcosmo del mondo della cultura in cui migliaia di giovani laureati faticano a trovare spazio, questo scenario potrebbe assumere i connotati di una sconfitta. Le guide nei musei sono, purtroppo, tra le vittime di un sistema malato che caratterizza il mercato del lavoro in ambito culturale in Italia, con contratti precari e stipendi non adeguati.
Tornando alla mia esperienza di visita guidata con il robot umanoide R1, mi chiedo se non sarebbe forse il caso di fare un passo indietro e rivedere gli elementi che compongono l’equazione: da un lato il grande potenziale dell’evoluzione tecnico-scientifica, dall’altro i punti cardine che caratterizzano l’attività dei musei, ovvero la conservazione e la valorizzazione del patrimonio. Una soluzione realmente innovativa non dovrebbe mai dimenticarsene.

Autore: Monica Mariosi

Fonte: www.finestresullarte.info, 18 mag 2022

UDINE. Digitalizzato il Codice Florio della Divina Commedia: ora è a disposizione degli studiosi.

Uno dei più preziosi manoscritti conservati nella Biblioteca Florio dell’Università di Udine, il codice della Divina Commedia datato fra il XIV e il XV secolo, noto agli studiosi come Codice Florio, dal 17 dicembre, in vista del centenario della morte di Dante (1321-2021), sarà a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo grazie alla copia digitale consultabile su Teche.uniud (https://teche.uniud.it), la biblioteca digitale dell’Ateneo di Udine.
Un passo importante se si considera che, negli ultimi due secoli, il Codice è stato maneggiato concretamente da pochi ricercatori o è stato per lo più consultato mediante riproduzioni fotografiche non eccellenti. La digitalizzazione del Codice potrà facilitare la consultazione e la tutela di questo documento. Si aprono, così, nuove prospettive per far luce su alcuni importanti interrogativi ancora aperti: dove fu trascritto, l’epoca e la strada attraverso cui giunse in Friuli prima di arrivare nelle mani dei Florio, ma anche quale fu il suo ruolo nel quadro più generale della storia e della cultura locale.
Il Codice Florio digitale è stato presentato in un incontro online, aperto a tutti. La presentazione verrà resa disponibile online anche su PlayUniud (www.uniud.it/playuniud), il canale YouTube dell’Università di Udine dedicato alla divulgazione scientifica.
Il Codice Florio è parte del patrimonio della Biblioteca Florio, costituita dai fratelli Daniele e Francesco Florio nel corso del Settecento, che comprende oltre 13 mila volumi a stampa – la gran parte dei secoli XV-XVIII, ma molti anche dei secoli XIX-XX, che rispecchiano il meglio della cultura settecentesca italiana ed europea – e alcuni preziosi manoscritti tre-quattrocenteschi, cui si aggiungono i classici greci e latini e la poesia arcadica, oltre a opere di storia naturale, di archeologia e di agronomia.
La Biblioteca è riconosciuta fra le dieci biblioteche di interesse regionale presenti in regione e costituisce uno dei più cospicui e preziosi patrimoni storico-culturali del Friuli Venezia Giulia. Con le sue eleganti originali scaffalature lignee e parte della quadreria, la Biblioteca Florio fu donata nel 2013 all’Università di Udine dal professor Attilio Maseri. Da allora ha ritrovato la sua collocazione nel contesto originario del palazzo di residenza dei Florio, oggi sede dell’Ateneo.
La biblioteca digitale di Ateneo “Teche.uniud” è un progetto che vuole far conoscere il materiale bibliografico, archivistico, documentario e fotografico conservato nelle Biblioteche dell’Ateneo. Attraverso la digitalizzazione e messa a disposizione degli studiosi di ogni parte del mondo, l’obiettivo è anche quello di valorizzare collezioni, pezzi unici e materiali che raccontano la storia dell’Università di Udine. Inoltre, permette di accedere, direttamente o da remoto, a banche dati, e-journals e e-books sottoscritti dall’Ateneo.

Fonte: www.messaggeroveneto.gelocal.it, 15 dic 2020

Silvia BINOTTO. L’ARCHEOOGIA INCONTRA IL DIGITALE. Il caso significativo dell’Università degli Studi di Padova.

Ribadire l’importanza e l’influenza dei media digitali e delle nuove tecnologie nella nostra quotidianità e nella società in generale non ha più alcun senso: qualsiasi persona, e di qualsiasi età, abituata ormai ad utilizzare uno smartphone e ad avere tutto sotto controllo con un click, sa e conosce personalmente come l’internet, i social media e le nuove tecnologie digitali abbiano completamente e radicalmente modificato vari aspetti della nostra vita, semplificandone alcuni, complicandone altri.

Leggi tutto nell’allegato: L’Archeologia incontra il digitale

Autore: Silvia Binotto – binottosilvia@gmail.com

G.E.P. – Nascerai artista da Terni a Madrid.

L’Accademia di Belle Arti di Terni ha ideato, in collaborazione con l’Academia Taller de Prado di Madrid, un nuovo Progetto europeo per valorizzare le singole realtà, il patrimonio culturale, le tradizioni, espressione di identità territoriale.
Queste singole identità collegandosi tra di loro, riscoprono la ricca trama di legami storico-culturali che unisce l’intera Europa. L’evento ‘Nascerai artista da Terni a Madrid‘ si inserisce nel contesto delle ‘Giornate Europee del Patrimonio 2007’ organizzate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per i prossimi 29 e 30 Settembre. Lo slogan di quest’anno è ‘Cultura e patrimonio: una strada verso l’Europa’.
L’obiettivo di questo importante e prestigioso appuntamento è quello di incentivare e rafforzare il dialogo e lo scambio in ambito culturale tra i Paesi europei valorizzando i contenuti della cultura e del patrimonio.

Partendo da questo concetto, l’Accademia di Belle Arti di Terni e quella di Madrid intendono riscoprire, sulla base delle rispettive percezioni culturali, le radici secolari dei vincoli esistenti tra Spagna e Italia.
L’eccezionale similitudine dei rispettivi metodi didattici e, addirittura la somiglianza della struttura scolastica, hanno generato un’insolita curiosità che ha portato i due Direttori delle Accademie, il maestro Igor Borozan e il dott. Francisco Molina Montero, ad intraprendere con entusiasmo questo percorso alla scoperta di un linguaggio comune, fluido, eclettico.
‘Nascerai artista da Terni a Madrid’, non è una partita nè tantomeno una gara, anzi, è l’incontro straordinario di un gruppo di artisti lontani e ‘vicini’, dal cuore dell’Italia al cuore della Spagna e non soltanto per posizione geografica, che vede le due realtà situate proprio al centro dei due Paesi.
Ci piace pensare che si è aperta una nuova via tra la nostra città ombra e una capitale, quale Madrid, due realtà sicuramente diverse. ‘Via est vita’ usavano dire i Latini, ossia la strada è la vita.

‘Nascerai artista da Terni a Madrid’ sarà infatti un sito concepito come una vera e propria strada, una realtà multietnica di uomini in viaggio, un’ imponente esposizione virtuale di opere di artisti italiani, spagnoli e non solo. Un dialogo interculturale tra professionisti che si incontrano e si confrontano sul piano artistico scambiando e riscoprendo affinità, diversità. L’arte diventa, in tal modo, il più importante veicolo per diffondere la conoscenza: un ponte tra individualità, universalità, tra passato e futuro.
La mostra sarà visibile a partire dal prossimo 29 Settembre sui siti www.italianartschool.it e www.academia.tellerdelprado.com.

Il viaggio continua…

 

Info:

ACCADEMIA DI BELLE ARTI-INTERNATIONAL ART SCHOOL
Corso Tacito n.20 – Terni – Tel 0744 431918.

Link: HTTP://www.italianartschool.it

Email: info@italianartschool.it

FIRENZE: Le opere degli Uffizi in un catalogo virtuale.

Puntare su Internet, fiere di settore e sponsorizzazioni tecniche per raggiungere i propri clienti e valorizzare il marchio e i prodotti. Sono questi i punti fermi della comunicazione di Centrica, azienda fiorentina che fornisce servizi e prodotti nelle aree web, imaging e multimedia per aziende e Pa, soprattutto nell’ambito dei beni culturali.
Per comunicare l’azienda utilizza principalmente il web. «Il 60-65% dei nostri investimenti — racconta Marco Cappellini, amministratore delegato — è rivolto a Internet. Oltre al mailing diretto il nostro lavoro consiste nel creare siti specifici per particolari eventi. Uno di questi è stata l’inaugurazione, nel gennaio scorso, di una mostra in occasione dell’apertura dell’anno dell’Italia in Cina, un progetto realizzato assieme al dipartimento innovazione tecnologica del Ministero dei beni e delle attività culturali».
L’azienda si serve inoltre di inserzioni in motori di ricerca, mentre non ricorre a pubblicità attraverso le directories.
Il secondo canale di comunicazione in per importanza è costituito dalle fiere di settore: tra queste Cepic, fiera itinerante che riguarda le aziende fotografiche, Eva Florence, dedicata alle tecnologie applicate ai beni culturali, e Nuovo&Utile, che si occupa trasversalmente di sviluppo tecnologico. Il terzo canale di comunicazione è quello delle sponsorizzazioni tecniche: nel 2000 l’azienda si è occupata di una mostra di un ceramista fiorentino e in seguito ha lavorato per gli Uffizi.
«Tramite questi mezzi — conclude Cappellini — nel nostro ambito siamo riusciti a essere percepiti e riconosciuti con molta precisione».
Fondata nel 1999, Centrica ha 10 dipendenti, un fatturato di 500mila euro e spese di comunicazione di circa 15mila euro. Tra i fiori all’occhiello dell’azienda c’è la digitalizzazione dell’intero patrimonio esposto e di parte dei depositi degli Uffizi. Per questo lavoro, che ha richiesto quattro anni, dal 1999 al 2003, l’azienda si è aggiudicata il premio Impresa e cultura 2003 del II Sole 24 Ore, per la migliore sponsorizzazione tecnologica.
A questo premio si è recentemente aggiunto l’Ist Grand Prize 2006, una menzione che si assegna alle venti migliori aziende europee nel settore delle Information Society Technologies. Centrica è stata l’unica azienda italiana a superare la selezione. L’ambito commerciale è prevalentemente italiano, anche se sono stati sviluppati progetti europei come il programma Galileo e sono in corso collaborazioni con le imprese giapponesi Hitachi e Toppan Printing.


 

Autore: Fabrizio Patti

Fonte:Il Sole – 24 Ore