La Stupinigi degli scandali nelle mani dell’elettricista. Entrare alla reggia è un’impresa. Dominano caos e improvvisazione.
C’è chi arriva da Londra, dalla Francia, da Pavia, o dalla parte opposta di Torino. Comitive di amici, famiglie con passeggini al seguito, coppiette di fidanzati.
“Che bella Stupinigi. Chissà se si può visitare il parco: i colori sono meravigliosi”, commenta una signora francese entrando distratta nell’atrio del museo della Palazzina di Caccia. Ma il suo sorriso si trasforma subito in smorfia di delusione, guardando la braccia del custode che mima il gesto di chiusura. “L’ultimo turno di visite inizia alle 15,15. Spiacenti, riapriamo venerdì prossimo”. Altri arrivano alla spicciolata e poi se ne vanno insieme, imbronciati. I custodi sospirano: “Non possiamo farci niente: queste sono le disposizioni del Mauriziano”.
Tre giorni di apertura alla settimana: dal venerdì alla domenica. Sei turni di visita al giorno, per un massimo di 40 persone alla volta. E’ la regola. E leggendo con attenzione i cartelli si scopre anche che si tratta di visite “accompagnate” e non “guidate”: i custodi dovrebbero limitarsi a condurre le persone attraverso le sale senza apire bocca. Dovrebbero.
In realtà fanno anche da guide. “Come si fa a starsene zitti. Che immagine daremmo alla gente”, dicono. Ieri per sopperire alla mancanza di personale c’era pure un elettricista del Mauriziano nel ruolo di accompagnatore. “Si fa quello che si può di questi tempi…”.
E lì, a due passi dall’atrio, dietro una porta a vetri sorvegliata da un uomo armato, ci sono i mobili rubati nel febbraio del 2004 e ricomparsi, dopo una lunga trattativa tra investigatori e ladri, venerdì notte in un campo di Villastellone. “Davvero sono qui i mobili ritrovati? Figurati se li fanno vedere…”, dice una ragazza stringendosi al braccio del fidanzato.
Una domenica qualsiasi a Stupinigi: duecento visitatori circa. “Nella media”, spiegano all’ingresso. L’unico che fa affari è il caffè del borgo, che accoglie le carovane di “respinti”: quelli che per pochi minuti non sono riusciti ad entrare e si accontentano di fare una passeggiata di fronte al cancello monumentale o di scattare una foto al centro del viale.
Ecco l’altra faccia del museo di Stupinigi, un tesoro offuscato dal tracollo economico-gestionale del Mauriziano: un declino che si ripercorre nella storia grottesca dei mobili del Piffetti e del Bonzanigo, rubati in una notte d’inverno, sotto la neve, mentre un allarme suonava invano. E mica con attrezzature da film: muscoli robusti e un paio di camioncini per trasportare specchiere e cassettoni. A giudicare dalle tracce lasciate è bastato un cacciavite per violare la palazzina, per forzare una porta sul retro.
Un colpo audace, agevolato però dalle “leggerezze” del custode notturno assuefatto, forse anche irritato, da un allarme che spesso scattava a vuoto. “Come adesso, del resto”, ripetono i custodi.
Ma il fatto più clamorso di questo colpo da record è che si è scoperto solo ora, recuperando la refurtiva, che i ladri avevano portato via anche tavolini settecenteschi dal magazzino restauri della Palazzina. Oggetti di grande valore di cui si ignorava il furto e che i ladri avrebbero potuto trattenere impunemente. La stessa noncuranza che in fondo si ritrova oggi al museo, dove a poche settimane dalle olimpiadi invernali, non ci sono cartelli informativi in più lingue o un’accoglienza degna dello splendore della reggia sabauda. E come se non bastasse, ci vorrà del tempo prima di poter vedere tutti i mobili trafugati tornare al loro posto.
Gli esperti della Soprintendenza hanno fatto un inventario completo, annotando meticolosamente i danni riscontrati e la loro entità. “Sono mobili delicati, alcuni avranno bisogno di restauri. I quadri sono in buono stato, sono solo sporchi di terra: basterà ripulirli”. I danni più evidenti riguardano il cassettone a ribalta con incisioni in avorio della seconda metà del ‘700: è rotto in più parti. I decori di alcune specchiere invece si sono frantumati: rimetterli insieme sarà come ricostruire un puzzle.
Autore: Massimiliano Peggio
Fonte:La Stampa