Umberto Zanotti Bianco merita di essere ricordato non solo per il contributo che dette all’archeologia magno-greca, da Sibari a Paestum, ma anche perché egli rappresentò e rappresenta una figura rarissima al giorno d’oggi, quella di un grande intellettuale che non disdegnava di scendere nell’arena dei problemi quotidiani del Paese, e che vedeva come essenziali per il suo sviluppo i temi del patrimonio culturale.
Quella che Zanotti Bianco ha perseguito in tutta la sua vita con ammirevole coerenza fu una battaglia contro l’ineguaglianza, soprattutto (ma non solo) tra il Nord e il Sud d’Italia. Alla radice di quel suo generoso, costante combattere per i poveri e gli oppressi (non per niente gli amici lo chiamavano ‘il cavaliere rose-croix’) fu un giovanile empito, propriamente religioso, che lo accompagnò fino alla morte. All’inizio, fu l’educazione nel collegio barnabita ‘Carlo Alberto’ di Moncalieri; ma il cuore del messaggio che egli vi recepì non aveva nulla di bigotto, anzi si nutriva, grazie specialmente al padre Giovanni Semeria, di una religiosità tutta volta all’agire e dei fermenti del modernismo, contestati e repressi dalla Chiesa ufficiale.
L’incontro decisivo per il giovane ‘piemontese di Creta’ (lì era nato, nel 1889, da un diplomatico italiano e da madre inglese), fu però quello con Antonio Fogazzaro. Letto “Il Santo”, romanzo che a Fogazzaro era costato la pesante censura della Chiesa romana, Zanotti fece di tutto per incontrare lo scrittore, e finalmente lo conobbe nell’autunno 1908, l’autunno in Valsola che un amico di quegli anni, Tommaso Gallarati Scotti, avrebbe sapientemente evocato. Da quell’incontro, vissuto con l’intensità febbrile di un adolescente, Zanotti trasse un principio a cui avrebbe sempre tenuto fede: evitare a ogni costo “il pericolo di una vita dell’intelletto che sia priva di ogni azione pratica nel campo sociale e morale”.
Pochi mesi dopo l’incontro con Fogazzaro, la sconvolgente notizia del tragico terremoto del 28 dicembre 1908, che rase al suolo Messina, Reggio e altri comuni nell’area dello Stretto, provocando un numero di morti vicino a centomila. Fogazzaro contribuì alla gara di solidarietà che percorse allora l’Italia, e fu per suo suggerimento che Zanotti Bianco partì immediatamente per unirsi alle squadre di soccorso. Fra le macerie di Messina conobbe Gaetano Saivernini (che vi aveva perso la famiglia) e Maksim Gor’kij: due incontri, questi, che si sarebbe tentati di prendere a simbolo di due importanti filoni della sua vita negli anni successivi, l’interesse per il mezzogiorno d’Italia e quello per le popolazioni slave oppresse dal governo zarista.
Fu così che nacque, nel 1910, l’Associazione nazionale per gli interessi del mezzogiorno d’Italia (Animi), con la presidenza onoraria di Pasquale Villari e quella effettiva di Leopoldo Franchetti.
L’uno e l’altro puntavano a una redistribuzione della proprietà agraria fra i contadini come fattore primario di rinnovamento economico e sociale. Zanotti, con Gallarati Scotti e altri, preferirono individuare come veicolo essenziale del riscatto del Sud la cultura e la scuola, e si ripromisero di aprire asili, scuole, biblioteche, ambulatori medici nei villaggi più derelitti (il consuntivo finale fu di oltre 2000 scuole in tutto il Sud, 649 nella sola Calabria).
Dopo che, per reggere le fila dell’ufficio reggino dell’Animi, Zanotti si trasferì a Reggio (1912), gli venne subito chiaro che andavano riscattati dall’emarginazione e dall’oblio non solo i contadini calabresi, ma anche i monumenti e le memorie storielle di quella e delle altre regioni del Sud. Dello stesso 1912 è la sua prima battaglia in favore dei monumenti bizantini e normanni di Calabria, ignorati e negletti. Ma anche qui, in una vita che tanto si nutrì di rapporti personali quanto di idee e di ideali, vi fu un incontro decisivo, quello con Paolo Orsi (1911). Il grande archeologo di Rovereto aveva già da molto tempo deciso di dedicare la propria vita all’archeologia della Sicilia e della Magna Grecia, e fu per Zanotti una guida sicura in quelle antiche civiltà.
“A me che cercavo di traversare quelle regioni chiudendo gli occhi su tutto ciò che non fosse la sofferenza del popolo, [Paolo Orsi] cominciò fin d’allora a instillare la profonda pietà dei monumenti della Calabria”. Pietas è qui la parola-chiave: uno stesso senso, laicamente religioso, di rispetto e di affezione, di identificazione coi cittadini più sfortunati, ma anche con l’archeologia e la storia di quei luoghi.
Si capisce così come dal seno stesso dell’Animi nascesse nel 1920 la Società Magna Grecia, presieduta da Paolo Orsi e diretta da Zanotti Bianco, intorno a cui presto si raccolsero archeologi come Pirro Marconi, ma soprattutto cittadini (come Eleonora Duse, Emesto Buonaiuti, Bernard Berenson, Lio-nello Venturi, Corrado Ricci). Fu in quella cornice che Zanotti ebbe un altro incontro decisivo, quello con l’archeologa Paola Zancani Montuoro.
Nella presentazione della Società Magna Grecia scritta in occasione del primo decennale di attività e pubblicata nel 1931, Zanotti faceva notare che il bilancio della direzione generale alle Antichità e Belle Arti d’Italia nel 1920 era di 39 milioni di lire, equivalente a quello del solo Metropolitan Museum di New York.
Sono le cifre ricordate da Paolo Orsi in un discorso al Senato (di cui era membro per nomina regia) del 1927.
Con un bilancio tanto esiguo, quale speranza poteva mai esserci di promuovere la ricerca archeologica al Sud? Ma la Società Magna Grecia ebbe un ruolo essenziale in una raccolta di fondi e in un dispiegarsi di progetti che, per dimensioni e per qualità dei risultati nell’Italia di quegli anni, appare oggi quasi incredibile.
Volte a correggere le disattenzioni del Governo, sia l’Animi che la Società Magna Grecia erano però viste con crescente fastidio, come focolai di opposizione al regime, e perciò furono costrette a chiudere e a riaprire sotto altro nome: l’Animi diventò nel 1939 ‘Opera Principessa di Piemonte’ (Maria José di Savoia fu sempre vicina a Zanotti Bianco), la Società Magna Grecia, sciolta nel 1934, rinacque poco dopo come ‘Società Paolo Orsi’. Solo dopo la guerra l’una e l’altra impresa poterono riprendere il nome originario; e solo allora il ruolo e il significato di Zanotti Bianco furono riconosciuti in modo adeguato, con la nomina a presidente della Croce Rossa Italiana ne] 1944, e poi ad accademico dei Lincei (1947), a presidente della stessa Animi (1951), quindi di Italia Nostra (dalla fondazione, 1955), e soprattutto con la nomina a senatore a vita, dovuta al presidente Luigi Einaudi (1952).
Le prime esperienze di archeologia sul campo per Zanotti furono in Sicilia: nel 1929 partecipò con Pirro Marconi agli scavi del tempio dorico di Himera, nel 1931 con Paolo Orsi e Rufo Ruffo della Scaletta a quelli di Sant’Angelo Muxaro. Nel 1932, osò affrontare da solo, con sondaggi nella Piana di Sibari, il tema arduo della localizzazione di quell’antica città, distrutta dai Crotoniati nel 510 a.C, e seppe identificarla (come solo molti anni dopo sarebbe stato confermato) nell’area di Parco del Cavallo. Ma venne subito dopo il divieto di risiedere in Calabria, e quindi le ricerche più importanti e fortunate, quelle che portarono, in stretta collaborazione con Paola Zancani Montuoro, alla scoperta del complesso dell’Heraion alla foce del Sele, con la sua straordinaria decorazione figurata.
Questo diretto impegno di scavatore e ricercatore dette a Zanotti Bianco armi intellettuali ancor più affilate per condurre, come presidente di Italia Nostra (dal 1955 alla morte, 1963), la battaglia in favore della conservazione del patrimonio culturale e del paesaggio, negli anni in cui cominciava quella tumultuosa crescita economica che avrebbe generato in tutta Italia disordinati e spesso distruttivi interventi edilizi, cinici abusi, lottizzazioni e cementificazioni.
L’imperativo morale a cui egli sempre ubbidì (rompere il conformismo e il silenzio in nome di un senso profondo della giustizia e del diritto) si manifestò al meglio nell’attività iniziale di un sodalizio destinato a rappresentare (come fa ormai da cinquant’anni) una voce significativa in difesa del patrimonio culturale e ambientale, nello spirito dell’articolo 9 della Costituzione repubblicana.
Di poco anteriore alla fondazione di Italia Nostra è la sdegnata lettera con cui Zanotti e altre personalità (fra cui Salvemini, Elena Croce, Corrado Alvaro, Carlo Levi, Gaetano De Sanctis) protestavano contro gli scempi nell’area della Via Appia antica. Pienissima fu dunque la continuità fra il giovane Zanotti, che durante la Prima guerra mondiale collaborò con Ugo Ojetti alla salvaguardia dei monumenti nelle zone di guerra, e lo Zanotti maturo che, in una situazione profondamente mutata, combatteva in tempo di pace un’ancor più dura battaglia.
Per la prima volta, sorgeva con Italia Nostra un’associazione ambientalista a livello nazionale, e nessuno meglio di lui poteva esserne il presidente, grazie a un’indiscussa autorità morale, sigillata ed esaltata dalla nomina a senatore a vita a soli 63 anni.
Autore: Salvatore Settis
Fonte:Il Sole – 24 Ore