ROMA: Come siamo caduti in basso: ormai solo lo 033% ai beni culturali

Mentre condono più silenzio-assenso espongono il nostro patrimonio a possibili speculazioni, la Finanziaria 2004 destina ai beni culturali 2,2 milioni di euro, lo 0,33% delle risorse di Bilancio.

Vendita più facile per gli immobili di valore culturale: la trappola non si annida tra le pieghe della prossima Finanziaria ma nel provvedimento d’urgenza varato dal Governo per rilanciare l’economia e correggere i conti pubblici. I due provvedimenti solo formalmente sono indipendenti avendo il legislatore stabilito che era utile e giusto ricondurre entro i confini originari i contenuti della Finanziaria. Ha perciò deciso di prevedere una serie di interventi in un decreto a sé stante, noto ormai come decretone (DL n. 269/2003), il cui iter procede parallelo all’approvazione della legge finanziaria e ne è, di fatto, il motore.

Nel decretone è finito di tutto, dal ritorno dei cervelli in Italia alla difesa del salame doc, dal condono edilizio ai beni culturali. Si tratta di una serie di misure che dovrebbero permettere al Governo di far cassa iß svendere pezzi importanti del nostro patrimonio paesaggistico e artistico-culturale. L’articolo 27 impone, infatti, alle Soprintendenze la verifica dell’interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico dei beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, alle Province, ai Comuni e ad altri enti pubblici. Si tratta di beni attualmente sottoposti a tutela, in base all’articolo 2 del Testo Unico e che, a breve, potrebbero essere derubricati, perdere cioè il loro carattere di beni culturali, essere «sdemanializzati» (se appartenenti allo Stato) e posti sul mercato per essere venduti.

Ciò che solleva maggiori critiche, anche da parte di esponenti della maggioranza, sono i tempi ristrettissimi assegnati a ogni fase del procedimento: emanazione del decreto ministeriale contenente i criteri in base ai quali l’Agenzia del Demanio dovrà comporre gli elenchi e le schede descrittive di ciascun bene, invio di elenchi e schede alle competenti Soprintendenze regionali che li passeranno, poi, alle Soprintendenze competenti per settore che dovranno istituire la pratica, dare il proprio parere affinché a livello regionale si possa completare l’iter. Di fatto, le Soprintendenze avranno appena 60 giorni a disposizione, un tempo ristrettissimo che diventa proibitivo in quelle realtà dove esiste una carenza di organico. Per quanto riguarda invece i beni culturali degli Enti locali, spetterebbe a questi ultimi richiedere la valutazione dell’interesse culturale. A peggiorare la situazione era poi giunto un emendamento (fortunatamente bocciato in Senato) che prevedeva il principio del silenzio-assenso in caso di non completamento dell’iter da parte delle Soprintendenze. Con esso si stabiliva una pericolosa inversione di prospettiva e si dava per scontato che il bene non avesse valore culturale se non per espressa dichiarazione degli organi competenti. Il principio risultava ancora più rischioso se applicato ai beni mobili con collezioni museali che avrebbero potuto essere smembrate, e singoli pezzi essere venduti con conseguenze, di fatto, irreversibili. L’emendamento che introduceva il silenzio-assenso aveva scatenato furibonde polemiche all’interno della stessa compagine governativa. Il ministro Urbani aveva preso carta e penna e scritto a Berlusconi per dichiararsi “assolutamente contrario”, quello per l’Ambiente, Altero Matteoli, aveva chiesto, perentoriamente, il ritiro dell’emendamento. Nella polemica si era inserito anche un piccolo giallo: il relatore, Ivo Tarolli, senatore Udc, “padre” dell’emendamento incriminato, aveva dichiarato di averlo presentato su sollecitazione del Ministro dell’Economia, il quale smentiva categoricamente. Tale, comunque, è stata l’ampiezza delle proteste contro il silenzio-assenso che l’emendamento ha vissuto solo pochi giorni per essere poi bocciato in Commissione Bilancio, al Senato, con soddisfazione di maggioranza e opposizione. Ma anche se il peggio è stato scongiurato (salvo sorprese dell’ultima ora), resta intatto il senso della misura proposta con l’art. 27 del decretone, che mette a rischio di svendita la grande ricchezza dell’Italia minore fatta di edifici storici, rocche, forti e che, combinandosi con le norme (anch’esse presenti nel decretone) sul condono edilizio, prefigurano un Paese esposto ai venti di ogni possibile speculazione. Che cosa succederà, ad esempio, di quei terreni di interesse archeologico su cui il privato ha eretto un abuso edilizio? Il ministro Urbani ha dichiarato in Commissione Cultura del Senato che non c’è da preoccuparsi perché risulterebbero esclusi dal condono gli interventi realizzati su beni culturali vincolati e sulle aree con vincolo di inedificabilità assoluta mentre ai Soprintendenti spetterebbe una sorta di «diritto di veto» sugli abusi da condonare. Ma ogni timore è lecito. Né le norme previste dall’art. 32 del medesimo decreto per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggista conseguenti all’abusivismo edilizio potranno fare gran che per raddrizzare il timone.

La portata di queste disposizioni è molto ampia, e, a giudizioni di molti, è grave che il Governo abbia scelto la strada della decretazione d’urgenza in materie così delicate (il decreto è in vigore dal 3 ottobre e attende la conversione in legge). Tutto ciò fa impallidire lo strumento della Finanziaria che rischia di rivelarsi, quest’anno, un guscio quasi vuoto.

Unico articolo di rilievo contenuto nel documento finanziario, relativamente ai beni culturali, riguarda il blocco del turn over e la proroga di un anno dei contratti di lavoro a tempo determinato (art.11) che mantiene il personale in una condizione di costante precarietà. Anche il blocco del turn over assume caratteri di maggior rigidità e non prevede più la deroga a favore degli addetti con compiti di tutela dei beni culturali come è avvenuto lo scorso anno.

Quanto alle risorse destinate al dicastero dei Beni culturali per l’anno finanziario 2004, esse ammontano, in termini di competenza, a 2.180.219 milioni di euro pari allo 0,33 per cento delle risorse finanziarie iscritte nel disegno di legge di Bilancio con un modestissimo aumento (meno di 33 milioni di euro) ripartito tra spese in conto capitale e correnti mentre si contrae la voce relativa a interventi a favore di enti pubblici e privati.

Autore: Vichi De Marchi

Fonte:Il Giornale dell’Arte