La verifica forzata in soli 120 giorni del valore culturale del patrimonio immobile e mobile vincolato dallo stato cancella il regolamento n.283 del 2000 con cui si ribadiva l’inalienabilità dei beni culturali e ambientali pubblici con le eccezioni consentite dalle soprintendenze sulla base di elenchi che si stavano ancora compilando (avevano per legge due anni di tempo per questo lavoro). Ora tutti i beni sono vendibili salvo quelli che abbiano in poche settimane un «motivato parere» contrario delle soprintendenze, onere che andrebbe a gravare su organici già scarsi che non potranno mai smaltire questo lavoro. Le associazioni allora ricordano l’enorme patrimonio che le soprintendenze sono chiamate a salvaguardare: 574 tra musei, monumenti, gallerie e scavi dello stato, 216 aree archeologiche; circa 3000 gli altri musei (ecclesiastici, universitari, privati, ecc); 100mila chiese e cappelle con arredi artistici, 40000 torri, rocche e castelli, 20mila centri storici, 1500 monasteri, le biblioteche, gli archivi, parchi e giardini anche non statali sui quali le soprintendenze devono esercitare vigilanza e controllo.
Ecco alcuni casi emblematici per far capire la mole di lavoro che grava sui soprintendenti ai beni architettonici e ambientali (che devono anche fare sopralluoghi e svolgono attività di ricerca, di scavo, di studio e realizzazione di restauri) e quindi come la scadenza dei 120 giorni – altrimenti scatta il silenzio assenso – sia in realtà un modo per far passare di tutto. In Sardegna, 7 architetti alla soprintendenza hanno un carico di 7600 pratiche all’anno; in Liguria 9 architetti hanno 16.800 pratiche, circa 1870 a testa all’anno. I concorsi di settore si sono rarefatti (per non dire scomparsi), i precari sono 2300. Un tecnico di livello elevato con 25 anni di carriera non raggiunge i 1500 euro al mese.
Fonte:Il Manifesto