Intervista a Giuliano Urbani. “Non venderemo niente che abbia valore storico e artistico”.
“Ho voluto il codice dei Beni Culturali e del Paesaggio perché la normativa faceva acqua da tutte le parti. Era un colabrodo sulle dismissioni, il paesaggio. C’era il caos più completo sulle competenze. Tutelare il patrimonio artistico e il paesaggio era impossibile. Ci voleva una legge organica, di sistema. Tra l’altro fino ad oggi il paesaggio non era mai stato considerato un bene culturale”.
Chiuso nel suo ufficio di via del Collegio Romano Giuliano Urbani, ministro per i beni e le attività culturali, ostenta tranquillità e sicurezza. Non è preoccupato per i dibattiti e le violente polemiche nate intorno a questo nuovo codice, che entrerà in vigore il 1 maggio e che sarà presentato questa mattina durante una conferenza stampa a cui parteciperanno Sabino Cassese e Salvatore Settis, ringraziato ufficialmente per i suoi “consensi-dissensi”.
Non sono altrettanto calmi nelle altre stanze dove c’è chi, come Mario Torsello, capo dell’ufficio legislativo, non nasconde il proprio nervosismo e la delusione per quella che definisce la “scarsa conoscenza” dei 184 articoli del codice di cui tutti parlano – dalle associazioni ambientaliste che lanciano allarmi in continuazione ai docenti universitari – “senza averne preso reale conoscenza”. Certo, possono esserci errori o mancanze ma “ci sono due anni di tempo per decreti integrativi e correttivi”.
Urbani ora non pensa a questo, vede nel codice uno strumento per migliorare il Bel Paese, per mettere ordine in un “demanio da Unione Sovietica”, per coinvolgere sempre più i privati nella gestione dei musei. Sostiene il ministro che con il codice “abbiamo finalmente messo ordine nel rapporto tra gestione, valorizzazione e tutela”.
Racconta: “Quando sono arrivato al ministero nessuno sapeva spiegarmi i confini. Ora abbiamo stabilito una gerarchia: la gestione, che è il livello più basso, deve essere compatibile con la valorizzazione che possono farla Stato, Regioni, Enti locali, con il pubblico godimento e con la tutela. Qualunque innovazione deve essere compatibile con la tutela che resta in mano allo Stato al sistema delle soprintendenze”.
I beni mobili conservati nei magazzini dei musei – quadri, reperti archeologici – possono essere venduti?
“No, è un’ipotesi assolutamente risibile”.
Ma gli Uffizi o il Colosseo potranno essere affidati in gestione ai privati?
“Potrebbero essere affidati, ma non lo credo prossimo, alle nuove fondazioni di gestione che però non hanno voce in capitolo nel pubblico godimento, nella valorizzazione e nella tutela che resta sempre al soprintendente. I privati che entrano nelle fondazioni vengono scelti dalle soprintendenze. Stiamo già lavorando alla nascita di due fondazioni, una per l’Egizio di Torino e l’altra per il museo delle navi di Pisa. In entrambi i casi i privati sono le fondazioni bancarie e nel caso pisano anche le ferrovie”.
Attraverso le fondazioni pensate a bilanci in attivo?
“Immettere cultura privatistica nella gestione vuol dire cercare almeno il pareggio. Non si mira al profitto se non come misura dell’efficienza. Cosa fare dei musei lo decide lo Stato e le soprintendenze, non il gestore”.
E qual’è il guadagno dei privati. Ai piccoli musei chi pensera?
“E’ il ritorno di immagine, grande. Ad ogni modo non è detto che ci siano interventi privatistici in ogni luogo. Il patrimonio artistico italiano è poco mostrato e mal gestito per mancanza di risorse. Il problema non sono le soprintendenze ma le risorse per permettere di offrire il bene pubblico ai cittadini. Ecco perché i privati”.
Eppure si parla di una perdita di potere delle soprintendenze, di tagli …
“No. Aumenteranno di numero. Nasceranno nuove soprintendenze a Lucca e a Lecce”.
Gli immobili invece potranno essere venduti. Ma quali?
“Potranno essere venduti tutti i beni che i soprintendenti giudicheranno non bisognosi della proprietà pubblica, che possono passare ai privati ma con la limitazione della destinazione d’uso. Il Palazzo delle Poste di Milano, ad esempio, deve essere per forza di proprietà pubblica? Ripeto: l’acquirente dovrà presentare anche il progetto d’uso e la soprintendenza dirà se è compatibile con la conservazione”.
Tutto questo in 120 giorni, con il silenzio assenso che incombe …
“Il silenzio assenso vale esclusivamente per la pronuncia, cioè se il bene può essere messo in vendita. La dichiarazione sulla destinazione d’uso si farà progetto per progetto, senza limiti di tempo”.
Quella delle dismissioni, si dice, è un tagliando che ha dovuto concedere al ministro del tesoro Tremonti.
“Questa è una cattiveria. Sono convinto che prima ci liberiamo di tutto ciò che non ha valore artistico e architettonico meglio è. Avremo più risorse per il resto. Noi abbiamo un patrimonio demaniale da Unione Sovietica. Spesso sono i comuni che hanno una grande voglia di demolizioni. Noi siamo quelli che si oppongono”.
Tuttavia anche nei piani paesistici il potere di intervento dei soprintendenti è scemato.
“I soprintendenti non perdono potere. Oggi i vincoli arrivano a cose fatte e molto spesso sono annullati dai tribunali regionali. In Sardegna hanno annullato il cento per cento dei nostri interventi. Domani i soprintendenti diranno la loro a monte. E’ un parere consultivo ma costitutivo. E non è stata abrogata la legge Galasso. Se le Regioni non adottano la pianificazione paesaggistica la legge resta in vigore. Ma credo che tutte le regioni definiranno piani paesistici. Il Veneto e l’Emilia Romagna hanno già firmato un accordo con il nostro ministero”.
A proposito di Fondazioni. Cosa accade alla Biennale di Venezia?
“Va tutto avanti. Nel consiglio c’è un signore che svalvola un po’. Tutto qui. Per le arti visive sono in attesa della risposta di un luminare”.
Autore: Paolo Vagheggi
Fonte:La Repubblica