Entrano in vigore domani le nuove regole del Codice Urbani per i Beni Culturali e il Paesaggio: “riordinano una materia confusa e incerta”, ha detto il ministro Giuliano Urbani, “rischiano di cancellare il tessuto culturale del Bel Paese e consegnarlo nelle mani degli speculatori”, replicano molte associazioni (Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, Fai, Italia Nostra e Wwf), che con Assotecnici e Accademia dei Lincei hanno da tempo sollevato grandi polemiche. In ballo ci sono l’utilizzo di monumenti straordinari (dal Colosseo alla Torre di Pisa), la conservazione di centinaia di centri storici con meravigliosi palazzi, chiese, musei e piazze, aree archeologiche e paesaggi (boschi, laghi, fiumi, spiagge e coste), tutto ciò, insomma, che fa dell’Italia la superpotenza mondiale dei beni culturali e del bel vivere, e che potrebbe permetterci, con una gestione oculata, di produrre molta ricchezza “pulita” e più benessere per tutti.
Il Codice, ha detto ieri il ministro dei Beni Culturali in una conferenza stampa, è uno strumento di democrazia, rende più semplici le leggi, dà più certezza alla tutela, maggiore salvaguardia per il paesaggio, moderni strumenti per la gestione dei beni culturali. “E’ stato voluto e pensato – spiega Urbani – dopo che la moltiplicazione di conflitti tra i vari livelli di governo aveva creato un caos di competenze tale da mettere in pericolo il patrimonio artistico. E’ uno strumento unico e certo per difendere e promuovere il tesoro degli italiani, coinvolgendo gli enti locali e definendo in maniera irrevocabile e categorica i limiti dell’alienazione del demanio pubblico, che escluderà i beni di particolare pregio artistico, storico, archeologico e architettonico, e i beni mobili (come quadri e reperti archeologici). Il Codice facilita il rapporto fra i cittadini e lo Stato nelle questioni anche quotidiane che coinvolgono il patrimonio culturale del nostro Paese”.
Punto cruciale, spiega il ministro, è la migliore definizione delle nozioni di tutela e di valorizzazione: è stato dato loro un contenuto chiaro e rigoroso, e la prima prevale sulla seconda. Stato, Regioni ed Enti Locali collaboreranno, sulla base di programmi concordati, per costituire un sistema integrato di valorizzazione.
Dal punto di vista del cittadino, ad esempio, i privati hanno l’obbligo di garantire la conservazione dei beni culturali che possiedono, attivandosi per primi “nell’opera di manutenzione e di restauro, senza attendere inviti e sollecitazioni”. Potranno però essere “premiati” sia con contributi statali che con sgravi fiscali. Se poi vogliono dare in custodia allo Stato i loro beni culturali, potranno farlo “attraverso l’istituto del comodato, che li solleva, per almeno cinque anni, da ogni onere di custodia e restauro”. Le collezioni statali, ad esempio, potranno impreziosirsi delle molte opere di grande importanza che al momento i privati cittadini, ostacolati da norme complicate, preferiscono conservare in casa”.
Tema assai controverso, nel nuovo Codice, il “Riordino della disciplina dell’alienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica”. Ovvero: viene individuato un insieme di beni culturali demaniali inalienabili (immobili e aree archeologiche, monumenti nazionali, raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche, archivi) e disciplinata la vendita degli altri, non di interesse pubblico. Il sistema prevede in ogni caso l’autorizzazione del Ministero, rilasciata solo se dalla vendita “non derivi danno alla conservazione di questi beni e non risulti menomata la loro pubblica fruizione”. Devono inoltre essere indicate “destinazioni d’uso compatibili con il carattere storico-artistico degli immobili e comunque tali da non recare danno alla loro conservazione”. Su questo punto obietta ad esempio Italia Nostra: è stato abrogato il regolamento Melandri che prevedeva l’immediata risoluzione del contratto in caso di inadempienza del privato, dice, mentre ora non c’è alcuna sanzione, e il contratto non si risolve automaticamente.
Ancora più contestato, il concetto del “silenzio-assenso”: le Soprintendenze avranno 120 giorni per dare il loro parere sui beni statali in vendita, che dovranno essere accompagnati da schede, molte delle quali non ancora pronte. In caso di mancata risposta si procede automaticamente. “E’ un principio sciagurato”, dice Salvatore Settis, “un tallone d’Achille dell’intero codice, che richiede un chiarimento definitivo”. Gli organici delle Soprintendenze sono infatti troppo pochi, sepolti da tonnellate di pratiche. “Basta un telegramma per bloccare tutto”, replica il ministro, il silenzio-assenso è uno sprone a rispondere”. Anche Italia Nostra – che chiede di partecipare al processo di valutazione delle schede a fianco delle soprintendenze – vuole più chiarimenti sulla normativa. Il ministro si è detto disponibile a discuterne.
Altra questione: le Regioni non sono più obbligate a varare in un certo tempo i piani paesistici, né la partecipazione delle soprintendenze è più obbligatoria. Queste ultime, si teme, sono destinate a perdere potere: non potranno ad esempio bocciare progetti edilizi, ma solo dare un parere consultivo. “In assenza di pianificazione paesaggistica – replica Urbani – resta in vigore la legge Galasso” che tutela il paesaggio.
Le critiche tuttavia rimangono: si teme che alla fine prevalgano gli interessi privati sull’interesse pubblico. “Non esiste un patrimonio di serie A, tutelato, e uno di serie B, cedibile – insiste ad esempio Legambiente. L’intero patrimonio storico, artistico, culturale e paesaggistico del nostro Paese va protetto”.
Compito immane, ma vitale: beni culturali e paesaggio – diceva Schiller – appartengono al popolo che li ha creati, e involgarendoli o distruggendoli si sfregia l’identità culturale di un popolo. Ne va dunque delle nostre radici, ma anche della nostra salute: un bel paesaggio è anche armonia interiore, rimedio alla patologia oggi più diffusa, l’ansia. Squallide periferie, deprimenti capannoni e colate di cemento sempre davanti ai nostri occhi non procurano solo un danno estetico: profanano la nostra vita, fanno crescere l’aggressività, esattamente come gli animali costretti in un territorio ostile e ristretto.
Eppure basta un nulla – scriveva Jean Giono – per distruggere un’armonia: un traliccio ben piazzato, un sentiero asfaltato, una costa o un porticciolo “valorizzati”. Così se ne va per sempre la bellezza, che aiuta a vivere.
Autore: Carlo Grande
Fonte:La Stampa