Ci sono più visitatori al Venetian (albergo-casinò di Las Vegas, che rappresenta in scala reale piazza San Marco e il ponte di Rialto) in un anno che alle Gallerie dell’Accademia a Venezia e il museo del vetro muranese di Hakone, sotto il Fujama, ha dieci volte gli ingressi di quelli di Murano. Qual è il museo ideale, quello organizzato per i cultori dell’arte – un’elite minoritaria – o quello che sa parlare all’immaginario e al gusto delle masse? Come rendere compatibili l’utilizzo economico e l’uso storico-artistico dei beni culturali? Cosa è preferibile: la privatizza-zione o l’autonomia, il «marketing strategico» o il museo che si limita a esporre e rappresentare quanto contiene? Se ne discute da anni e adesso che il ministro Urbani nell’ambito della Finanziaria presenta un progetto che suona come l’annuncio di una rivoluzione per il destino di Musei e aree archeologiche, il tema è rovente.Nel 1993 c’era stata la legge Ronchey. «Quel disegno di legge prevedeva l’ingresso sulla scena dei privati con un ruolo attivo, sebbene limitato, nella gestione del nostro patrimonio artistico al fianco dell’amministrazione pubblica modificando così uno scenario che rimaneva fisso e invariato da più di un secolo» dice Antonio Maccanico, presidente dell’Associazione Civita, nel presentare il Rapporto che un’equipe di esperti – economisti, direttori di gallerie e musei, direttori di servizi culturali italiani e stranieri – ha preparato sul tema. «Museo contro Museo. Le strategie, gli strumenti, i risultati» ripropone il dibattito che s’è aperto e registra i cambiamenti che nel settore si sono verificati nell’ultimo decennio. , ;Sono nati fenomeni prima sconosciuti di concorrenza fra musei, per. accattivarsi il favore del pubblico nazionale e internazionale. Si è attribuito ai gusti degli utenti il potere di influenzare le strategie di gestione. La sfera della cultura e quella del mercato si sono spesso sovrapposte: per cui «sembra che i musei non siano completi se non hanno a disposizione bar, negozi, ristoranti o se non padroneggiano le tecniche del marketing. Le mostre sono sempre più destinate ad accrescere le entrate e meno legate a obbiettivi di " politica culturale" . Gli obiettivi dei " ricavi" sono messi sullo stesso piano di quelli educativi».Come esempio del ruolo preminente affidato al bene economico viene citata la Gran Bretagna,’indicata quale anticipatrice di quanto succede e può succedere in Italia (anche se in Gran Bretagna si e ridotto .il costo dei biglietti e c’è battaglia per garantire l’accesso gratuito tanto che -grazie anche alle prese di posizione di Sir Denis Mahon – di recente 14 musei di nuovo fanno entrare gratis, i visitatori nel ’99 sono cresciuti dell’11,6% , mentre in Italia l’incremento nel periodo ’90-99 è stato del 4,5% di cui il 54,2% è rappresentato da stranieri). Sono aumentati i musei nel mondo (in Gran Bretagna negli ultimi 30 anni ne sono stati aperti più di 1000). Sono cresciute le aspettative sugli impatti economici dei musei. E’ aumentata l’offerta, spesso superiore alla crescita della domanda (in Italia, nel periodo ’83-99, la prima è aumentata del4,5%, la seconda del 3%).Quanto mai variegata è la forma giuridica dei musei nel mondo. Ci sono le Fondazioni, le società no-profit, le imprese in cui convivono realtà diverse. Ogni Paese ha la sua storia: negli Usa il 66% dei musei sono privati, filiazione diretta del collezionismo privato. Gli ‘effetti sui bilanci sono vistosi. Neppure i musei " superstar" – capofila il Metropolitan -Museum di New York, che da anni opera come impresa, proprietario di una catena di 40 negozi sparsi nel mondo che vendono riproduzioni di opere del museo – riescono mai a perseguire il pareggio.
Autore: Liliana Madeo
Fonte:La Stampa