Il libero desiderio in 300 opere

Andrè Breton saltò giù dall’autobus. Aveva visto nella vetrina della galleria di Paul Guillaume, a Parigi, un’immagine enigmatica, che lo aveva colpito. «Il cervello di bambino», dipinto da Giorgio de Chirico due anni prima, nel 1914, era il ritratto del padre del pittore, brutto, ma denso di significati. Le colonne, i buchi neri degli archi sullo sfondo erano inequivocabili simboli sessuali. Breton rimase a guardarlo per quasi mezz’ora in silenzio e se ne andò. Riuscì a comprarlo solo nel 1919 e per tutta la vita lo tenne appeso sulla parete accanto al suo letto.Con questo quadro si apre la mostra Surrealism: Desire Unbound, «Surrealismo, desiderio libero», appena arrivata dalla Tate Modern di Londra al Metropolitan Museum, dove rimarrà fino al 12 maggio. È una carrellata attraverso più di trecento quadri, sculture, fotografie, documenti, libri, poesie, lettere, manoscritti, film e memorabilia di quel movimento, che considerando il desiderio, l’amore, il sesso e la libertà la salvezza dell’umanità, scosse le certezze dei benpensanti in una Francia severa e bacchettona. Nel 1920, infatti, era stata approvata la legge che considerava crimini il controllo delle nascite e l’aborto e fino a tutti gli anni trenta il tribunale militare condannava senza tregua cercava di sopprimere la letteratura sovversiva dei militanti comunisti. In questo clima, nel 1924 Andrè Breton emanò il manifesto del Surrealismo, quel movimento che attraversava le arti e provocava la borghesia. I primi a fare parte del gruppo furono Paul Eluard, Louis Aragon, Giorgio de Chirico, Philippe e Marie Louise Soupault. Si ritrovavano in un appartamento al 15 di rue de Grenelle, dove per sei mesi, fino all’aprile del 1925, organizzarono l’Ufficio Centrale di Ricerche Surrealiste aperto a chiunque volesse avere informazioni più dettagliate e capirne di più sul surrealismo. Nel frattempo appiccicavano sui muri di Parigi manifesti del tipo «Se amate l’Amore, amerete il Surrealismo», e contagiavano con la loro febbre di libertà chiunque entrasse nel loro raggio d’azione.De Chirico con i suoi paesaggi metafisici degli anni dieci era stato il precursore di questa corrente che abbatteva tutte le barriere fra le varie forme d’arte e di conoscenza, si ispirava ai sogni, dava spazio all’immaginazione e pretendeva di esplorare il corso dei pensieri. Erano inevitabili i collegamenti con la psicoanalisi di Sigmund Freud, che con le sue teorie aveva contagiato le menti ricettive degli artisti. Nel grande fiume del surrealismo che scorrendo travolgeva chi era pronto a farsi travolgere, confluirono i protagonisti del movimento Dada, da Marcel Duchamp a Man Ray, Francis Picabia, che da Parigi avevano attraversato l’oceano per portare negli Stati Uniti il vento della protesta. Ma se la rivoluzione dada era stata in nome della follia, del gioco, dell’ironia per dissacrare tutto quello che fosse razionale nell’arte, il movimento capitanato da Breton andava oltre e metteva in cima alla piramide il desiderio, l’amore, la sessualità. Salvador Dalì coi suoi paesaggi rarefatti, ma impregnati di ansietà sessuali e ossessioni oniriche, diventò uno degli interpreti più fertili, spaziando dalle tele alla produzione di oggetti, alla creazione dei soggetti cinematografici. Insieme a Louis Bunuel firmò quello di Un Chien Andalou e de L’Age d’Or. Il primo fu pubblicato da Breton alla fine del 1929 sull’ultimo numero della rivista La Rivoluzione Surrealista.Fu l’ingresso ufficiale dei due artisti, che avevano coniugato satira politica e tensione sessuale. «Il mio film non esisterebbe se non esistesse il surrealismo», commentò il regista.Sono gli anni in cui Dalì, s’invaghisce di Gala, la moglie di Paul Eluard, che era già stata, col consenso del marito, amante di Max Ernst. Gala, di dieci anni più grande di lui diventerà sua moglie e musa per il resto della vita. Questa era la peculiarità del movimento surrealista, che nell’abbattere le barriere tra la realtà e la fantasia, tra il cinema, la letteratura e le arti figurative, spazzava via le gabbie, eliminava le etichette, sganciava chiunque lo avesse abbracciato da qualsiasi tipo di legame, a meno che non fosse una scelta dettata dal desiderio, che Guillaume Apollinaire considerava la forza più potente nell’essere umano. Anche Giacometti, prima ancora di trovare la sua lingua nelle figure solitàrie e filiformi fu cooptato nel gruppo. Quando Breton vide al suo studio L’Oggetto Invisibile, fu calamitato dall’aria innocente e nello stesso tempo di attesa che emanava da quella figura acerba di ragazza con gli occhi sgranati, la bocca aperta, le mani dalle dita sottili, che sembravano reggere appunto un oggetto invisibile. Come Giacometti, Picasso entrò ed uscì dal Surrealismo. Con la sua personalità prepotente, che non si era fatta nemmeno imbrigliare dal cubismo di cui era stato precursore dietro l’impulso di Cezanne, diede il suo contributo con opere tipo L’urlo del 1927 o Nudo in piedi sulla spiaggia del 1929 e poi se ne andò. Chi fu identificato col movimento stesso fu Magritte. Chi rimase fedele senza scalpitare fu Max Ernst. Anzi, quando sposò Peggy Guggenheim, che nell’ottobre del 1941 aprì sulla 57ma strada la galleria «Art of thè Century», insieme a Marcel Duchamp diventò il suo consigliere artistico e le opere dei surrealisti invasero la collezione dell’ereditiera americana. Max Ernst, però, la lasciò per sposare una giovane pittrice americana, surrealista pure lei, come dimostra The Birthday, l’autoritratto, che incantò Ernst. Era Dorothea Tanning. Insieme a Frida Khalo e le fotografo Lee Miller, grande amore di Man Ray e Dora Maar, una delle muse di Picasso sono tra le poche donne ammesse a fare -parte del movimentò. Era sempre Breton che decideva chi fare entrare e. chi escludere da questa corrente che in nome della libertà aveva finito per creare un’altra gabbia.

Autore: Fiamma Arditi

Fonte:L’Unità – Orizzonti