Sulla «Collina dei gioielli» di Balkh, dove la gente ritiene che per migliaia di anni si trovasse il bazar della città, il saccheggio è ripreso. Caduti i taleban, il governo locale occupato da problemi più urgenti come «rapimenti, omicidi e fame», la cultura internazionale che s’interroga se, come e dove ricostruire i Buddha della valle di Bamiyan, i tombaroli sono tornati a crivellare i siti archeologici afghani. Si ripetono le devastazioni di tanti dopoguerra: emorragie di arte e cultura che impediranno di ricostruire la storia dell’umanità. Un reportage fotografico sui tombaroli di Balkh evoca la riapertura della «caccia al tesoro» in una regione saccheggiata da decenni. Se la distruzione dei Buddha di Bamiyan nasce dall’abisso del settarismo politico-religioso che si nutre di odio e paura, il saccheggio dell’antica Bactriana è nutrito ai germi della fame, dell’ignorane e della speculazione. Le vittorie della guerra contro il terrorismo hanno riacceso l’interesse di grandi e piccoli trafficanti che ora nelle ‘zone liberate’ tornano a muoversi agilmente, senza dover attendere – come le istituzioni di ricerca – donazioni, stanziamenti o accordi diplomatici per poter lavorare. L’antica Bactriana è regione di Struggenti evocazioni storico poetiche Nella seconda metà degli Anni Sessanta, l’irrequieto scrittore Bruco Chatwin, descrisse in diversi taccuini il suo viaggio in Afghanistan lungo l’Amu Darya. Non è certo che Chatwin abbia compreso fino in fondo il rischio che già correvano le acropoli greche, le stupa buddhiste decorate, gli archi spezzati islamici, le masto-dontiche mura di cinta. Ma almeno ha testimoniato il fascino abbacinante di una terra-madre. Balkh (nome islamico dell’iranica Paktra o Bactria) era definita appunto «madre di tutte le città»: da fertile oasi e diventata uno dei primi modelli urbani metropolitani, organizzando attorno a sé i diversi agglomerati costruiti tra le montagne dell’Hindu Kush e il fiume Oxus (Fattuale Amu Darya). Le ricerche, ormai interrotte, hanno stabilito che a partire dal III millennio avanti Cristo nella regione di Balkh si impiegava il bronzo e si organizzava una delle più antiche civilizzazioni urbane del mondo, capace di creare e sfruttare un sistema comunicazioni stradale che la collegavano con la valle dell’Indo, la Mesopotamia, la Cina. E’ la futura via della Seta. Nel Sesto secolo avanti Cristo nasce in un villaggio presso Balkh il profeta Zoroastro che modifica radicalmente la religione della zona, ancorata a un Olimpo dominato dal culto della fertilità incarnata dal prototipo di quella che sarà la Venere Uranica adorata negli imperi greci, romani e persiani, dall’Inghilterra all’Eufrate, fino ai confini della Cina. Proprio la ricchezza della posizione di «porta d’Oriente» della zona attirano i grandi conquistatori che saranno «vinti» o «contaminati» dalla cultura locale. Così i successori di Ciro il Grande furono conquistati dallo zoroastrismo. Attraverso la Persia la mistica di Zarathustra, che elabora la prima soluzione del dualismo tra Bene e Male, condizionerà la ricerca filosofìca e mistica occidentale: dal giudaismo al cristianesimo. Poi fu la volta di un altro conquistatore: Alessandro Magno. Il fiume della cultura ellenistica bagna la Bactriana e tutto l’Afghanistan. Ad Ai Khanoum, più di cinquemila chilometri via terra dalla Grecia, è stata scoperta, assieme a un complesso architettonico imponente, la cavea di un teatro greco, il più a Est mai esistito, il sito è stato «arato» dai tombaroli con le ruspe. Dopo la ritirata e la morte di Alessandro la Bactriana, a avallo di Afghanistan, Turkmenistan e Uzbekistan, diventa un regno greco-iraniano che dura un paio di secoli lasciandoci tracce imponenti. Nel 130 a raid di una popolazione nomade interrompe la vita di Ai Khanoum. Un secolo dopo fiorisce il regno dei Kushan, anch’essi scesi dalla Cina. Alla mescolanza (tra religioni e culture iraniane, zoroastriste ed ellenistiche, subentra la fusione tra ellenismo e buddhismo che darà vita all’arte di Sandahara. Il Buddha avrà il volto levigato dell’Apollo mediterraneo e questo stile influenzerà l’iconografia religiosa cinese, e quindi quella coreana e giapponese. Scorrere le cronologie riserva continue sorprese: nel 652 dopo Cristo l’Afghanistan è conquistato dagli arabi e diventa centro dì irradiazione orientali della cultura islamica. Nelle oasi afghane (da Herat a Kandahar a Quetta) si elaborano i modelli estetici che marchieranno la cultura islamica dalla Mesopotamia al subcontinente indiano. Nel 980 nasce in una famiglia originaria di Balkh il medico, filosofo e matematico Avicenna. Attraverso i suoi libri Aristotele e neoplatonismo conquistano il cuore della ricerca filosofica europea ed i suoi testi sono discussi da padri della Chiesa come Tommaso d’Aquino. Ma l’epopea afghana non finiva là. Dovevano ancora passare, nei secoli, le orde di Gengis Khan e Tamerlano, le dinastie dei Moghul. Eppure principi afgani riuscivano a conquistare Delhio o Isfahan e nel Sedicelimo secolo il principato di Herat era ben conosciuto alle corti di Istanibul, Tabriz e Bukhara, tanto da essere definito gli specialisti la «Firenze l’Oriente». Questi solo alcuni dei motivi per cui è necessario fermare il saccheggio. La ricchezza dell’intreccio storico e culturale è la più grande nemica dell’Afghanistan attuale. Oggi il popolo afghano, completamente islamizzato, non giudica quel passato come se gli appartenesse. Complici le devastazioni delle guerre, assistiamo a una delle quattro tragedie che segna fine del secondo millennio e l’inizio del terzo. Quella afghana è pari alla tragedia che ha travolto il Tibet colonizzato dalla Cina, Cambogia e la cultura nell’ex Iugoslavia. Il saccheggio di quella afghana (e quello di Balkh ne è un simbolo) cancella la possibilità di comprendere nodi cruciali sviluppo culturale dell’umananità. E’ senza dubbio difficile far comprendere alle popolazioni afghane l’importanza che hanno culture precedenti: da quel bronzo a quella indiana, da quella greca a quella buddhista a quella iraniana. Gli studiosi, tranne eccezioni, non hanno saputo comunicare entusiasmo neppure in Occidente. Ma la sfida è questa: far capire agli afgani che il loro passato è importante per tutto il mondo, far capire agli studiosi che debbono uscire fuori dai loro gusci specialistici e comunicare di più l’importante di quella terra.
Autore: Giampaolo Boetti
Fonte:La Stampa – Cultura e spettacoli