C’è un buco nella riforma della scuola.

La riforma della scuola di ogni ordine e grado, annunciata come qualificante punto d’onore del governo Berlusconi, non pare goda di particolari favori: gli stati generali della scuola si risolsero in un boomerang per il ministro Moratti che, con una certa avventatezza, aveva ritenuto in questo modo di pacificare gli animi e di rilanciare (sotto gli occhi della diretta tv) il suo progetto. In un assai recente consiglio dei ministri il tentativo della signora Moratti di convincere i colleghi della coalizione della bontà delle sue proposte non ha conseguito esito felice. Dunque, nello stesso Polo delle libertà – come usa dire, eufemisticamente – le opinioni sono quanto meno non concordi. Non ho alcuna ragione e nessuna specifica competenza pedagogica per entrar nel merito: certamente la materia è complessa, come lo fu per il precedente governo e come certamente potrà esserlo per un venturo governo. Tuttavia, stando così le cose, il modo in cui si procede rassomiglia un po’ a quello della navigazione a vista in una notte di fitta nebbia: senza mappe certe, senza strumentazione adeguata. Ma, ripeto, lascio che altri entrino nel merito della struttura complessiva e facciano sentire la loro voce nella maggioranza e nell’opposizione.

Un solo punto vorrei ancora una volta segnalare: per due ragioni che sono strettamente correlate. In primo luogo perché ritengo la riforma della scuola argomento troppo serio e importante perché venga lasciato nelle sole mani degli esperti: chi sarebbero, poi, se non tutti i cittadini degni di questo nome? In secondo luogo perché – da quel poco che si sa di questa riforma – un argomento capitale del vivace dibattito che si ebbe al tempo della riforma de Mauro sembra essere del tutto scomparso. Mi riferisco alla vexata quaestio dell’insegnamento della storia dell’arte: senza peli sulla lingua richiamai l’attenzione del governo e del ministro De Mauro -un collega e un amico che stimo molto – sulla assai debole presenza di questo insegnamento nella sua riforma. Ben due volte sono intervenuto su queste stesse pagine (9 febbraio e 19 marzo 2001) perorando la causa di una disciplina e di un ambito del sapere che a molti sembra essenziale all’educazione delle future generazioni e alle stesse fortune culturali ed economiche del paese.

In questo ultimo anno si è parlato molto di patria e di amor patrio: bene, molto bene. Lo ha fatto con misura e passione il presidente Ciampi e gliene sono grato. Ma la patria che io vedo e a cui penso non è solo quella nata con l’Unità d’Italia – a cui va tutto il mio rispetto deferente – ma è una patria dalle radici ben più antiche e profonde che nasce con le splendide cattedrali romaniche, con gli orgogliosi palazzi comunali, nel nome di Cimabue e di Giotto, di Raffaello e Michelangelo, di Canova e Morandi. Ebbene questa patria nella riforma della signora Moratti è praticamente assente, non poco o non sufficientemente rappresentata come accadeva nel progetto De Mauro. E’ assente, semplicemente assente. Sempre che le informazioni che ho siano fondate.

Questo fatto, gentile ministro, è molto grave: tanto grave che, ancora una volta, nessuna voce ho udito di dissenso o di imbarazzo. Ho motivo di ritenere che questa dell’insegnamento della storia dell’arte a cominciare dalla scuola primaria – sia essa di 4 o 5 anni – non è questione personale, mania di un accademico fuori dal mondo. Credo d’esserci in questo mondo e con i piedi per terra ben saldi, visto che non vedo quale patria resti da celebrare se gettiamo alle ortiche quell’eccezionale patrimonio di bellezza che la nostra civiltà ha creato nei secoli e alla cui religione dovremmo educare i nostri nipoti e pronipoti. Per ragioni che è persino offensivo ricordare agli uomini degni di questo nome e della civiltà di cui sono parte.

A volte temo di passare per un disco incantato di un tempo, che ripeto sempre le stesse cose: quei quarantacinque giri che, per l’usura, ripetevano un medesimo ritornello senza poter andare né in avanti né indietro. Ma la responsabilità, oso sperare, non è di chi è costretto a ripetersi, ma di chi ci costringe a farlo. Su questo argomento – che io sappia – nessuno ha tirato le sottane alla signora Moratti. Se così non fosse sarei felice di accogliere ogni smentita.

Il Ministro dei Beni e delle attività culturali professor Giuliano Urbani non crede che per tutelare il nostro patrimonio d’arte sia indispensabile educare non i giovani, ma i bimbi al fine di conoscere e amare le meraviglie che ci sono intorno, in cui siamo nati e cresciuti? Mirabilia che ci invidiano in tutto il mondo. Il sottosegretario al medesimo ministero Vittorio Sgarbi – storico dell’arte di formazione e mestiere – che lodevolmente si è precipitato in Afghanistan per provare a salvare il salvabile dì quella civiltà martoriata, non crede – lui, loquace come un usignolo – che la sottana della signora Moratti vada strattonata con l’energia che gli riconosciamo? E che dire di storici dell’arte e dell’architettura, archeologi e bibliotecari? E’ questo il paese di Venturi e Longhi, di Argan e Ragghianti, di Bianchi Bandinelli e De Angelis d’Ossat: o mi sbaglio? Ricordo l’ammirazione di un maestro come André Chastel che dalla sua rivista indicava il " modello italiano" per l’insegnamento della storia dell’arte ai suoi compatrioti francesi.

Ora questo modello si è sgretolato, ma al peggio non c’è rimedio e poiché siamo al fondo, mi chiedo se la signora Moratti voglia offrirci un menù più digeribile. Nel dicastero che oggi ricopre la signora hanno seduto Francesco De Sanctis e Benedetto Croce, ombre inquiete di una patria svanita sulla quale conveniente sarebbe non spargere il vetriolo della retorica e il velo dell’oblio.

Autore: Cesare de Seta

Fonte:La Repubblica