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ROMA, Città del Vaticano. La danza delle Tre Grazie.

La Sala XVII della Pinacoteca Vaticana ospita eccezionalmente, e temporaneamente, le Tre Grazie, gruppo scultoreo del II secolo d.C. Nell’ambito di «Museum at Work», iniziativa dei Musei Vaticani dedicata al restauro delle opere in collezione, sarà possibile ammirare le Tre Grazie, solitamente non visibili al grande pubblico perché esposte, dal 1932, nel Gabinetto delle Maschere del Museo Pio Clementino. In questo ambiente, non compreso nell’abituale percorso di visita, sono collocati capolavori della scultura classica come l’Afrodite accovacciata e i quattro riquadri musivi con maschere teatrali, provenienti da Villa Adriana, che danno il nome alla sala.
Il prototipo tardoellenistico cui le Tre Grazie vaticane probabilmente rimandano ad un’opera di I secolo a.C., forse della cerchia di Stephanos, allievo di Pasiteles. Non si conosce il luogo del ritrovamento dell’opera, che giunse in Vaticano nel 1815, sotto Pio VII. Sicuramente fu rinvenuta in condizioni frammentarie e, già nella seconda metà del Cinquecento, venne sottoposta a restauro, con l’integrazione delle tre teste antiche, non pertinenti, e gran parte della braccia e delle gambe. Fra il 1820 e il 1822 fu nuovamente restaurata.
Il recente intervento (coordinato dal Reparto di antichità greche e romane dei Musei Vaticani ed eseguito dal Laboratorio materiali lapidei, in collaborazione con il Gabinetto di ricerche scientifiche applicate ai beni culturali) ha consentito la lettura delle varie fasi conservative della scultura. È stato difatti possibile rilevare le linee di giunzione fra le parti originali dell’opera e le integrazioni successive, che erano state minimizzate dall’intervento cinquecentesco. Rimosse le resine alterate e virate cromaticamente, sono state ripristinate le stuccature con malta di grassello di calce e inerti di polveri di marmo. A restauro terminato si è deciso di non applicare il protettivo, per mantenere la luminosità delle cere antiche.
Nel loro rinnovato splendore, Aglaia, Eufrosine e Talia, figlie di Zeus e compagne di Afrodite, intrecciano le braccia in un lieve e accennato passo di danza, in una posa che grande fortuna ebbe in età romana, in ogni ambito artistico, non solo in scultura. Tale motivo iconografico continuò nei secoli a ispirare gli artisti, dal Rinascimento fino al Neoclassicismo. E difatti l’esposizione delle Tre Grazie in Vaticano è anche un modo per celebrare il bicentenario della morte di Antonio Canova (1757-1822) che, del gruppo scultoreo, diede due celebri interpretazioni: una conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, l’altra al Victoria & Albert Museum di Londra.

Autore: Arianna Antoniutti

Fonte: ilgiornaledellarte.com, 22 set 2022

FIRENZE. Torna al suo antico splendore il Battistero.

Ritrovano il loro antico splendore i mosaici parietali, quelli sulla volta e sull’arco trionfale dell’abside, all’interno del magnifico Battistero di Firenze, decantati anche da Dante che li definì del “bel San Giovanni”. L’intervento ha interessato le otto facciate interne dell’edificio ed è cominciato nel 2017.
Diretto e finanziato dall’Opera di Santa Maria del Fiore con 2 milioni e 600 mila euro e con un contributo della Fondazione Friends of Florence per l’intervento sulla scarsella, il restauro delle pareti interne del Battistero di Firenze è stato condotto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, e la collaborazione per le indagini diagnostiche con Università italiane e laboratori specialistici.
In autunno partirà un nuovo e speciale cantiere che permetterà di eseguire anche il restauro dei circa 1.200 metri quadrati di mosaici della cupola del Battistero: l’intervento, che durerà alcuni anni, permetterà ai visitatori di assistere da vicino alle operazioni, per uno spettacolo unico al mondo.
Numerose sono state le scoperte emerse durante il restauro delle otto facciate: dalla tecnica musiva assolutamente originale impiegata nei mosaici parietali, un vero e proprio unicum, alle tracce di foglia d’oro su uno dei capitelli dei matronei, che potrebbe indicare come in origine fossero anch’essi tutti dorati. Dobbiamo dunque immaginare che un tempo il Battistero fosse completamente rivestito d’oro: nei capitelli dei matronei, nei mosaici parietali e nell’immensa cupola mosaicata, un tempo illuminato solo dalle luci delle candele. Si è notato inoltre come i mosaici dell’abside, detta scarsella, si differenziano da quelli parietali sia per la complessità narrativa che per la tecnica di esecuzione: in questi mosaici furono, infatti, impiegate tessere di misura estremamente minuta e una straordinaria varietà cromatica di paste vitree e altri materiali preziosi tra cui il corallo – che ad oggi non risulta essere stato utilizzato altrove nell’arte musiva – a rametti o in sezioni, che vanno a formare delle microscopiche tessere a forma circolare o a goccia. Non a caso sull’antico pavimento in tarsie marmoree – interessato anch’esso da interventi di restauro – che rappresenta anche lo zodiaco, si legge: “Qua vengono tutti coloro che vogliono vedere cose mirabili”.

Fonte: www.artribune.com, 29 lug 2022

 

VENARIA REALE (To). La ricostruzione della Fontana di Ercole era davvero necessaria?

Ha suscitato qualche polemica e pareri generalmente critici l’intervento sui resti della Fontana di Ercole nel parco della reggia sabauda di Venaria Reale, con il quale si è concluso il grandioso programma di restauri del complesso, avviato nel 1998. In questo caso, più che di restauro (termine con cui tutti i mezzi di informazione si riferiscono all’intervento), è meglio parlare di una vera e propria ricostruzione, come ha sottolineato l’architetto Donatella D’Angelo in un articolo pubblicato nel suo blog su Il Fatto Quotidiano lo scorso 25 giugno.
Per comprendere quanto poco fosse rimasto in situ di questo disgraziato “teatro d’acque”, realizzato tra il 1669 e il 1672 su progetto di Amedeo di Castellamonte, e per conoscerne la storia tormentata, fatta di un breve momento di fasto e di un lungo periodo di abbandono, si può leggere la scheda dedicata al bene sul sito dell’Art bonus ministeriale (Art bonus che ha messo a disposizione per la fontana oltre un milione di euro, per un totale complessivo del costo dell’intervento, non proprio trascurabile, di tre milioni e mezzo): “L’assedio francese di Torino del 1706 procurò seri danni alla Venaria e alle strutture della fontana causando la perdita di numerose sculture e decorazioni, alcune delle quali sono state reimpiegate in residenze nobiliari piemontesi, in particolare alcuni bassorilievi e quattro telamoni nel castello di Govone. L’abbandono del sito della fontana, declassato a fortino militare nel 1716 per l’istruzione e i giochi del principe ereditario, avveniva nel 1726 […] La demolizione è attuata in più fasi a partire già dal 1729, quando i marmi di scalinate e balaustre sono divelti per essere riutilizzati nel progetto dei giardini, ulteriormente ingranditi da Filippo Juvarra. Con il 1740 inizia lo smantellamento metodico delle sculture, il recupero dei materiali metallici e delle concrezioni calcaree. […] Nel 1751 viene sancita la totale demolizione delle murature superstiti e l’interramento dell’intera struttura […]”. Povera fontana! Esistita per pochi decenni, poi smantellata e addirittura seppellita.
La sua storia sembrerebbe concludersi qui, consegnata alla memoria storica dalle illustrazioni d’epoca e dai pochi pezzi superstiti, ancora presenti alla Venaria o reimpiegati altrove. E invece accade qualcosa che modifica il corso degli eventi: tra il 2003 e il 2005 scavi archeologici portano al rinvenimento del ninfeo. Le cui strutture naturalmente, passando dal protettivo ventre della terra all’esposizione agli agenti atmosferici, iniziano ad andare incontro a un repentino degrado. Che fare allora? La soluzione migliore, con buona pace degli ‘umarell’ degli scavi archeologici, sarebbe stata quella di documentare e ricoprire tutto: soluzione migliore dal punto di vista della tutela e di gran lunga più economica. Oppure si sarebbero potuti proteggere e rendere visitabili gli spazi rinvenuti, magari studiando soluzioni innovative per la copertura delle rovine, che evitassero il consueto “effetto tettoia”. E invece no: ricostruiamo tutto! Ricostruiamo la vasca e riportiamo al centro dell’invaso, innalzata su un piedistallo hi-tech, la statua di Ercole; riposizioniamo (in copia) i telamoni finiti a Govone; rimpiazziamo gli elementi perduti con sostituti in resina acrilica e solfato di calcio.
“Ricostruzioni e integrazioni hanno senso se obbediscono non tanto a volontà di ordine estetico, ma se rispondono a esigenze di rifunzionalizzazione e reinserimento sociale dei beni culturali”.
Il risultato è stato massacrato sui social: molti hanno gridato al falso storico; c’è chi ha evocato il castello del Boss delle Cerimonie, chi Malibu, Las Vegas o Disneyland. Qualcuno ha ricordato che la Venaria nel suo complesso è stata sottoposta a restauri molto ‘decisi’, mentre residenze sabaude molto meglio preservate, come Stupinigi o Racconigi, non godono della stessa attenzione mediatica e turistica. Che poi, mettendo a confronto l’aspetto attuale della ‘rinata’ fontana con quello che essa aveva nel momento del suo effimero splendore, non si può che restare delusi: il fasto di un tempo è assai lontano, le coperture dei resti smorzano qualunque illusione, mancano troppe parti per parlare di una vera ricostruzione, manca persino l’idra sconfitta da Ercole, dalle cui fauci zampillava l’acqua, per cui gli zampilli fuoriescono ora dal piedistallo della statua, con un effetto ben diverso. La ricostruzione non era dunque solo una strada sconsigliabile dal punto di vista dell’attuale cultura del restauro e della tutela, ma anche impraticabile.
Questo non vuol dire essere contrari tout court alle ricostruzioni o comunque a decisi interventi architettonici in contesti edilizi giuntici dal passato. Occorre però valutare caso per caso, e soprattutto considerare se tali interventi sono funzionali più che altro a propositi di spettacolarizzazione (come nel caso della Fontana di Ercole), oppure se risultano finalizzati a rendere possibile un più ampio (ri)utilizzo del bene, una sua più efficace tutela, il suo reinserimento nel tessuto edilizio e sociale circostante. Il confronto che viene spontaneo fare è con la ricostruenda arena del Colosseo: un intervento ben più costoso (18 milioni di euro), e che sembra tuttavia assai più giustificato. Perché protegge le preziosissime strutture dei sotterranei dell’anfiteatro (nati per stare, ce lo dice il nome, sottoterra) e soprattutto va a ricucire la storia plurisecolare della ‘piazza’ interna al monumento, teatro dei giochi prima, e poi di momenti di vita cittadina, militare, religiosa. Una nuova piazza, dunque, che potrà essere usata per aggiungere a questa lunga storia nuovi episodi (spettacoli, concerti, conferenze, eventi e chissà cos’altro) e per consentire al Colosseo di non essere solo ammirato (attività meravigliosa, ma che può benissimo convivere con altre), ma anche vissuto, di essere un po’ meno ‘monumento’ e un po’ più uno spazio vivo, una porzione di città. In altre parole, ricostruzioni e integrazioni hanno senso se obbediscono non tanto a volontà di ordine estetico (che poi falliscono, come alla Venaria, in primis da un punto di vista estetico), ma se rispondono a esigenze di rifunzionalizzazione e reinserimento sociale dei beni culturali.

Autore: Fabrizio Federici

Fonte: www.artribune.com, 7 lug 2022

PERUGIA. Il grande restauro per il Duomo.

Uno sforzo congiunto per restaurare il Duomo di Perugia. Dopo un anno di lavori sono stati presentati lo scorso 17 giugno i lavori di restauro eseguiti sulle facciate della Cattedrale di San Lorenzo, iniziati a luglio 2021, che hanno coinvolto la Fondazione Brunello e Federica Cucinelli, Plenitude (già Eni gas e luce) e l’arcidiocesi di Perugia con il cardinale Gualtiero Bassetti. Gli interventi sono stati infatti resi possibili dal sostegno economico della Fondazione e il progetto CappottoMio di Plenitude – che ha acquistato il credito derivante dalla detrazione fiscale del Bonus facciate istituito con la finanziaria del 2020.
L’intensa opera di restauro è stata condotta con una rigorosa aderenza all’impianto architettonico originario del 1437, in modo da restituire all’antico splendore le facciate della cattedrale eseguita dal maestro di pietra torgianese Bartolomeo diMattiolo. Gli interventi, sia di natura strutturale sia di natura estetica, hanno interessato quasi ogni elemento del Duomo: sono state restaurate la parte sopraelevata in mattoni; le tre edicole – quella del Crocifisso ligneo scolpito da Polidoro Ciburri, quella della Madonna della Provvidenza realizzata da Pagno di Lapo Portigiani con una scultura di Aroldo Bellini e quella della Madonna della Consolazione; il pulpito in marmo carrarese; il portale della facciata orientale (su disegno di Pietro Carattoli) e quello sulla centrale Piazza IV Novembre (di Galeazzo Alessi); la Loggia di Braccio, inclusi lo stemma e i peducci della V campata; la statua bronzea di papa Giulio III – opera di Giulio Danti e del figlio Vincenzo –; e poi ancora il campanile, le cortine murarie in pietra d’Assisi, i basamenti, la seduta e la scalinata in travertino, la Cappella in mattoni del Battistero, il Portale del Giubileo, le specchiature della Cappella dello Spirito Santo, le bifore e le trifore, le vetrate e il rosone.
“Mi è sempre piaciuto pensare che conservando i nostri monumenti conserviamo, per certi versi, noi stessi, e gettiamo le fondamenta del nostro futuro”, ha commentato l’imprenditore Brunello Cucinelli, che lo scorso anno, al momento dell’inaugurazione dei lavori, aveva detto di aver sempre voluto fare qualcosa per contribuire a preservare la sua“maestosità e bellezza”. Un traguardo raggiunto: per questo, dice, si può celebrare “il restauro di un monumento celebre, simbolo non soltanto religioso per i perugini e per l’Italia tutta. Ho imparato dalla mia famiglia, e dalla campagna, che ogni buona azione è come un seme che non manca mai di dare buoni frutti. Per questo auguro a tutti che l’esempio di questa buona opera stimoli un’imitazione virtuosa alla grande come alla piccola scala, pubblica e privata, poiché, come dicevano i miei stimati greci, se terrai in ordine e ben conservato l’ingresso della tua casa, anche la tua città sarà sempre ben conservata. Sono convinto che questo meritano la nostra augusta Perugia e la nostra terra madre umbra”.
“La cattedrale, intimamente legata alla persona del vescovo, è “madre” di tutte le chiese della diocesi”, ha commentato il cardinale Bassetti: “È il centro visibile dell’unità intorno alla persona del vescovo. Ma per secoli è stata anche il fulcro della vita sociale. Il consolidamento e il restauro delle facciate rinnovano lo splendore del luogo caro a tutta la comunità civile e religiosa. Grazie a quanti hanno reso possibile questo recupero, che onora l’intera città di Perugia”. “Siamo orgogliosi di aver contribuito alla valorizzazione del nostro patrimonio nazionale”, ha dichiarato l’Ad di Plenitude Stefano Goberti, “mettendo al servizio della comunità le best practice maturate in ambito di riqualificazione degli edifici anche attraverso le importanti misure previste dal governo”. L’intervento si inquadra perfettamente nello Statuto di Plenitude che, a luglio 2021, è diventata la prima Società Benefit del settore dell’energia, prendendosi così l’impegno statutario di avere un impatto positivo sulle persone, le comunità e l’ambiente.

Autore: Giulia Giaume

Per il libro “La storia di Perugia. Dalla preistoria ai giorni nostri” https://www.brunellocucinelli.com/en/the-cucinelli-foundation.html

https://eniplenitude.com/

Fonte: www.artribune.com, 7 lug 2022

Michele Santulli. Amleto Cataldi, alla Sapienza, finalmente.

Eppure stiamo parlando dello Scultore di Roma, cioè non vi è artista che sia presente nella Città Eterna con tante opere quanto quelle di Cataldi sia nei musei sia nei palazzi istituzionali, sia negli spazi cittadini e, in aggiunta, un artista da annoverare tra i primi posti, se non al primo assoluto, in qualsiasi graduatoria sulla scultura del Novecento Europeo. Talmente presente a Roma e talmente significativo che alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dove di sue opere ne sono conservate cinque, tra le quali ‘Risveglio’ in marmo premiata dalla giuria internazionale alla Mostra Nazionale del 1911, le opere sono in deposito quindi non visibili al pubblico e se si sfogliano gli ultimi cataloghi generali della Galleria, il suo nome non esiste!
E quel capolavoro di ‘Portatrice d’acqua’ su un alto piedistallo al caffè della Galleria, non lamento che ancora oggi è sprovvisto di una etichetta di riconoscimento che indichi l’autore ma lamento il fatto che non ho ben capito in quale registro della Galleria è registrato e se registrato!
Quel capolavoro di ‘Fontana della Ciociara’ collocato a suo tempo grazie al sindaco Ernesto Nathan, davanti alla Casina Valadier sul Pincio continua imperterrito a essere chiamato ‘Anfora’ o ‘Fontana dell’anfora’ o della ‘giara’ o ‘Venere’ o altro insensato appellativo e, inoltre, comunque nel tabellone di Villa Borghese dove sono elencate le opere presenti, la ‘Fontana della Ciociara’ l’unica scultura sul Pincio, manca.
Non vogliamo ricordare, perché offensivo, non per l’artista ma per la istituzione medesima, che inconsapevole possiede in casa un capolavoro, dove e come sono conservati, per esempio, i due Arcieri del Quirinale e della Banca d’Italia e come fino a ieri nella Protomoteca del Campidoglio risulti ancora assente il favoloso busto di Carducci. E qui ci arrestiamo: altro ci sarebbe da annotare sulla sempre attuale incapacità, o non volontà, di capire il significato e il valore di un‘opera d’arte vera e perciò dell’artista Cataldi, nella Città Eterna.
Più volte, per esempio, abbiamo ricordato lo stato di conservazione miserevole del suo monumento degli ‘Studenti caduti alla Prima Guerra Mondiale’ alla Università la Sapienza, da oltre cento anni mai fatto segno di cura e di attenzione: le istituzioni competenti hanno sempre risposto con le solite frasi ben note, perciò mai intervenute. Siccome il monumento si trova a pochi metri dallo scalone di accesso alla facoltà di Giurisprudenza, allora mi sono detto: chi più interessato e stimolato al prestigio e all’onore del restauro dell’opera? Ho interpellato alcuni giuristi amici ma tutti univoci nella risposta negativa. Eppure si tratta, a mio avviso, di pochi soldi forse diecimila Euro. Mi sono rivolto all’ordine degli avvocati di Frosinone, due volte a distanza di tempo: zero risposta. Idem all’ordine degli avvocati di Cassino. Un avvocato del luogo legato alla ‘Ordine Nazionale’ si fece promotore e perfino garante del restauro a cura di tale ente nazionale degli avvocati. Zero. Naturalmente in questi anni il Rettorato preso da tante altre incombenze, non si è mai preoccupato o interessato dello stato di conservazione del monumento.
Ora da poco più di un anno rettore della Sapienza è una donna, prof.ssa Antonella Polimeni e si direbbe che il destino del Cataldi della Sapienza stia mutando, in meglio: infatti in cooperazione con altra donna, Arch. Alessandra Marino, Direttrice dell’istituto Centrale del Restauro, tra i diversi impegni di un accordo-quadro firmato recentemente e valido per tre anni, ci sarà anche il restauro dell’opera del Cataldi previsto entro l’estate 2022!
Si ricorda che l’opera nel 1920, “in virtù del suo pregio artistico e del suo valore simbolico, fu collocata al centro del cortile dell’Antico Palazzo della Sapienza a Sant’Ivo” architettura sublime del Borromini. E da qui successivamente spostato nel contesto della attuale Università vera e propria, ai piedi, oggi, dello scalone di Giurisprudenza come detto più sopra; il 5 giugno 1921 fu inaugurato alla presenza dei Sovrani, del Presidente Salandra e delle autorità accademiche. Da allora lo splendido monumento del Soldato e della Gloria è stato invaso dall’ossidazione tipica del bronzo esposto alle intemperie e la scritta sul piedistallo in marmo divenuta illeggibile. Finalmente ora, grazie alla rettrice Polimeni, un’altra bella notizia per Cataldi, lo Scultore di Roma.

Autore: Michele Santulli – inciociaria@gmail.com