Il museo è per lo più autocelebrativo. I committenti fanno erigere edifici che diventano una specie di ‘marchio di fabbrica’. «Le persone costruiscono musei per i motivi più diversi, perché sono magici, perché creano posti di lavoro, ma soprattutto perché rafforzano l’ego dei committenti» dice Deyan Sudjic, che, curatore della Biennale di architettura ha dedicato ampio spazio a questo tema.
Tra i lavori più interessanti dei prossimi anni, il critico annovera l’ampliamento del Moma a New York fatto da Yoshio Taniguchi, un museo d’arte a Graz, disegnato da Peter Cook e Fournier, un museo sull’immigrazione, dal forte valore simbolico, progettato da Fernando Romero, un giovane architetto messicano. Sono tutte realtà che vedremo alla luce fra qualche anno. Ma che cosa rappresentano, oggi, i musei? Lo abbiamo chiesto all’architetto Nikos Georgiadis dello studio Anamorphosis che ha progettato il Museo del Mondo Ellenico ad Atene, un progetto che è stato esposto alla Biennale di Venezia.
Sono cambiati i musei negli ultimi anni?
«Moltissimo. Sono diventati istituzioni prestigiose finanziate in modo diretto o indiretto dal settore privato. Il più delle volte sono edifici simbolo del potere del proprietario o rappresentazioni dello stile dell’architetto che li realizza».
Ci sono delle caratteristiche comuni fra i musei della nuova generazione?
«In genere questi edificisimbolo non instaurano un legame fra gli oggetti che espongono che sono trattati individualmente, senza nessuna relazione gli uni con gli altri. La maggior parte dei nuovi musei è ancora legata alla vecchia idea di ‘collezione’ per cui gli oggetti in mostra vengono esposti e collegati tra loro secondo il gusto di chi cura l’esposizione».
Quindi?
«In realtà oggi si sente sempre più la necessità di creare piccoli musei strettamente correlati alla cultura locale, alle attività tradizionali di un luogo. Oppure piccoli musei archeologici, lontani dalla città, posizionati in aree rurali o in piccoli centri urbani».
Come cambieranno i musei nei prossimi anni?
«Molti musei tendono a privatizzare lo spazio urbano. Volendo usare toni più ottimistici direi che l’evoluzione dei musei passa attraverso il fatto che devono togliersi la veste istituzionale, di emblema culturale, e ritornare ad essere un manufatto urbano che fa parte dello spazio cittadino. Riscuotono molto successo, come spazio per i musei, i vecchi edifici industriali proprio perché con il passare degli anni la loro struttura è diventata parte integrante della cultura e della storia pubblica».
Dunque, quale dovrebbe essere il ruolo del museo?
«Il museo non rappresenta solo un luogo di incontro, ma deve riflettere il contesto e la storia del luogo. Deve produrre nuovi concetti spaziali che riguardano non solo il suo contenuto, ma l’ambiente esterno. Oggi i musei vivono una situazione di sofferenza il che crea disinteresse nella gente che non ha più voglia di vedere, di imparare. Le persone, in realtà, hanno bisogno di capire l’importanza di riappropriarsi dello spazio come condizione fondamentale per vivere l’esperienza museale che va al di là della mera curiosità visiva».
L’avvento della realtà virtuale e delle tecnologie digitali ha influenzato in qualche modo i musei?
«Spesso l’idea di incorporare la realtà virtuale o strutture tecnologiche sofisticate all’interno di un museo ha prodotto edifici che operano più come un sofisticato centro di informazioni piuttosto che come istituzioni che trasmettono conoscenza. A questo proposito vorrei sottolineare il fatto che acquisire informazioni è un processo totalmente diverso da quello educativo e conoscitivo che dovrebbe avvenire in un museo. I siti archeologici, per esempio, sono i migliori musei perché fanno entrare il pubblico nello spazio reale».
Cosa ne pensa dei progetti museali che sono stati esposti alla Biennale di Venezia?
«Molti progetti mostrano una buona dialettica con lo spazio. Ma alcuni famosi architetti insistono a ripetere se stessi realizzando edifici che sono celebrativi del proprio stile».
C’è qualche museo che considera simbolico dell’età contemporanea?
«Non si dovrebbe guardare al futuro senza considerare la relazione con il passato. In un certo senso il museo più ‘contemporaneo’ è quello che ha a che fare col passato. Prendiamo, per esempio, il museo in costruzione dell’Acropoli di Atene che dovrebbe ospitare i più importanti reperti archeologici della civiltà occidentale. Destinato a diventare un edificio simbolo della città di Atene, proprio per questo fallisce nell’intento di essere il museo giusto per l’Acropoli. Per edificarlo c’è bisogno di distruggere un ricco sito archeologico, il che mette in questione l’intero progetto. Tra l’altro messo lì, proprio di fianco all’Acropoli ingaggia una gara tanto forte, quanto patetica, con la stessa Acropoli».
Autore: Rosa Tessa
Fonte:La Repubblica