TORINO: Cantiere d’Egitto – Intervista a Elena Vassilika.

La nuova direttrice, alla vigilia del suo trasloco a Torino, racconta di mummie, dell ‘appartamento che sta cercando, degli amici per le figlie.

“Per questo non mi volto indietro pensando a quello che lascio, preferisco guardare avanti. Vado via da Hildesheim senza rimpianti, ora penso a Torino”. È passata per qualche giorno di qui Eleni Vassilika, la signora di origine greca e nazionalità inglese che da prossimo ottobre sarà alla guide del Museo Egizio, dopo avere diretto per alcuni anni il Roemerunc Pelizaeiis Museum della città tedesca. È venuta per cercare casa e iscrivere le figlie a scuola, per trovare un luogo dove poter suonare l’amato violoncello. E per prendere confidenza con una città in cui verrà a vivere.

Eleni Vassilika, quali le prime impressioni su Torino?
“Molto buone. La gente per strada non ha l’aria infelice come in Germania, i tassisti chiacchierano, nei ristoranti i ragazzi stranieri parlano italiano. C’è tolleranza e anche una buona integrazione con chi viene da fuori. Si dice che qui la popolazione sia invecchiata; noto invece un buon miscuglio tra giovani e vecchi. Queste le prime impressioni, che forse riguardano anche altre città italiane. Per Torino, devo dire che mi pare orgogliosa di sé, delle sue architetture e dei palazzi, bellissimi. Mi colpisce i numero elevato di cantieri di restauro, non solo per singoli edifici ma anche per intere piazze, messe sottosopra per realizzare parcheggi. Ho saputo che qui ci sono numerosi greci, soprattutto all’università”.

Dove vorrebbe abitare?
“Alle mie ragazze Alexia e Theodora, che chiamo le principesse perché portano i nomi di due nobili fanciulle bizantine, ho promesso un palazzo, ma naturalmente è uno scherzo. Penso a un appartamento in centro, con una perplessità però: tutti quanti suoniamo in casa, non vorremmo assordare i vicini. Potrei optare allora per una casa più appartata in collina, anche perché le figlie frequenteranno l’International School di Moncalieri”.

Loro come vivono l’idea del trasloco?
”Sono elettrizzate, pensano già allo shopping e ai bei ragazzi italiani… In Germania una delle due ha subito una sorta di shock culturale perché è andata a scuola senza sapere una parola di tedesco. Qui sarà diverso, l’inglese è per loro familiare, l’italiano lo impareranno. Cosa che devo fare anch’io, al più presto. Parto per la Toscana, seguirò un corso a Lucca”.

Lei ama le sfide, c’è però qualcosa che la preoccupa nel nuovo lavoro?
“Guardi, prima di tutto il tempo, il poco tempo che manca alle Olimpiadi e le tante cose da fare per quella scadenza. Spero poi di riuscire a instaurare buoni rapporti con le altre persone che lavorano nel museo, di essere accettata. Credo nel lavoro di gruppo, in un buon management come via per il successo. Non vorrei si pensasse che vengo qui per dare ordini e pretendere di essere ascoltata, desidero piuttosto creare una squadra. Mi sono sempre tirata su le maniche per lavorare, senza problemi. Succederà anche qui. A dire il vero, non ho motivo di preoccuparmi troppo, credo che tutto andrà per il meglio”.

E che cosa la attira di più?
“L’idea di una nuova collezione. È come a Natale, sei contento perché ti trovi di colpo tante cose che prima non c’erano. Quando dirigevo il Fitzwilliam Museum di Cambridge, a un certo punto si è dovuto trasferire una splendida collezione di oggetti medievali in un nuovo spazio. È bastato questo trasloco per far vedere quei reperti con occhi nuovi, fu una sorpresa incredibile, quasi una rivoluzione. Qui per me subito sarà tutto inedito: in seguito, nei limiti del possibile, vorrei cambiare di tanto in tanto gli allestimenti, fare vedere i reperti con occhi diversi. Poi, naturalmente, mi attira l’idea del nuovo, grande museo. Si parlava di sfide: ne esistono a breve, medio e lungo termine. Sul lungo termine ci sarà il concorso internazionale, prima tanti stadi intermedi. Mi interessano i lavori per il nuovo percorso museale: ho abbastanza occhio per il design, sia a Cambridge che a Hildesheim, dove non c’erano molti soldi a disposizione, ho dovuto io stessa disegnare dei pezzi per gli allestimenti”.

Quali le priorità per il suo lavoro?
“Convincere le persone che non solo valga la pena visitare il Museo Egizio, ma anche tornarci. Un buon rapporto tra il museo e il pubblico è senz’altro uno degli obiettivi che metterò al primo posto”.

Fonte:La Repubblica