Salvatore SETTIS: Cambieremo la riforma Urbani sui beni culturali.

Vantaggi fiscali per le donazioni ai musei, assunzioni al ministero per i Beni Culturali e nelle Soprintendenze, musei il più possibile aperti, meno mostre, più collezioni permanenti: sono i cavalli di battaglia di Salvatore Settis, da ieri presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali del Ministero. Rettore della scuola Normale Superiore di Pisa, docente di Storia dell’Arte e dell’Archeologia, protagonista di epiche battaglie e di numerosi volumi in nome della difesa del patrimonio culturale italiano. Chi lo conosce, chi in questi anni ha seguito la sua attività e le sue critiche nei confronti dei precedenti ministri sa che queste sono le sue idee da anni e che farà il possibile per vederle attuare.

Professor Settis, uno con i suoi titoli perché decide di mettersi in gioco e passare dall’altra parte della barricata?

«Il mio ruolo sarà presiedere il Consiglio Superiore dei Beni Culturali, un organo consultivo non decisionale. Sono all’interno del ministero ma non con poteri decisionali. Non è la prima volta: penso che sia dovere dei cittadini fornire il proprio contributo alle istituzioni. E poi il ministro Rutelli, che non conoscevo personalmente fino a pochi giorni fa, mi ha fornito rassicurazioni sul comparto dei beni culturali.

Che cosa le ha detto?

«Ho apprezzato la sua idea di ridare smalto a questo Consiglio, un organo che compirà cento anni nel 2007 e che con il tempo ha molto cambiato i suoi compiti».

E qual è il suo programma?

«Troppo presto per dirlo. Bisognerà ridare consistenza all’organo, fare in modo che sia un organo che possa realmente servire ad aiutare il ministro a prendere decisioni politiche».

In che cosa hanno sbagliato i precedenti ministeri?

«A non funzionare è innanzitutto l’organizzazione del ministero dei Beni Culturali. Non funziona la riforma Urbani, bisogna rimetterci le mani in modo serio. Un altro problema è la totale mancanza di assunzioni. L’età media degli addetti è intorno ai 55 anni, il che vuol dire che fra qualche anno non ci sarà più nessuno né al ministero né nelle Sovrintendenze. Il Codice dei beni culturali e paesaggistici va bene al 90%, ma vanno modificate le leggi estranee come quelle che introducono i condoni agli abusi architettonici, cosa che è assolutamente inaccettabile».

Lei parla di assunzioni, ma da anni il ministero deve fare i conti con forti tagli delle risorse. Il governo Prodi invertirà questa tendenza?

«Mi auguro di sì. Non sta a me dire dove dovrà prendere i soldi, ma non posso non ricordare che siamo il Paese europeo con la maggiore evasione fiscale. Insomma, da qualche parte i soldi ci sono. Certo, non sarà facile. Un provvedimento da adottare è una fiscalità di vantaggio per chiunque voglia collaborare per difendere il patrimonio culturale, anche tramite donazioni».

Questo ci porta ai musei, anche loro in sofferenza. Il ministro Buttiglione aveva proposto un aumento del biglietto d’ingresso.

«Una strada perdente. Credo che il lavoro sui nostri musei vada reimpostato impiegando personale di grande competenza, da assumere con quei concorsi che non si fanno da tanti anni. E’ necessario introdurre sussidi, fare ricerca, rendere i musei il più possibile aperti. Già con i ministri Veltroni e Melandri si era introdotta questa apertura e bisogna tornare a quella politica e motivare il personale sui versanti della didattica e della ricerca, che poi sono due lati della stessa medaglia. E poi puntare di più sulle collezioni permanenti e meno sulle esposizioni temporanee, al contrario di quanto si è fatto in questi anni».

E i fondi?

«Innanzitutto è necessario introdurre la fiscalità di vantaggio che lancerebbe il meccanismo delle donazioni. Esiste in molti Paesi, la migliore è di sicuro quella degli Stati Uniti. Quando parliamo dì donazioni ai musei non dobbiamo pensare al grande mecenate: negli Usa oltre il 70% delle donazioni è di piccola entità, sui mille-duemila dollari. Il merito è dei benefici fiscali garantiti a chi decide di offrire una certa somma».

Altro punto dolente della cultura italiana sono archivi e biblioteche.

«Le biblioteche, almeno, hanno un sostegno dalle regioni. Gli archivi sono la vera Cenerentola. E un Paese che non si preoccupa dei propri archivi, in particolare un Paese come l’Italia che ad esempio vanta gli archivi medievali più importanti d’Europa, vuol dire che si sta suicidando. In Italia è accaduto questo ma deve cambiare garantendo maggiore personale e più sedi».

Professore, lei è calabrese ed è un grande archeologo: che cosa pensa del Ponte sullo Stretto?

«Non ne so abbastanza, ma credo che occorra valutare i problemi di impatto ambientale ed archeologico che possono derivare dalla costruzione in particolare delle rampe di accesso. Questo deve essere un elemento cruciale nella decisione».

Da tempo lei critica le divisioni fra ministeri, fra strutture pubbliche e chiede maggior coordinamento. Pensa che sarà possibile?

«Spero di sì. Intanto questa nuova compagine governativa ha già fatto un passo avanti portando lo Sport fuori dal ministero per i Beni Culturali. Credo poi che si debba arrivare ad un rapporto più stretto con il ministero per l’Università e la Ricerca. Farò il possibile perché ciò accada».

Il mondo dei beni culturali si è diviso sull’Ara Pacis di Meier inaugurata a Roma lo scorso aprile. L’ha vista?

«Molto velocemente il giorno dell’inaugurazione. Conosco l’architetto che l’ha progettata, abbiamo lavorato insieme al Getty. Riconosco il suo stile e credo che il risultato sia buono. L’Ara Pacis respira di più, si vede molto meglio di prima. Per esprimere un giudizio definitivo bisogna però aspettare il completamento dei lavori nella piazza. Non sono però sicuro che – vista la spesa – fosse una priorità. Ma questo è un altro discorso».


 

Autore: Flavia Amabile

Fonte:La Stampa