“Chi, di fronte a una mostra dal titolo ‘La forza delle rovine’, immaginasse di visitare la consueta esposizione di bucolici paesaggi pittorici disseminati di colonne spezzate e architetture con rovine antiche nella pittura a partire dal XVI secolo fino al XX secolo”, avrebbe sbagliato indirizzo. Mette subito le mani avanti, Marcello Barbanera che ha curato la rassegna, insieme con Alessandra Capodiferro, appena inaugurata a Palazzo Altemps (catalogo Electa).
In quanto questo tema non è stato mai centrale nella concezione della mostra per la sua scarsa originalità e perché doveva essere trattato come un fenomeno culturale di ampio respiro. Caratteristica delle rovine è la loro ambivalenza. Se da un lato le rovine sono “sentinelle al confine del tempo che ci sfugge”, dall’altro “stanno davanti al tempo” che le ha investite e modellate riducendole e fantasmi. Ma proprio questa caparbia resistenza al trascorrere del tempo conferisce loro il senso della durata rendendole un’ancora per la memoria. Due i punti fermi della rassegna: esplorare l’argomento in tutti i suoi aspetti, e in riferimento stretto con il luogo in cui le opere vengono esposte, uno fra i più superbi scrigni della scultura antica. Ovvero il Museo di Palazzo Altemps che conserva la collezione Boncompagni Ludovisi. Per l’occasione inaugura tre nuove sale.
La visita della mostra aperta fino al 31 gennaio 2016 potrebbe iniziare dal teatrino cui si accede, traversato il meraviglioso cortile di Baldassarre Peruzzi, Antonio da Sangallo il Vecchio e Martino Longhi scendendo pochi gradini di una doppia rampa dalle forme arrotondate al centro della quale spicca una “vera” di pozzo con lo stemma degli Altemps. Superato il foyer eccoci nel piccolo teatrino privato, fra i più antichi di Roma, chiamato anche Goldoni. Uno dei primi ad accogliere anche la magia del cinema muto. E’ qui che su grandi schermi scorrono frammenti di una decina di pellicole firmate da registi come Wilder, Herzog, Stone, Rossellini. E Fellini di cui viene proiettato un brano di “Roma” del ’72. Alla luce delle torce compaiono, per scomparire subito dopo, meravigliose pitture romane.
“Fate qualcosa”, grida una donna di fronte alla distruzione. Un abbrivio che lascia immaginare cosa ci riserva il percorso che attraversa tutte le sale del museo. LA F dove è facile, anzi consigliabile perdersi fra l’Ares Ludovisi e il Galata Suicida, fra sarcofagi e rilievi. Si può dunque iniziare dal basso con metodo, ma niente impedisce che si possa partire da una qualunque delle nove sezioni in cui si articola la rassegna che si estende alla musica con pezzi selezionati appositamente e alla letteratura con una quarantina di testi da Cicerone a Eliot a Kavafis.
La scelta delle 120 opere, pitture, sculture, incisioni, acquerelli, fotografie, volumi antichi, allestiti su leggere strutture autoportanti simili a canneti da Federico Porcari e Gent Islami, è stata operata tenendo conto della collezione permanente del Museo. Quasi un dialogo fra loro. Le rovine non sono solo quelle antiche, ma anche quelle moderne, le macerie che seguono le catastrofi e le guerre.
“Sono nato fra le rovine…Io amo le rovine perché sono il punto di partenza per qualcosa di nuovo” dice Anselm Kiefer presente in mostra. Ed ecco “Massacro” di Guttuso che dipinge la presa di Palermo, Gabriele Basilico che ritrae le macerie di Beirut, il teatro di Gibellina di Consagra ridotto a un rudere fotografato da Cristaldi e la copertina del ”The New Yorker” che sintetizza il buio della ragione dell’11 settembre.
La seconda sezione è dedicata alla poetica del frammento, a partire dal monumentale “Torso di Polifemo” della collezione di Palazzo Altemps er vedere come gli artisti dal ’500 ad oggi hanno lavorato sul Torso. Del “Torso del Belvedere” da cui tutto si origina c’è la copia in gesso di Villa Medici, accanto studi e opere di Arturo Martini, sculture di Rodin e Mitoraj, tele di Kauffmann, Fortuny, Roberto Ferri, foto di Mapplethorpe. Non possono mancare i paesaggi di rovine dal ‘700 e fino all’800 e al ‘900, la pittura di veduta e di paesaggio che recupera la memoria dell’Antico concentrandosi sulle vestigia romane. In mostra i capricci di Marco Ricci, i dipinti di Hubert Robert, Ippolito Caffi, Arturo Nathan. Alle grandi rovine di Roma, di Pompei, Ercolano e di Atene, si aggiungeranno nell’800 i complessi gotici. Di contro agli armoniosi paesaggi di rovine la doccia fredda dei paesaggi rovinati dalle macchine, dall’industria, dai rifiuti, dalla banalità dell’uomo costruttore nelle fotografie di Luigi Ghirri, Basilico, Lori Nix.
A Giovan Battista Piranesi, indagatore di stili, tecniche e materiali usati in antico è dedicata un’intera sezione “Anatomia delle rovine”. Non solo lo studio del frammento, dell’ordine con i suoi ornamenti, non solo le architetture di templi, teatri, fori, ma anche di ponti, acquedotti, strade, fogne, canali. Piranesi non tanto l’archeologo, quanto architetto che legge i monumenti e il tessuto urbano di Roma per interrogare la storia.
“Beati gli antichi che non avevano un’antichità!”, diceva Denis Diderot. Ma non è così, anche gli antichi conobbero le loro rovine come memoria. In mostra una preziosissima, piccola “Kore” prestata dal Museo dell’Acropoli, fatta a pezzi e bruciata nel 480 a. C. dai Persiani. Dal Museo di Ostia viene un rilievo che rappresenta un pescatore. Nella rete insieme ai pesci ha trovato una scultura. E dalla Galleria Borghese il monumentale dipinto di Frderico Barocci “Enea fugge da Troia in fiamme”.
“Il canto delle rovine” è affidato a fogli che sembrano volare. Scendono dal soffitto della sala grande del Galata e rimandano ai poemi sospesi dell’era preislamica scritti in lettere dorate su pezzi di lino ripiegati e appesi sulle tende che coprivano la Ka’ba. E’ la letteratura delle rovine che ben conoscevano Cicerone, Properzio e Marco Aurelio che si recano a contemplare le rovine di Corinto, Veio e del Pireo che loro stessi avevano creato.
“(Ri)Costruire le rovine”, l‘ultima sezione, affronta la relazione fra archeologia e modernità, cosa fare, quali sono le forme d’intervento richieste e consentite, si chiede. Soprattutto dopo i grandi scavi iniziati nell’800 di Troia, Micene, Delfi, Efeso, Pergamo, Baalbek, quando si creano altre rovine da conservare, proteggere e far conoscere. A Creta nel ‘900 si scopre il palazzo di Knosso, che viene ricreato in modo totalmente fantasioso, ma di grande impatto. Come sono fantasiose le sceneggiature per la Semiramide di Rossini per un Oriente immaginato. Un posto importante era riservato ai restauratori che spesso reintegravano le rovine, come Bartolomeo Cavaceppi. Anche Bernini e Algardi lasciarono il loro segno sulle sculture antiche.
A Roma negli anni ’20-’30 gli sventramenti fanno emergere i problematici rapporti fra città antica e città moderna, documentati dalle foto delle demolizioni per l’apertura dei Fori Imperiali. E poi la guerra con le distruzioni dei monumenti, mai come oggi tanto sciaguratamente attuale. Di Mario Mafai la “Basilica di San Lorenzo” bombardata.
Info:
Roma, Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps, Piazza di Sant’Apollinare 46. Orario: dalle 9.00 alle 19.30, chiuso il lunedì, fino al 31 gennaio 2016. Informazioni: 06-39967700 e www.coopculture.it
Autore: Laura Gigliotti
Fonte: www.quotidianoarte.it, 13 ott 2015