Il Ministro Tremonti qualche giorno fa ha annunciato con soddisfazione il successo della prima fase della vendita del patrimonio dello Stato e degli Enti previdenziali pubblici, attraverso le aste organizzate dalla Società per la Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici (Scip). Le agenzie di stampa hanno riportato la notizia senza commenti. Temo tuttavia che quello che è già accaduto e sta accadendo con le aste Scip sia l’assaggio di quello che potrebbe accadere con la Patrimonio e le Infrastrutture spa. Gravissime ripercussioni si sono già verificate a livello legislativo e presto ce ne saranno a livello sociale. Occorre ricostruire la storia delle aste Scip, poiché se ne è parlato poco e male.
In precedenza, la gestione degli immobili pubblici rientrava in quella del patrimonio dello Stato, con un carattere, come ricordano anche Parlato e Vaciago, più pubblicistico e sociale che economico e produttivo. Questo si traduceva anche in canoni di affitto simbolici o estremamente ridotti, ma anche, talvolta, in una scarsa attenzione alla corretta e tempestiva manutenzione degli immobili. Negli anni ’90 le leggi cominciarono a far valere l’aspetto di gestione produttiva. Il processo di privatizzazione immobiliare di parte del patrimonio dello Stato era previsto già nella legge finanziaria del 1990, ma delimitato ai beni del patrimonio disponibile dello Stato. Negli anni successivi furono effettuati vari tentativi di formare la struttura per la vendita di questo patrimonio, come con l’esperienza fallita di Immobiliare Italia, vani anche per mancanza di elenchi di proprietà disponibili, con il loro reale valore immobiliare.
Vista la difficoltà di pervenire ad una vendita del patrimonio, la legge 448 del 23 dicembre 1998 prevedeva piuttosto la sua valorizzazione, consentendone la concessione a privati o amministrazioni pubbliche che avessero presentato progetti di ristrutturazione o ricostruzione di immobili non in uso. Gli immobili di interesse storico-artistico restavano comunque esclusi da queste operazioni.
Con la legge 488 del 23 dicembre 1999 si riproponeva la dismissione del patrimonio immobiliare, aggiungendo quello degli enti previdenziali. Neppure questa legge ebbe molti risultati, anche per la mancata risposta di società private a partecipare alle operazioni di valutazione e vendita. Arriviamo così alle leggi 351 del 25 settembre 2001 e 410 del 23 novembre 2001, basate, come scrive Vaciago, sul principio della «dismissione in blocco unico del patrimonio immobiliare mediante conferimento ad una o più società veicolo appositamente costituite», creando una srl, la Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici (Scip) ed una Spa, la Patrimonio dello Stato.Per eliminare alcuni degli intoppi verificatisi con i tentativi precedenti, vengono eliminate le procedure di richieste di pareri e viene drasticamente limitata la possibilità di apporre vincoli. La Scip (come d’altronde previsto anche per la Patrimonio e l’Infrastrutture spa) ricevendo gli immobili anticipa allo Stato quanto atteso dalla gestione e rivendita degli immobili, mediante emissione di titoli o assunzione di finanziamenti. Il passaggio dei beni al patrimonio vendibile si effettua mediante la sola formulazione degli elenchi, escludendo il Consiglio di Stato dall’iter che porta alla dismissione, ridimensionando i poteri di Soprintendenze e Ministero dei Beni culturali (recita la legge 351, art. 3 comma 17: “I trasferimenti di cui al comma 1 [ndr.: cioè il trasferimento delle proprietà immobiliari nelle liste Scip] e le successive rivendite non sono soggetti alle autorizzazioni previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490)”. Quindi non solo le proprietà, anche quelle vincolate, possono essere vendute, ma anche le successive rivendite non possono essere bloccate dal Ministero dei Beni culturali. Non solo, lo stesso comma 17 esclude alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici territoriali, e agli altri soggetti pubblici la possibilità di rendersi acquirenti dei beni immobili di cui al presente decreto, annullando quindi anche un eventuale diritto di prelazione da parte del Ministero dei Beni culturali. La perla della legge 351 si trova nel comma successivo (18), che recita: “Lo Stato e gli altri enti pubblici sono esonerati dalla consegna dei documenti relativi alla proprietà dei beni ed alla regolarità urbanistica-edilizia e fiscale”. Lo Stato condona se stesso!
Si tratta di fatti di una gravità assoluta, inspiegabilmente passati sotto silenzio a livello di Soprintendenze, oltre che di opinione pubblica.
E infatti, mentre le polemiche infuriavano su Patrimonio spa, 35 proprietà dello Stato, con vincolo dei Beni Culturali, sono state vendute o stanno per essere vendute nelle aste di Scip 1 (cioè della prima fase dell’operazione Scip), mentre un numero ignoto di beni vincolati o vincolabili si trova in quelle della Scip 2, annunciata a metà novembre 2002 ed ora in preparazione.
Per ricapitolare: il Ministro delle Finanze può trasferire per decreto le proprietà immobiliari degli enti pubblici e dello Stato nelle liste del patrimonio alienabile. Se ci sono vincoli, questi vengono mantenuti ed il trasferimento è effettuato di concerto con il Ministero competente. Non esiste però diritto di prelazione da parte dell’amministrazione dello Stato o di alcun altro Ministero. Non solo, i trasferimenti nelle liste, e addirittura le rivendite di questi beni vincolati, non sono né saranno soggetti alle autorizzazioni previste dalla legge sulla protezione dei beni culturali n. 490 del 1999! Lo Stato fa le leggi e poi non le rispetta, non solo, ma autorizza anche i cittadini a non rispettarle. Questo significa anche che se un bene non vincolato, ma meritevole di vincolo, viene posto in vendita, il Ministero dei Beni culturali o le Soprintendenze non potranno fare alcunché per impedirne la vendita.
Ritengo che il legare mani e piedi del Ministero dei Beni culturali e dei suoi organi di tutela sia scandaloso, e che le continue smentite provenienti dalle alte cariche del Ministero dei Beni culturali e delle Finanze sulla vendita dei beni culturali suonino più che false.
La dimostrazione di tutto ciò si trova nelle vendite di beni: 35 proprietà vincolate su un portafoglio di 259 immobili messi in vendita nella prima fase delle aste Scip rappresentano quasi il 14%, un rapporto altissimo, soprattutto in considerazione dei continui dinieghi fatti riguardo a queste vendite.
Fra le proprietà vendute, che si trovano in tutta Italia, da Milano a Palermo, e da Genova a Trieste, troviamo Palazzo Correr a Venezia (venduto all’asta del 23 aprile scorso), un palazzo storico al centro di Palermo (via Wagner 2, venduto all’asta dell’8 ottobre; l’acquirente ne farà un albergo a cinque stelle), ed un edificio a via Conca del Naviglio 5 a Milano, costruito in parte sulla zona dell’anfiteatro romano, mentre ancora invenduti risultano Palazzo Artelli a Trieste, lo storico Hotel San Giuliano a San Giuliano Terme (edificio del XVIII secolo già residenza termale dei Granduchi di Toscana), e Villa Manzoni sulla Cassia a Roma, dove si trovano anche resti archeologici. Questi ultimi, essendo stati battuti già due volte e non avendo avuto compratori, verranno messi in vendita con uno sconto del 25%. Se anche in quel caso le proprietà non saranno vendute, sarà battuta un’altra asta con base scontata del 35%. Se ancora invendute, l’asta finale sarà a base libera, quindi teoricamente qualcuno potrebbe portarsi via queste proprietà per pochi euro. L’assalto ai beni culturali paventato da Settis è dunque già cominciato. Quello che stupisce è che non se ne parli affatto.
Autore: Gaetano Palumbo
Fonte:Il Giornale dell’Arte.com – 07/02/03