Più libro che mai

TORINO S´ACCOSTA al servizio d´ordine per diluire la folla che preme ai dibattiti. Inveisce contro i vigili e introduce autori ricamando citazioni. Bacchetta gli scrittori in ritardo col pubblico, accoglie Sgarbi, traduce a braccio gli stranieri, tiene a bada il telefonino. Ernesto Ferrero direttore editoriale della Fiera Internazionale del Libro è una specie di Puck, severo, ironico, affaccendato. Ma anche visibilmente soddisfatto.

Oggi si torna a casa. La libreria del Lingotto chiude i battenti. Com´è andata?
«Molto bene. Ben al di là delle aspettative più rosee. I numeri sono tutti al rialzo. Più 15% di pubblico e espositori. Cifre a parte, sono contento dell´atmosfera che si è creata. C´era una bella aria nei dibattiti, negli stand. Gli editori credono davvero nel libro. Stanno facendo il loro lavoro con grande determinazione, nonostante le difficoltà di operare in un Paese che non ha tradizioni di lettura forte come nel Nordeuropa».

Gli editori partono contenti?
«A Torino ci vengono con piacere. Si sono resi conto che è la loro casa. Che è la festa dei libri. Un luogo dove progettare insieme promozione, iniziative, contatti».

La promozione della lettura. Punto dolente. Spesso s´è detto che la Fiera è insufficiente. Grande euforia. Folle oceaniche. Come in ogni salone d´ogni altra «merce». Ma poi, alla fine, pochi nuovi arruolati al mestiere di leggere. Non è più così?
«Ho visto sfilare ogni tipo di pubblico. I lettori forti che venivano a cercare titoli esauriti. I lettori deboli, quelli intermittenti, quelli che non lo sono mai stati».

Chi è entrato al Lingotto per caso, dunque, non può uscirne senza curiosità e desideri nuovi verso il libro?
«Abbiamo avuto oltre trecento autori. Il fatto che venga un personaggio come Morandi, e ti spiega che il libro appartiene alla vita quotidiana, è un oggetto normale, simpatico, friendly… giova alla promozione. Oltre a studiosi e scrittori, abbiamo invitato personaggi famosi del mondo mediatico perché fossero testimonial della lettura, perché questo problema ci sta a cuore».

L´internazionalizzazione è la novità di quest´anno. Il Lingotto è stato galeotto di incontri, contratti, letture, tra italiani e stranieri?
«L´International Book Forum, curato da Maurizio Poma, ha funzionato bene. C´erano 80 personaggi importanti della cultura europea, come il tedesco Wagenbach, Cherki della francese Seuil, Herralde della spagnola Anagrama, Liana Levi di France Edition, il sindacato degli editori francesi… Abbiamo organizzato oltre duecento appuntamenti con gli editori italiani, che sono rimasti molto soddisfatti. Hanno trovato a Torino un clima disteso, meno assillante della Fiera di Francoforte. Il Lingotto sarà sempre più una vetrina del libro italiano per gli stranieri».

Torino fa concorrenza a Francoforte?
«Francoforte resta la fiera mondiale dei diritti. Ma noi siamo qualcosa in più e di diverso. Innanzitutto, una mostra-mercato, mentre lei non lo è. Chiunque, qui, può acquistare un volume. Secondo aspetto: siamo un festival, abbiamo un cartellone di eventi a tutto campo. Terzo: siamo diventati una fiera di diritti. Al mondo non c´è nessuno che possa offrire questi tre atout insieme. Abbiamo avuto più visitatori di Parigi, sebbene la capitale francese possa contare su un bacino demografico cinque volte maggiore».

Cos´è che non ha funzionato?
«Non voglio peccare di superbia. Ma gli intoppi sono esterni. Il Lingotto ha problemi di accesso. Via Nizza è sempre intasata. I trasporti pubblici non sono all´altezza. Ci sono forti disagi di traffico e ingorghi. Se la città e i cittadini collaborassero di più sarebbe una cosa civile. Certi automobilisti, per esempio, dovrebbero smetterla di lasciare le auto parcheggiate in tripla fila».

In passato c´è stato il tormentone del trasloco. La Fiera migra altrove… Torino sarà scippata di una delle sue tante idee. Sindrome finita?
«C´erano vaghe intenzioni. Più favole metropolitane che altro. Anche perché per allestire una Fiera di queste dimensioni ci vogliono istituzioni, una squadra allenata, editori d´accordo. Andare a Milano, per esempio, avrebbe costi molto più alti. E i piccoli fanno già sforzi economici notevoli. Tutti ora mi sembrano convinti della necessità di Torino. Naturalmente ognuno ha le proprie strategie promozionali. Ma il " mal di pancia" , le idee di trasferimento sono finalmente tramontate. Il Lingotto funziona. E piace».

Che fare per migliorare?
«L´internazionalità richiede investimenti. E vorremmo che tutti credessero di più in questa festa. Regione, provincia e comune ci danno una grossa mano. Ma le industrie, a parte la Fiat e poche altre, sono drammaticamente assenti. Non hanno capito che la cultura è il principale propellente di una città. Di fronte al successo spero che rivedranno il loro atteggiamento. Il Piemonte deve farsi sistema, dobbiamo tirare tutti dalla stessa parte».

Fonte:La Stampa