Per le attività di valorizzazione dei beni culturali il web costituisce un’opportunità straordinaria, a condizione però che si affermi la consapevolezza della necessità di una profonda riforma delle procedure tradizionali e di un continuo aggiornamento delle professionalità.
Per questo è indispensabile avviare incisive azioni di formazione per preparare gli operatori al cambio di paradigma imposto dalle tecnologie dell’informazione, in modo da contrastare la perdurante tendenza di riproporre nel web le tipologie di prodotti e le modalità di classificazione del mondo reale.
La tradizionale articolazione del patrimonio culturale in biblioteche, archivi e musei non può costituire il modello di riferimento per i nuovi archivi digitali. Una volta che i contenuti sono stati digitalizzati non ha più senso disporli in contenitori distinti. Diventa dunque finalmente possibile organizzare le informazioni secondo le loro relazioni concettuali. Nei nuovi archivi digitali gli schemi di classificazione non presentano articolazioni rigide e chiuse, come nei cataloghi delle biblioteche, degli archivi o dei musei. Il medesimo oggetto digitale può appartenere a molteplici “classi”, dall’assetto “ibrido” e continuamente variabile, grazie anche all’interazione degli utenti.
Si assiste oggi a un dibattito vivacissimo sulla valutazione da dare del fenomeno nuovo del consumatore di informazioni sul web. Un utente che interferisce con i contenuti consultati, vi appone commenti, e forma nuovi archivi con metodi di bricolage, cioè stabilendo link tra i dati disseminati in rete. Tale dibattito è animato da visioni contrastanti: la preoccupazione per l’”inquinamento” della qualità dell’informazione a causa dell’interferenza di soggetti non accreditati, da un lato; l’esaltazione del valore sociale della partecipazione degli utenti alla formazione dei contenuti, secondo il fortunato modello delle network communities che animano il mondo dei blogs, dall’altro.
I blogs sono stati finora soprattutto l’espressione di una nuova forma di aggregazione sociale tra i giovani. Le network communities prospettano, d’altra parte, la visione utopica di una produzione della cultura mediante processi bottom-up, della quale offrono un modello emblematico l’enciclopedia collettiva Wikipedia e il proliferare di iniziative ispirate alla filosofia “wiki”. Se ben impiegato, il sistema delle network communities può tuttavia favorire l’accesso integrato ai contenuti. Può inoltre contribuire a modificare la tradizionale estraniazione tra i produttori e classificatori delle conoscenze, da un lato, e i consumatori di risorse culturali, dall’altro. I link che questi ultimi stabiliscono tra i contenuti disseminati sul web possono infatti aiutare a soddisfare l’essenziale esigenza di integrazione semantica delle informazioni alla quale non rispondono gli attuali motori di ricerca. Viene così configurandosi un processo dinamico e aperto di ‘marcatura’ collettiva dei documenti, che prospetta ‘biblioteche digitali’ dai confini instabili e costituzionalmente diverse dalle biblioteche tradizionali.
La consapevolezza della necessità di un profondo ripensamento delle procedure tradizionali nell’universo della rete induce a manifestare qualche perplessità sulle tendenze che si osservano nella costruzione delle cosiddette ‘biblioteche digitali’. Si dispone oggi di un numero impressionante di progetti di questo tipo: Progetto Gutenberg, One Million Book Project, Open Content Alliance, World Digital Library, Bookstore Projects, Biblioteca Digitale Europea, Biblioteca Digitale Italiana (che viene producendo con modeste risorse finanziarie risultati davvero apprezzabili), ecc., e, naturalmente, Google Print. Quest’ultima iniziativa ha conferito violenta accelerazione al processo di pubblicazione in rete di cospicui giacimenti librari, innescando tensioni competitive laddove dovrebbe viceversa imporsi forte spirito di collaborazione, per evitare sprechi di risorse, frammentazione dei risultati e asimmetrie di standard.
Tutti questi progetti convergono nel concepire la “biblioteca digitale” come archivio formato da risorse esclusivamente librarie. Anche l’ambizioso progetto della Biblioteca Digitale Europea sembra emulare il modello Google, mentre sembrerebbe preferibile indirizzare gli investimenti verso la costruzione di archivi digitali che integrino le risorse informative non solo delle biblioteche, ma dei musei, degli archivi e di tutti i centri di produzione della cultura, archivi dotati di strumenti efficaci di knowledge management, in modo da esaltare la dimensione innovativa del web.
Occorre prendere atto che le implicazioni del web presentano un carattere addirittura più rivoluzionario di quelle prodotte dall’invenzione della stampa. Quell’evento epocale cambiò radicalmente le tecniche di produzione dei testi scritti e illustrati e, soprattutto, la scala della loro diffusione. Ma non alterò strutturalmente i modelli di espressione delle idee, non cambiò radicalmente i sistemi di classificazione delle informazioni, né modificò significativamente il rapporto tra produttori e utilizzatori delle conoscenze. Pur avendo prodotto enormi trasformazioni sul piano culturale, economico e sociale, la civiltà del libro può essere considerata come lo sviluppo linearmente evolutivo di quella dei papiri, delle pergamene e dei manoscritti. Il paradigma del cambiamento nella continuità non può essere viceversa applicato al passaggio dalla civiltà del libro al web.
La ‘galassia web’ non rappresenta un mondo “possibile”, bensì una durevole e proliferante realtà, popolata oggi da oltre cento milioni di siti, che raddoppieranno in meno di due anni. Pur avendo poco più di un decennio di vita, è diventato lo spazio principale di interazione, di lavoro, e di informazione per centinaia di milioni di utenti (anch’essi in crescita esponenziale). Il web rappresenta un fenomeno rilevante anche per capire come la mente dell’uomo si atteggi davanti a questa dimensione inesplorata e come si sforzi di sfruttarne le opportunità. Il web è stato concepito dagli ingegneri per finalità soprattutto strategiche e militari. Ma adesso l’umanità se ne viene impadronendo e vi dispiega la varietà dei caratteri, delle aspettative e dei comportamenti che ne caratterizzano la natura. Recentemente ci si è resi conto che il web non è solo uno strumento straordinariamente innovativo, ma rappresenta anche un formidabile terreno di ricerca antropologica, psicologica e sociologica. È di questi giorni la notizia che il MIT e l’Università di Southampton hanno dato vita a un programma di ricerca che ha come oggetto il web stesso. Web-science è il titolo di questo programma, il cui fine è di studiare come gli esseri umani si muovano in questa nuova dimensione, attraverso quali processi diano vita a modelli inediti di aggregazione sociale on-line e progettino nuove architetture delle conoscenze.
C’è un disperato bisogno che i nostri centri di formazione e dei beni culturali si aprano alle tematiche della web-science. La definizione di nuove architetture delle conoscenze, integrate, dialoganti, aperte, accessibili e interoperabili costituisce la sfida più complessa e affascinante. Essa potrà essere vinta solo se gli operatori dei beni culturali sapranno rimettersi in gioco, definendo le barre di orientamento necessarie per navigare con profitto nell’oceano procelloso del web.
Paolo Galluzzi,
Direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze
Autore: Paolo Galluzzi
Fonte:CivitaInforma