Non semplice “arte a soggetto sacro”, ma la bellezza di un’arte rivelatrice del sovrannaturale che vive nel rapporto tra gli uomini e Dio, attraverso l’esperienza del Verbo e l’azione creatrice della mano dell’artista. È stato questo il pensiero dal quale è nata “PACE A VOI !”: mostra d’arte sacra del pittore e scultore abruzzese Augusto Pelliccione, organizzata dall’Associazione Teatrale “L’Uovo” a cura della dott.ssa Maria Cristina Ricciardi con il patrocinio della Regione Abruzzo e dall’Arcidiocesi de L’Aquila, che si inaugurerà a L’Aquila il 16 agosto 2008 nella cornice barocca del Teatro San Filippo e che resterà aperta al pubblico fino al 31 dello stesso mese (Lunedì – Domenica: 18:00 – 24:00).
Per oltre un anno l’artista aquilano ha lavorato alla creazione delle opere in mostra: grandi tele ad olio, appositamente realizzate per i suggestivi spazi del Teatro S. Filippo.
«Quella di Pelliccione – ha affermato la dott.ssa Ricciardi – è una visione che affascina perché non è semplice rappresentazione sacra, ma testimonianza dell’attualità di un messaggio, del quale l’artista si fa vero mediatore tra terra e cielo. Una testimonianza che parla ancora di Pace, ribadendone il senso cristiano, in un mondo, quale il nostro, ricolmo degli effetti negativi di eccessi consumistici, di guerre e di violenze, di infanzie negate e di allucinate smanie di potere. Una pace, che non sia strumento di passività, ma che spinga l’uomo contemporaneo, come è già stato per i discepoli, fuori dai perimetri delle proprie paure e dei propri egoismi, per farlo sentire finalmente libero nella Verità».
Il catalogo, edito della Casa Editrice La Frentania e introdotto da Fra’ Marcello dei Frati Minori d’Abruzzo (caro amico e conoscitore dell’opera di Pelliccione), costituisce il terzo numero di “Rosa Mistica”: collana, ideata e diretta dal critico Maria Cristina Ricciardi, dedicata ai grandi temi del Sacro attraverso la ricerca artistica contemporanea condotta in Abruzzo.
Augusto Pelliccione: biografia dell’artista
Nasce a L’Aquila nel 1938, dove vive e lavora. Pittore, scultore, poeta e promotore culturale, nel 1954 abbandona gli studi ginnasiali del Liceo “Vincenzo Cuoco” di Frosolone per frequentare il Liceo Artistico di Pescara dove è alunno di Giovanni Melarangelo, Ferdinando Gammelli, Giuseppe Di Prinzio e Giuseppe Misticoni.
A Pescara, frequenta lo studio di Bruno Cascella in cui spesso si riunivano giovani artisti come Alfredo Del Greco, Aldo Macchia, Guido Giancaterino, Mario Moretti, Fulvio Viola, Vito Giovannelli ed altri che, assieme ai poeti Arturo Fornaro e Benito Sablone, diedero vita al “Circolo Filologico Internazionale” organizzando varie mostre a Pescara e a Roma, spesso ordinate e recensite dal critico Antonio Bandera. In questo ambito, partecipa a numerose rassegne nazionali, regionali e collettive tenute in Abruzzo.
Nel 1959 torna a L’Aquila dove stringe rapporti di collaborazione ed amicizia con giovani artisti, quali Marcello Mariani, Sandro Visca, Ennio Di Vincenzo, Mario Narducci ed altri, con cui vivacizza culturalmente la vita del capoluogo regionale, che va imponendosi all’attenzione della critica per il succedersi delle rassegne Alternative Attuali, organizzate dal critico Enrico Crispolti.
Nel 1964 tiene la sua prima personale a L’Aquila e l’anno successivo il CC3M di Paolo Scipioni, Gianfranco Colacito ed Emilio Di Carlo, gli pubblica una cartella di disegni e poesie.
Nel 1967 gli viene assegnato il secondo Premio di poesia “La Madia d’Oro” e l’anno successivo, ottiene il terzo Premio.
Nel 1968 dipinge una grande tela per la Chiesa aquilana di S. Maria Mediatrice, parte centrale di una trilogia dedicata alla Madonna che doveva interessare l’intera abside della Chiesa; questo lavoro, allora interrotto, viene ripreso e portato a termine nel 1986 con l’aggiunta di altri due lavori ispirati a figure dell’Antico Testamento. Tra 1985 ed il 1986 dipinge per la stessa, Chiesa un grande dipinto dedicato al tema dell’Ultima Cena.
Nel 1974 in occasione del Premio Vasto, viene invitato, insieme agli artisti Antonio Di Fabrizio e Luciano Primavera come “giovane maestro della pittura abruzzese”.
Nel 1977 è tra i fondatori del “Gruppo Officina Culturale ’77”, che diviene un importante punto di riferimento e polo di aggregazione per quanti operavano nel campo delle arti figurative.
Nel 1993 è tra i venti artisti invitati al 6° Premio Vasto Cinquant’anni d’Arte in Abruzzo – Presenze 1945-1993.
Nel 1994 esegue per la Chiesa di S. Maria Mediatrice un dipinto murale di grande formato che interessa la superficie superiore del braccio sinistro del transetto. Nello stesso anno, da vita con altri pittori e scultori aquilani al “Gruppo d’Arte Saturnino Gatti”.
Nel 1995, ancora nella Chiesa di S. Maria Mediatrice, esegue un nuovo grande dipinto murale che interessa l’altro braccio del transetto.
Con le sue opere è presente nei Musei di: Lido di Spina, ordinato da Remo Brindisi; Pro Civitate Cristiana di Assisi, ordinato da Tony Bernardini; Castello di Nocciano, ordinato da Eugenio Ruccitelli; Castello Cinquecentesco dell’Aquila (sezione d’Arte Moderna); Generazioni Italiane dal ’900 G. Bargellini, Pieve di Cento, ordinato da Giorgio Di Genova.
Nel 2007 è tra i trenta artisti abruzzesi invitati al 40° Premio Vasto d’Arte Contemporanea
Quando l’arte è Rivelazione: l’immaginario sacro di Augusto Pelliccione, di Maria Cristina Ricciardi.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». (Giovanni 20, 19-23)
Tutto muove da una affermazione che Cristo ripete due volte nel cenacolo dei suoi discepoli ed una terza alla presenza dell’incredulo Tommaso. In tal modo, nella scenografica visione di Augusto Pelliccione, noto pittore e scultore aquilano, certamente non nuovo alla realizzazione di importanti opere di tematica religiosa – ricordiamo i bellissimi dipinti di grande formato eseguiti per la Chiesa di Santa Maria Mediatrice a L’Aquila – la formulazione “Pace a voi!” diviene una stupefacente chiave di lettura per un eloquente ciclo di grandi tele, di recente realizzazione, capaci di rinnovare, con sensibile e moderna spiritualità, il significato della vita e del Verbo di Dio.
Un gigantesco trittico di oltre quattro metri di lunghezza, segna dunque, nella precisa intenzionalità dell’artista, il suggestivo punto nodale di un percorso pittorico che si realizza dentro la sacralità della Parola a partire proprio dalla centralità dell’annuncio della pace, perché è dall’Uomo nuovo, risorto dalla morte, che porta la pace ai suoi discepoli e dona lo Spirito Santo, che si concreta, attraverso l’azione degli apostoli, il nuovo disegno del mondo, il nuovo destino dell’umanità. Al centro della scena, il Cristo Risorto e benedicente mostra nei palmi, nel costato e sui piedi le rosse tracce dei chiodi e delle fresche ferite. È splendente nella luminosità del suo nuovo corpo, che nel bianco aspetto rivela la somma e la scomparsa di tutti i colori, di tutti i fatti terreni, e di quella straziante Passione, appena conclusa, evocata dalla memoria del sudario e delle bende. Corre un richiamo all’equivalenza kandinskijana che associava al colore bianco, l’analogia con la pausa musicale, con un silenzio diversamente inteso da quello della morte (associato al colore nero), piuttosto carico di infinite possibilità: il silenzio che precorre la nuova nascita, il silenzio del foglio bianco, di una nuova storia. Come una gigantesca aureola, che l’artista pone dietro il Cristo, similmente a certi dipinti di età medievale in cui la figura del santo appare avvolta in tutto il suo contorno da una mandorla di luce, si dispone il segno rappresentativo dell’atomo, che Pelliccione ama reiterare sia in pittura che in scultura, quasi a diventare la sua stessa firma. Esso focalizza il centro della composizione, catturando con forza lo sguardo imbrigliato dalla caleidoscopica vibrazione dei colori: la particella che come un mattone costruisce tutta la materia, si pone qui in stretta relazione con il contesto, ne diviene essa stessa elemento costitutivo. La geometria delle squillanti cromie satura la spazialità sintetica della scena, completata dalle figure dei dieci apostoli, disposti a gruppi di cinque, come due grandi quinte umane, sulla destra e sulla sinistra dell’opera. Sono Pietro e suo fratello Andrea, Giacomo e suo fratello Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Giacomo, Taddeo, Simone. Mancano Giuda, il traditore e Tommaso che si ricrederà di non aver prestato fede. Le loro vesti, i loro volti sono ritmati da tarsie cromatiche che modulano la visione d’insieme bilanciando la potente luminosità dell’apparizione.
Viene da riflettere se la sacralità di un’opera – come affermava Mario De Micheli – abbia davvero radice soltanto nell’uomo, eludendo il sentimento di una cristianità profondamente sentita, se cioè basti considerare “sacra” tutta l’arte solo in virtù del fatto che dentro di essa viva la “sacralità” dell’essere umano. Così come è da riflettere se sia giusto ritenere “sacra” quell’arte liturgica che semplicemente tratti soggetti sacri, decorando le chiese, o se piuttosto debba richiedersi qualcosa di più, una diversa risonanza, una vera comunicazione spirituale, un complesso processo di riscatto sulla materia, una soluzione di sacralità da ricercarsi e da comprendere, come in questo caso, più come qualità che non come fine. In tal senso, le iconografie di Pelliccione, sanno dimostrarsi esperienza estetica autentica, ed assumere il ruolo profondo e complesso della consapevolezza, traduzione pittorica di una comprensione che è intenzionalmente passata attraverso l’ispirazione della Scrittura, intesa come Parola di Dio. Di qui il forte impatto comunicativo del suo lessico espressivo, codificato in oltre cinquanta anni di pittura vissuta con grande intensità di esercizio, che cattura e assorbe l’attenzione di chi guarda, entrando nell’animo, con forza medianica. Obiettivamente non è cosa semplice dare una forma all’Assoluto e non è questo un confronto senza difficoltà quando si decide che non si può ridurre tutto al gioco facile del comodo simbolo. Qui non si vuole fare “arte a soggetto sacro”, ma “rivelare”, attraverso un impianto iconografico che non rinuncia all’immagine, il sovrannaturale, l’invisibile, il cuore di una questione che riguarda il rapporto tra gli uomini e Dio e che traspare dalla conoscenza delle Sacre Scritture.
«Le icone parlano anche oggi al cuore dei credenti, non sono cose del passato. Le cattedrali non sono monumenti medievali, ma case di vita, dove ci sentiamo “a casa”: incontriamo Dio e ci incontriamo gli uni con gli altri». Queste, le parole del Pontefice Benedetto XVI, del 21 maggio 2008, affermate a distanza di oltre milleduecento anni da quel secondo Concilio ecumenico di Nicea in cui si stabiliva che la Parola e l’Immagine debbano assolvere per i cristiani, cattolici o ortodossi, la medesima importanza.
Nelle altre grandi tele ad olio, che compongono questa energica suite realizzata da Pelliccione tra il 2007 ed il 2008, ritroviamo, alla guida della sua immaginazione, la stessa efficacia, il medesimo principio etico utilizzato per il grande trittico Apparizione di Cristo Risorto, accompagnato come sempre dalla forte esperienza della pratica pittorica. Verso il Battesimo, Tentazioni, Discorso della montagna, Orto degli ulivi, Deposizione, Discesa agli inferi, Raccolta degli apostoli, Trasfigurazione, Apparizione agli apostoli, sono opere che ci conducono dentro un mondo che certamente rivela con chiarezza tutti i tratti formali e gli impianti cromatici che connotano il lessico proprio dell’artista e la sua spiccata riconoscibilità, determinando uno stato meditativo sulla natura spirituale di quei fatti che hanno accompagnato la vita pubblica di Gesù, la sua sofferenza, la vicinanza agli apostoli. Il senso di forte sospensione atmosferica che l’artista ci offre, si compenetra al sentimento di totale assolutezza dello spazio, astratto e metafisico ad un tempo, dove la contestualizzazione, ridotta a pochi elementi essenziali, parla la lingua rarefatta di un paesaggio che è già ricondotto all’esperienza spirituale: il fiume Giordano, in cui Gesù riceve il Battesimo, il deserto tra Gerusalemme ed il Mar Morto, in cui dopo quaranta giorni di digiuno egli viene tentato per tre volte dal demonio, la montagna vicina a Cafarnao, da cui pronuncia le beatitudini e i suoi commenti ai comandamenti, il podere degli ulivi chiamato Getsemani, dove egli accetta la volontà del Padre, il monte Calvario in cui viene crocifisso, la scena dell’anástasis con la risurrezione dai morti e la salvezza che egli porta loro, lo sfondo del Mar di Galilea da cui Cristo chiama a sé i discepoli, il monte Tabor dove egli appare ai discepoli in tutta la sua trascendenza, il grande lago di Tiberiade, sulle cui sponde appare a Pietro e agli altri apostoli. Parimenti l’anatomia dei personaggi, strutturata da vivaci campiture cromatiche che ricordano il gioco degli smalti di un cloisonné di gusto bizantino, partecipa con sensibile intelligenza ad una visione che affascina proprio perché non è semplice rappresentazione sacra ma testimonianza dell’attualità di un messaggio, di cui l’artista si fa vero mediatore tra terra e cielo. Una testimonianza che parla ancora di Pace, ribadendone il senso cristiano, in un mondo, quale il nostro, ricolmo degli effetti negativi di eccessi consumistici, di guerre e di violenze, di infanzie negate e di allucinate smanie di potere. Una pace, che non sia strumento di passività ma che piuttosto spinga l’uomo contemporaneo, come è già stato per i discepoli, fuori dai perimetri delle proprie paure e dei propri egoismi, per farlo sentire finalmente libero nella Verità.
A questo ciclo di lavori, completato dalla struggente tensione della scultura policroma, in legno d’olmo, intitolata L’ultimo grido, la riflessione sul tema della Passione di Cristo, viene contratta nei soli due momenti del drammatico spasimo finale, che assorbe l’opera plastica, e della Deposizione, presente nella suite delle opere pittoriche. Una analitica meditazione sull’esperienza dolorosa della Croce, è stata scandagliata da Pelliccione in una intensa Via Crucis realizzata dall’artista aquilano nel 2002, in una serie di dipinti su tela con cornici in legno appositamente scolpite, che ripercorre, con esiti di grande efficacia, le quattordici Stazioni del Calvario, opere che presentiamo nella seconda sezione illustrativa di questo volume.