Negli ultimi dieci anni, la legislazione relativa gli immobili pubblici è stata continuamente, in pratica da ogni Governo, modificata. L’attuale Governo si è adeguato a questa tendenza, con la Legge 410 del 23 novembre 2001 e la successiva istituzione di " Patrimonio dello Stato spa" . E come tante volte in passato, ha già posto le premesse per nuove modifiche in futuro, avendo trascurato che nel frattempo era entrata in vigore una nuova Costituzione (Legge costituzionale 3 del 18 ottobre 2001) che all’art. 117 riserva allo Stato le competenze della " tutela" dei beni culturali, mentre attribuisce alla legislazione concorrente Stato-Regioni il compito della loro " valorizzazione" . Sembra dunque riproporsi per l’ennesima volta il problema che osserviamo da dieci anni: la legislazione non sta ferma, mentre gli immobili pubblici restano per l’appunto.. immobili!
Proviamo allora a chiarire, ancora una volta, i termini della questione, ribadendo e articolando meglio un giudizio che ho già espresso tante volte: l’Italia è il Paese al mondo che ha il maggior patrimonio storico-artistico; che ne ha la maggior quota in proprietà pubblica; e che ciò nonostante (o forse, proprio per questo?) ne ha tanto in abbandono e degrado.
Il paradosso è che nei giorni pari c’è sempre qualcuno che lamenta il degrado in cui il settore pubblico tiene questo grande patrimonio, che interessa tutta l’umanità. E poi nei giorni dispari c’è sempre anche qualcuno (a volte è lo stesso) che protesta contro i tentativi di porvi rimedio, ad esempio coinvolgendo di più i privati cittadini per ciò che riguarda valorizzazione e gestione di quei beni. Un giorno si parla male del Governo, il giorno dopo si parla male dei cittadini. Come si esce da questo circolo vizioso?
Il punto su cui si concentrano le polemiche è anzitutto quello della proprietà: chi dovrebbe essere il proprietario del nostro patrimonio storico artistico? In un paese di azzeccagarbugli come l’Italia, la questione è di sostanza, cioè politica, o ancor prima la si vuole solo formale, cioè di norma giuridica?
La supposta necessità di una proprietà pubblica degli immobili di valore storico-artistico è stata spesso dedotta dalla nostra Costituzione, che all’art. 9 stabilisce che " la Repubblica tutela il patrimonio storico artistico della Nazione" . In quale Paese, " tutela" significa " proprietà pubblica" ? Ovviamente, ciò non succede da nessuna parte, perché è chiaro, anche in italiano, che tutela è di più, e di meno, di pubblica proprietà. Non a caso, la nostra legge fondamentale, la legge 1089 del 1939, che è sempre stata giudicata una buona legge, nonostante l’anno in cui fu emanata, agli articoli 23 e 24 contemplava sia la proprietà pubblica del patrimonio storico artistico sia la possibile sua alienazione. Ma proprio perché quella era una legge dove era essenziale la finalità della tutela, l’alienazione era condizionata al rispetto di due circostanze: del bene eventualmente venduto era da garantire comunque sia la conservazione sia il pubblico godimento. A conferma che questi erano anche gli scopi della tutela stessa, indipendentemente da chi avesse la proprietà di quei beni.
E’ accidente della storia che nel successivo Codice Civile (del 1942) queste disposizioni non fossero riprese (negli articoli 822-4, dove si regolamenta il demanio pubblico), e che pertanto la successiva prevalente interpretazione sia stata che nel 1942 si era realizzata l’implicita abrogazione dei criteri della legge Bottai relativi alla dismissione del patrimonio storico e artistico. Il paradosso è che mentre il patrimonio pubblico di valore veniva considerato come inalienabile, ci si dimenticava che scopo principale di tutto ciò erano la conservazione e il pubblico godimento. In altre parole, la proprietà pubblica da strumento diventata obiettivo, se ne trascurava la finalità.
Non si spiegherebbe altrimenti la lunga storia di degrado, contenzioso, morosità e abusivismo che caratterizza tanto patrimonio pubblico. E non si spiegano altrimenti le incredibili difficoltà che hanno incontrato tutti i Governi degli ultimi dieci anni nel tentativo, finora mancato, di mettere ordine negli immobili pubblici e garantirne la tutela-valorizzazione-gestione con la finalità del pubblico godimento.
Da Immobiliare Italia a Patrimonio dello Stato spa
E’ bene che chi si occupa di questo problema e chi rilegge tutto ciò che negli ultimi dieci anni Parlamento, Governo, Corte dei Conti e Consiglio di Stato hanno scritto in proposito, sia dotato di sense of Humour. Come altrimenti reagire quando si legge nelle Relazioni della Corte dei Conti che " l’amministrazione spesso ignora tanto il valore di ciò che amministra quando l’esatta individuazione dei beni" ? Perché questo è stato il primo problema che si è incontrato, in dieci anni di tentativi di valorizzare e/o alienare immobili pubblici non utilizzati per usi governativi, e presumibilmente in degrado. Il problema preliminare è stato quello dell’esauriente individuazione dei beni stessi. E se questo già non bastasse, un secondo aspetto è risultato di fondamentale importanza: invece di cooperare alla realizzazione di quanto di volta in volta previsto dalla legge che si cercava di attuare, le molte amministrazioni coinvolte hanno messo in atto comportamenti tipicamente dilatori, quasi sempre chiedendo chiarimenti o proponendo la necessità di interpretazioni e pareri. A sua volta, ciò ha anche determinato la continua modifica della legislazione stessa nel tentativo di superare ostacoli o di semplificare procedure operative troppo complesse.
Il risultato è che finora di tutti quei tentativi s’è visto ben poco. E ogni anno, ci accontentiamo di leggere le relazioni della Corte dei Conti che riportano i risultati di stime campionarie (dell’intero complesso del patrimonio pubblico nulla sappiamo). Queste ci dicono, ad esempio, che nel Lazio su 126 campioni esaminati è stato accertato un 30% di casi di abusivismo vero e proprio. Nel caso della Campania, su un totale di 3.154 beni appartenenti al Demanio e al Patrimonio dello Stato, un 24% sono risultati occupati " sine titulo" (dirlo in latino, evidentemente suona meno grave). Ciò che è ancora più preoccupante è che risulta spesso trattarsi di abusivismo di lunga durata: nel Lazio vene sono casi precedenti al 1960, in Molise casi precedenti al 1935!
Sembra allora perfettamente comprensibile perché ogni tentativo di mettere ordine e bonificare questo settore abbia incontrato tante resistenze; ed anche che l’inconsapevole appoggio venuto dal mondo della cultura possa essere stato strumentalizzato per prorogare lo status quo e i tanti suoi difetti. Abusivismo e carenze di manutenzione hanno determinato una perdita per la collettività ben maggiore di quella che avrebbe mai potuto essere un’ordinata dismissione di una parte di questi beni, anche di quelli del Demanio storico e artistico, possibilmente riportati al pubblico godimento.
Ma ricordiamo brevemente i precedenti tentativi e consideriamo le cause del loro fiasco. Il primo a provarci è nell’autunno del 1991 Guido Carli, memore delle procedure, e del successo, di Quintino Sella.
La strada proposta è quella del trasferimento di immobili del Patrimonio " disponibile" (nota bene: erano quindi esclusi gli immobili del Demanio, di valore storico e artistico) dello Stato ad una società di apposita costituzione: " Immobiliare Italia" . Questa società avrebbe poi dovuto provvedere a quanto necessario per gestione-valorizzazione-alienazione degli immobili stessi. Passano cinque anni di tentativi infruttuosi e poi la pratica viene archiviata.
Ci riprova nel 1996 il Governo Prodi con Vincenzo Visco al Ministero delle Finanze e Carlo Azeglio Campi a quello del Tesoro: in questo caso, il progetto principale è un modello di " cartolarizzazione" degli immobili pubblici, cioè del loro conferimento a costituendi fondi immobiliari. Anche questo tentativo non ha avuto molta fortuna: i fondi immobiliare pubblici non sono stati neppure costituiti, e gli elenchi degli immobili pubblici da conferire non sono mai stati completati. Anche in questo caso, i tempi previsti dalla legge sono risultati troppo brevi rispetto ai tempi (si fa per dire) della nostra burocrazia; e la cooperazione tra le diverse amministrazioni troppo scarsa per riuscire a realizzare procedure oggettivamente complesse.
Il terzo (per ora) tentativo è in corso; e le persone di buona volontà dovrebbero sperare che abbia più successo dei precedenti. Anche perché la situazione continua a deteriorarsi. Dieci anni di tentativi non hanno prodotto risultati positivi, ma hanno certamente avuto una serie di conseguenze negative. Mi limito ad elencare le tre principali.
1. La repressione dell’abusivismo non è stata affatto potenziata, essendo previste le soluzioni radicali do volta in volta promesse dalla legislazione sulle dismissioni.
2. Anche la manutenzione ordinaria e straordinaria non ha ricevuto l’impulso necessario.
3. D’altra parte, sono stati incentivati i comportamenti " egoistici" delle singole amministrazioni aventi in uso immobili pubblici, nell’ipotesi, già verificatasi per il Ministero delle Difesa, che quelle dismissioni potessero servire a finanziare il Ministero stesso (i proventi di " Immobiliare Italia" erano invece destinati alla riduzione del debito pubblico).
Nel processo ora avviato di cartolarizzazione con valorizzazione e dismissione (iniziato con la Legge 410/2001 e poi con l’istituzione di " Patrimonio dello Stato spa" , con il DL approvato, l’11 aprile scorso, dal Consiglio dei Ministri, oggi Legge 112/2002) è esplicitamente indicato che gli immobili sono sia quelli del Patrimonio sia quelli del Demanio, e quindi anche gli immobili tutelati perché di valore storico e artistico. D’altra parte, l’alienabilità anche di quest’ultimi immobili, con le opportune garanzie e con stringenti requisiti, era stata ripristinata negli anni precedenti. Dopo alcune incertezze, e con qualche giro tortuoso, già la Finanziaria per il 1999 (Legge 448/98) aveva previsto in merito un apposito Regolamento (da emanare entro il gennaio 2000). E’ questo un Regolamento (è il DPR 283/2000 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 ottobre 2000) che non ha suscitato allora la dovuta attenzione. Ed è quindi un po’paradossale che le polemiche che quest’anno si sono accompagnate all’avvio di " Patrimonio dello Stato spa" non abbiamo tenuto conto del fatto che molto di quel dibattito era già stato svolto, e che ripeterlo per l’ennesima volta avrebbe solo garantito tranquillità agli abusivi utenti di tanti immobili pubblici, ed un altro po’di loro degrado.
Conclusioni
In un paese civile, lo Stato e i cittadini fanno a gara per conservare nelle condizioni migliori il patrimonio storico e artistico della Nazione. Una parte sarà di proprietà pubblica, in funzione del ruolo storicamente svolto da questi edifici e dell’importanza che ne ha il godimento pubblico, così pienamente assicurato. Una parte sarà di proprietà privata, fin tanto che si trovano (e il mio auspicio è che vi siano sempre numerose testimonianze di questo amore civico) privati cittadini disposti a impegnarsi in analoghe funzioni di pubblica utilità. E quanto vediamo in numerosi paesi civili, dove ricco è l’impegno di cittadini privati, di fondazioni, ma anche di imprese, nella conservazione e valorizzazione di importanti edifici che rappresentano parte del patrimonio della Nazione.
C’è qualche speranza con riferimento all’Italia, che anche il nostro Paese possa avvicinarsi al modello di paese civile che vediamo altrove? L’esperienza degli ultimi dieci anni è stata desolante: pubbliche amministrazioni che (devo immaginare per piccoli interessi di bottega) non si vergognano di avanzare pretesti puerili per non fare quanto la legge loro richiede; che costruiscono grovigli di pareri contrastanti, perplessità, richieste di pareri sulle perplessità e perplessità sui pareri…
Chi avesse il tempo e la voglia di studiarsi tutte queste carte non potrebbe non condividere i miei tanti dubbi sulla buona fede di quelle persone. Ma allo stesso risultato dovrebbe giungere anche chiunque, visitando le nostre città e osservando lo stato di degrado in cui si trovano tanti immobili pubblici, soprattutto quelli meritevoli di tutela perché di valore storico e artistico, si domandasse come ciò sia stato possibile senza che nessuno mai ne fosse stato considerato responsabile.
C’è un aspetto fra tutti che merita sottolineare: quando si è iniziato a fare elenchi di immobili pubblici da conferire ai costituendi " fondi immobiliari" (ero il Presidente dell’apposita Commissione che lavorava al Ministero delle Finanze), si è posto il problema di eventuali loro vincoli come immobili di valore storico e artistico. E si è così scoperto qual era la logica con cui aveva per tanti anni lavorato il Ministero dei Beni Culturali: il vincolo, e quindi l’impegno alla conservazione e al pubblico godimento, non veniva affatto previsto per gli immobili di pubblica proprietà al cui degrado e utilizzo abusivo non era quindi posto alcun limite! Ma i cittadini le sanno queste cose?
Autore: Giacomo Vaciago
Fonte:Il Giornale dell’Arte