Enzo CIRILLO: Arriva il nuovo Codice ma la tutela è messa a rischio dalla più facile alienabilità.

Il ministro dei Beni Culturali, Giuliano Urbani, ha deciso di aprire ai privati e affidare a questi ultimi ampi spazi nella gestione e nella valorizzazione dell’immenso patrimonio artistico e archeologico nazionale. La decisione che, in tempi brevi, porterà al superamento della legge Ronchey, è uno dei capisaldi del nuovo Codice dei beni culturali, 184 articoli, che il governo si appresta a varare definitivamente entro gennaio 2004.

Il Codice è chiamato a disciplinare la tutela dell’intero patrimonio, ma in realtà già due leggi (una varata, l’altra in via di approvazione) rischiano di vanificare o quanto meno compromettere questa tutela. La prima è il decretone collegato alla Finanziaria che affida al silenzio-assenso delle soprintendenze la dichiarazione di alienabilità del patrimonio culturale. La seconda, una legge delega presentata dal ministro dell’Ambiente Matteoli, depenalizza i reati di chi ha deturpato le aree paesaggistiche protette.

In questo quadro di grande indeterminatezza, arriva la norma che chiama esplicitamente i privati non solo nella gestione, già consentita, dei servizi collaterali ai beni culturali (come accade nei musei con la prenotazione e la prevendita, le visite guidate, la caffetteria o il bookshop), ma direttamente nella gestione dei beni stessi, a cominciare dai musei. Nel futuro prossimo i privati potranno intervenire grazie agli " affidamenti" o alle " concessioni" dei beni culturali.

L’affidamento può essere dato a fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali e altri soggetti, purché abbiano una prevalente partecipazione dell’amministrazione pubblica cui appartiene il bene. Garanzia che invece non è prevista per la " concessione" , che può essere data " a terzi, mediante valutazione comparativa sulla base dei progetti presentati" .

Il questo modo il Codice va ben oltre la legge di riferimento del 2002 che apriva i musei alle sole fondazioni. E ben oltre la legge Ronchey e la stessa Finanziaria 2002 che limitavano la presenza dei privati a taluni servizi. Potenziata anche la possibilità di sponsorizzazione, anche se in forme " compatibili con il carattere artistico e storico, l’aspetto e il decoro del bene da valorizzare" .

Privati nella gestione, ma anche privati chiamati ad acquistare quella parte del patrimonio che non verrà più dichiarata esplicitamente di interesse culturale. Qui il ministro ha cercato inutilmente di opporsi a Tremonti e alla fine ha ceduto. L’unico paletto, inserito nel nuovo Codice, è una più ampia indicazione dei beni che non potranno in nessun caso essere venduti: oltre agli " immobili e aree archeologiche" e ai " monumenti nazionali" , entrano nell’elenco anche " musei, pinacoteche e biblioteche, archivi, opere di autori viventi e opere eseguite meno di 50 anni fa, facenti parte del demanio culturale" .

E ancora, anche se la formulazione resta vaga: " tutte le cose immobili a chiunque appartenenti che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura dell’arte e della cultura in genere" . Non è escluso che nelle prossime settimane il ministero dei Beni culturali possa emanare un decreto per rafforzare i poteri di interdizione delle soprintendenze nella procedura del silenzio-assenso.

Autore: Enzo Cirillo

Fonte:LaRepubblica.it