La Giornata annuale della Società Dante Alighieri, associazione culturale che “ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo”, è stata celebrata ieri mattina, dal comitato di Bergamo, nella Sala del Mosaico della Camera di Commercio, con una conferenza del professore Salvatore Italia sul tema “I beni culturali e l’Europa”.
Salvatore Italia, attualmente capo dipartimento per i beni archivistici e librari del ministero per i Beni e le attività culturali, ha una larghissima esperienza specifica nel settore, in cui ha militato sin dagli esordi della carriera, collaborando con i vari ministri succedutisi alla guida del dicastero, da Spadolini a Urbani a Buttiglione. Al medesimo ministero ha diretto, dall’83 al ’90, il Servizio rapporti internazionali e ha ricoperto, tra l’altro, le cariche di capo di gabinetto e direttore generale per gli affari generali amministrativi. Per questo, nella sua comunicazione, ha potuto parlare di cose spesso osservate assai da vicino, o vissute a stretto contatto con i protagonisti, o a cui egli stesso ha collaborato.
Una comunicazione, la sua, di taglio prevalentemente “giuridico”, che ha ripercorso con ricchezza di informazione anche “tecnica” l’attività politica e legislativa delle istituzioni comunitarie in materia di beni culturali: dall’ormai lontano 1957, quando fu stipulato il Trattato istitutivo della Comunità, che, tutto puntato sugli scambi commerciali, non prevedeva, salvo un minimo richiamo, clausole che concernessero specificamente i beni culturali {assimilati, allora, alle merci); al 1974, quando finalmente il Parlaménto votò all’unanimità una risoluzione in cui si accennava all’importanza della materia.
Poi, dall’83, specie dietro la forte sollecitazione dell’attrice-ministro greca Melina Mercuri, le riunioni, la prima volta ad Atene, degli allora dodici ministri della cultura, nonostante l’opposizione, in primis, dei Paesi scandinavi. Poi il finanziamento di progetti pilota per la protezione del patrimonio architettonico; nel 1986 l’Atto unico europeo, che fissava al primo gennaio 1993 il termine per la nascita del mercato unico, e la necessità di una dichiarazione allegata, che consentisse il diritto dei Paesi membri di lottare contro la tratta clandestina dei beni artistici. Con il Trattato di Maastricht, del febbraio ’92, si riconosce che la Comunità deve mirare alla conservazione e salvaguardia del patrimonio artistico e culturale “di importanza europea” (la cui esatta definizione, però, ha comportato non pochi problemi).
In tutti questi atti giuridici, ha spiegato Italia, si è sempre avuta, più o meno latente, una contrapposizione tra Paesi “ricchi” (cioè dotati di un vastissimo patrimonio artìstico-culturale, come Italia e Grecia) e Paesi “altri” (la maggioranza, “purtroppo”), tra Paesi “fonte” e Paesi “mercato”. Interessati, i primi, a un sistema fortemente protezionistico, che tutelasse il più possibile contro la circolazione illecita; meglio disposti, i secondi, in prima fila il regno Unito, a un regime più “liberista” e aperto.
Perché, si capisce, l’introduzione del mercato unico e poi l’abolizione delle frontiere non potevano non accompagnarsi a grandi preoccupazioni per una crescita dell’esportazione illegale, per un conseguente sensibile depauperamento del patrimonio artistico degli stati. La Costituzione Europea, firmata il 29 giugno scorso – ha ricordato Italia – fissa tra gli obiettivi dell’Unione la tutela del patrimonio artistico e culturale dei Paesi coinvolti, e “segna un grosso passo in avanti in materia di politica culturale comunitaria”.
Autore: Vincenzo Guercio
Fonte:L’Eco di Bergamo