Di seguito è riportato un articolo apparso sul Sole-24 ore in data 21 novembre 2001 utile alla comprensione dell’attuale legislazione sui beni culturali
Molti l’hanno liquidata come una semplice, e in fondo innocua, estensione della legge Ronchey, che da cinque anni ha permesso l’ingresso dei privati in pinacoteche e musei (per ora 120 contratti) a gestire bookshop, ristoranti e biglietterie. Altri l’hanno interpretata come la «svendita di gioielli di famiglia», un pericoloso passo indietro dello Stato a favore di imprese in cerca di profitto. La temuta mercificazione della cultura.
Probabilmente, come sempre, la verità sta a mezza strada. L’articolo 22 della legge finanziaria — già passato al Senato e, parola del ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani, avviato all’approvazione definitiva senza modifiche — consentirà a soggetti privati «l’intera gestione del servizio concernente la fruizione pubblica» e il «concorso al perseguimento delle finalità di valorizzazione».
Fruizione pubblica. E dunque biglietterie, bookshop, guardaroba, visite guidate, caffetterie, tutto quanto già ampiamente sperimentato grazie alla Ronchey. Ma anche «concorso» nelle attività di valorizzazione dei beni. La novità è questa. Ed è questa indicazione, grazie alla sua estrema vaghezza, a fare, alternativamente, sperare e discutere. Perché se è vero, come dice il ministro Urbani, che «non possiamo fare a meno» dell’aiuto dei privati per gestire uh immenso patrimonio artistico — almeno il 50% di quello mondiale —, è altrettanto vero che vanno fissati con chiarezza gli ambiti di questo intervento. Per evitare abusi e allo stesso tempo impedire " diktat soprintendenziali" che frenino legittime iniziative volte alla ricerca di maggiore efficienza.
Perché i musei sono cambiati Anche in Italia. Se qualche decennio fa a percorrere le sale ermo studiosi e appassionati veri, mischiati a qualche svogliata scolaresca, oggi il parco dei " fruitori" li è molto allargato. E giustamente si va ai Capitolini o alla mostra di Picasso il sabato con la famiglia. Diventa un modo alternativo d passare la giornata, giusto o sbagliato che sia. E dunque bene fa lo Stato a spingere l’acceleratore sull’edutainment — neologismo anglosassone che sta per intrattenimento educativo — cercando l’aiuto di chi, meglio dei soprintendenti, sa come farlo.
Questo non significa però che musei e pinacoteche debbano trasformarsi in spettacolari " diverti-mentifici" . Quindi tutto dipende dal regolamento che dovrà riempire di contenuti il discusso articolo 22. Nel forum al Sole-24 Ore il ministro Urbani ha ribadito che la tutela e la conservazione dei beni resterà fermamente nelle mani dello Stato. E che questo verrà riaffermato nei singoli, puntigliosi capitolati che saranno firmati con le imprese candidate a gestire i diversi beni. Porse sarebbe stato più opportuno indicare già all’interno della norma di legge i requisiti indispensabili cui dovranno rispondere i candidati. Il ministro tiene a precisare che la lista sarà lunga e definita " in corso d’opera" . Ma pensa di sicuro alle fondazioni bancarie, già molto attive nel campo e, particolare non indifferente, ricche di risorse finanziarie.
Infatti, è questo un altro dei nodi fondamentali della questione: fare arte e cultura è quasi sempre un’attività in perdita. Nel 2000 musei, monumenti ed aree archeologiche statali hanno fruttato introiti per 77 milioni di euro, contro i 168, milioni di euro spesi solo per retribuire i 7.492 custodi in organico. I servizi aggiuntivi, è vero, stanno cominciando a dare risultati: nel 2000 sono stati incassati 25,4 milioni di euro tra prenotazioni, visite guidate, ristoranti eccetera. Ma è sempre troppo poco per far quadrare un bilancio.Soprattutto fino a che i musei non avranno autonomia finanziaria. Un principio indispensabile, anche se Pompei, unica eccezione fino ad oggi, non consente ancora di cantare vittoria, come si può leggere nell’inchiesta qui sotto. E un risultato difficile da raggiungere se lo Stato pretende, oltre a conti in pareggio, il pagamento, peraltro anticipato al 50%, di un canone di concessione.
Chi saranno i privati interessati a imbarcarsi in questa avventura? E ancora, come pensare che possano aspirare a occuparsi di quelle centinaia di migliaia di realtà minori sparse per tutto il territorio?
Autore: Fernanda Roggero
Fonte:Il Sole-24 Ore