TORINO. L’imponente cancellata bronzea del Teatro Regio compie trent’anni.

L’imponente cancellata del Teatro Regio in piazza Castello a Torino, realizzata dallo scultore e pittore Umberto Mastroianni (Fontana Liri, 1910 – Marino, 1998), zio del celebre Marcello, festeggia quest’anno il suo trentennale.
Voluta dalla città come prezioso sipario a tutela dell’accesso all’atrio del teatro, è stata finanziata dalla Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, associazione di imprenditori — oggi presieduta da Licia Mattioli — nata nel 1987 con lo scopo di contribuire a valorizzare il patrimonio storico-artistico cittadino.
L’imponente opera bronzea — dal titolo «Odissea musicale» — è formata da due pannelli scorrevoli lunghi 12 metri e alti 3,60: in essi sono inseriti tre grandi gruppi di sculture, inquadrate in una cornice continua di bassorilievi, a raffigurare la Danza, la Tragedia e la Commedia, mentre le lesene verticali ne sorreggono il coronamento a maschere e figure.
Le fusioni sono state realizzate dalla Fonderia dei Fratelli Barberis di Torino; la Consulta nel 2015 ha finanziato anche un’importante retrospettiva dell’artista al Museo Diocesano di Torino. Mastroianni era stato scelto per la collaborazione e l’antica amicizia con l’architetto Carlo Mollino, progettista dell’allora «nuovo» Teatro Regio, riaperto al pubblico nel 1973. L’anno stesso della sua inaugurazione la città conferì allo scultore la cittadinanza onoraria e la Regione Piemonte istituì il Premio Internazionale di Scultura a suo nome. Un riconoscimento che suggellava un legame di antica data tra l’artista e Torino: dopo gli studi presso l’Accademia di San Marcello al Corso a Roma, nel 1926 Mastroianni si trasferì con la famiglia nel capoluogo piemontese, dove rimase stabilmente fino al 1970 (strepitosa ed arditissima nelle linee la villa che fece progettare in collina dall’architetto Ezio Venturelli nei primi anni ’50, unico esempio rimasto a Torino di architettura «nucleare» insieme al Rettilario del Parco Michelotti del 1959, sempre a firma Venturelli). Qui strinse amicizia con diversi protagonisti dell’ambiente artistico e culturale cittadino, tra cui Guido Seborga e Luigi Spazzapan ed affinò il «mestiere di scultore», secondo le sue parole, nell’atelier di Michele Guerrisi.
Nel 1935 partecipò alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e nel 1936 ottenne una meritata affermazione alla XX Biennale di Venezia.
Nel 1945, in collaborazione con Carlo Mollino, vinse il concorso per il Monumento al Partigiano: l’opera venne collocata nel Campo della Gloria del cimitero Generale di Torino.
L’anno successivo, insieme a Spazzapan, Ettore Sottsass e Mattia Moreni, istituì il «Premio Torino» nelle sale di Palazzo Madama.
Del 1948 la sua prima personale presso la galleria La Bussola di via Po, proprio con Spazzapan.
Il riconoscimento più alto di una carriera in continua crescita lo ottenne alla XXIX Biennale di Venezia del ’58, quando gli venne riconosciuto il Gran Premio Internazionale per la scultura. Protagonista di numerose personali in Italia e all’estero, lavorò instancabilmente nei decenni successivi, dedicandosi a media e tecniche differenti per committenze pubbliche e private.
La cifra più alta dell’arte di Mastroianni è certamente la capacità di declinare variamente la propria ricerca formale nei diversi materiali (bronzo, pietra, stagno, oro, acciaio, ma anche legno, terracotta e gesso) con uguale intensità e maestria, mantenendo un linguaggio coerente, altamente riconoscibile: l’artista alterna alla deflagrazione della materia, lacerata ed espansa (echi di una guerra che ne aveva fortemente impressionato il lato creativo: Mastroianni aveva avuto un ruolo attivo nella Resistenza) il gusto per l’assemblaggio di forme geometriche, ruote dentellate, meccanismi, fori, rondelle, linee spezzate e dinamiche come tessere compositive di un mosaico dalle infinite combinazioni: si veda a questo proposito la bellissima collana a pendente «Meteora».
Nel suo spiccato eclettismo l’artista si interessa alla produzione orafa a partire dalla seconda metà degli anni ’50, realizzando un cospicuo numero di esemplari. Sin da subito ricorre alla tecnica della fusione a cera persa per i suoi ornamenti, corposi oggetti in oro, talvolta decorati da smalti colorati, che riproducono — pur nella dimensione contenuta — le forme esplosive adottate nella scultura. Per la fase esecutiva si affida al ai fratelli Danilo e Massimo Fumanti, editori di gioielli d’artista a Roma, e all’orafo Franco Rutigliano a Torino.
Nel volume «Ori e Poesie» del 1965 l’artista afferma di voler associare all’oro, metallo di pasta tenera e duttile quasi come la cera, la propria gestualità istintiva. Nel testo in catalogo il grande musicologo ed amico, Massimo Mila, ben descrive questo approccio alla materia: “]…] ecco che accanto al drammaturgo della violenza spunta il poeta della tenerezza gentile: accanto all’accoltellatore di creta, l’orafo prezioso».
Mastroianni troverà una sincera estimatrice in Palma Bucarelli, già direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, che ebbe modo di indossare le sue creazioni (spille, ma anche anelli) in diverse occasioni pubbliche: sostenitrice del gioiello d’artista come opera d’arte in sé compiuta, nel 1967 invitò Mastroianni ed altri pittori e scultori (tra questi Afro, Gastone Novelli, i fratelli Pomodoro) ad esporre i propri ornamenti all’Expo di Montreal, manifestazione dove ricopriva il ruolo di curatrice del padiglione italiano per l’arte contemporanea. A chiusura dell’esposizione decise di presentare alcune delle opere in una vetrina «pilota» nel percorso permanente della GNAM, pioneristico tentativo di musealizzare il gioiello contemporaneo nel contesto critico italiano.
Nel 1969 l’artista è presente alla «Prima Rassegna del gioiello firmato» alla Sala Bolaffi a Torino; nel 1992 la città di Alessandria dedica un’ampia retrospettiva alla sola produzione orafa, «Ori e Argenti di Mastroianni».
In anni recenti i suoi gioielli sono stati oggetto di rinnovata attenzione da parte della critica; nel 2015, grazie all’attività del Centro Studi sull’Opera di Umberto Mastroianni e del Cigno GG Edizioni, alcuni ornamenti sono stati acutamente posti in dialogo con gli ori della collezione permanente del MARTA, Museo Archeologico di Taranto; nel 2024 ben 50 oggetti in oro, tra gioielli e piccole sculture, sono stati esposti al Vittoriale degli Italiani nell’ambito della mostra «Come un oro caldo e fluido».

Autore: Paola Stroppiana

Fonte: www.torino.corriere.it 17 ottobre 2024