A volte succede che un episodio riveli il suo vero significato soltanto tempo dopo, grazie a una circostanza casuale, e che allora, dinanzi all’importanza di quella notizia trascurata da tutti, ci si domandi con un certo stupore come mai non sia emersa prima: i motivi possono essere tanti; ma certo è che alla sorpresa si aggiunge meraviglia, come quando si scopre di avere sempre avuto, proprio vicino a noi, un tesoro incantevole, nascosto e dimenticato sotto uno strato di intonaco, dietro il portone di un palazzo in una delle zone più famose e frequentate del centro storico di Roma.
È capitato a Giovan Battista Fidanza, storico dell’arte e professore ordinario di storia dell’arte moderna all’Università di Tor Vergata, quando, in seguito alla richiesta degli editori dell’Allgemeines Künstlerlexikon, nel 2017, di compilare la voce sul grande artista del XVII secolo Andrea Sacchi, concentrandosi su un meticoloso spoglio delle fonti, si è imbattuto in una notizia di cronaca risalente a circa cinque anni prima, rimasta pressoché ignorata dal mondo accademico.
Si tratta della scoperta, durante il restauro di un appartamento del Tridente, del superbo ciclo di affreschi realizzato da quel pittore, in fase ancora giovanile ma già straordinariamente matura e raffinata, nella loggia del cosiddetto Palazzo à Ripetta vicino a Piazza del Popolo già appartenuto al cardinale Francesco Maria del Monte (uomo di grande intelligenza e cultura, con interessi per le scienze, la musica e le arti figurative, protettore di Caravaggio e precedente proprietario di quel Casino Ludovisi oggi all’asta da un anno e del cui destino si è molto discusso recentemente).
Nel XIX secolo gli affreschi erano stati coperti da mediocri ridipinture, per restare ignoti persino ai moderni proprietari dell’edificio ormai inglobato nell’ottocentesco Palazzo San Martino Valperga. Se ciò può sembrare inspiegabile, va ricordato che questo ciclo decorativo precede momenti ben più noti della carriera di Sacchi come, per esempio, l’incarico di dipingere il Miracolo di San Gregorio Magno per la basilica di San Pietro (1625) o l’affresco della volta di uno dei saloni di Palazzo Barberini con la Divina Sapienza (1629-31), soggetto mai rappresentato prima di allora e definito da Francis Haskell il “progetto più ambizioso di rappresentazione figurativa di un concetto filosofico astratto dai tempi degli affreschi di Raffaello nelle Stanze vaticane” (Francis Haskell, Mecenati e pittori. L’arte e la società italiana nell’epoca barocca, 1980, ed. it. Einaudi 2019, p. 68).
Le uniche testimonianze del lavoro nel palazzo a Via di Ripetta si trovano, in effetti, negli scritti di Giovanni Battista Passeri e soprattutto nelle Vite di Giovan Pietro Bellori, il quale, avendo conosciuto personalmente Sacchi, può fornire informazioni preziose sia sul tema iconografico che sulla cronologia del lavoro e sulla biografia del pittore.
I risultati degli studi condotti da Giovan Battista Fidanza sulla scoperta, dati dal confronto tra le fonti documentali e lo studio ravvicinato degli affreschi, sono ora pubblicati in un bel volume della casa editrice londinese Paul Holberton Publishing, Andrea Sacchi and Cardinal del Monte. The rediscovered frescoes in the Palazzo di Ripetta in Rome (2022), arricchito dalle eccezionali immagini in luce radente appositamente prodotte dopo la campagna di restauro condotta da Triana Ariè fra il 2010 e il 2011.
Ciò che emerge è, anzitutto, la meraviglia e l’emozione di uno studioso contemporaneo che riesce per la prima volta a entrare in quella stanza, riconoscerne le trasformazioni e, con il Bellori alla mano, confrontare direttamente gli affreschi di Sacchi con la descrizione quasi ecfrastica fatta dal suo biografo, procedendo a una sottile e puntuale disanima del soggetto iconografico. Ma, soprattutto, è recuperata la prima prova del talento di un artista che “ancor fanciullo” (neanche diciottenne) meritò la stima dei più colti e selettivi intenditori del suo tempo; un figlio illegittimo, dato in adozione in seno alla comunità marchigiana residente a Roma da cui i suoi genitori naturali forse provenivano, ma destinato a stima e riconoscimenti da parte dei Sacchetti, dei Barberini, dell’Accademia di San Luca di cui fece parte; esasperatamente lento e meditativo nel suo lavoro, bisognoso di concentrazione “acciocché niuna cura gli disturbasse l’ingegno”, ma a pieno titolo il precoce ed elegante erede di Francesco Albani e del grande Annibale Carracci, e certamente non inferiore all’altro astro del suo tempo, Pietro da Cortona. Un artista capace di creare con i colori il miracolo alchemico ricercato dal suo primo committente, trasformando un raffinato tema mitologico in oro, luce e materia sontuosa.
Autore: Mariasole Garacci
Fonte: www.artribune.com, 31 gen 2023