ROMA. “Ovidio Amori, miti e altre storie” una mostra raffinata alle Scuderie del Quirinale.

Ovidio, il ”cantore dei teneri amori” e delle favole degli dei torna a Roma dopo duemila anni dall’esilio di Tomi sul Mar Nero (oggi Costanza in Romania), in cui finì i suoi giorni, dove lo aveva confinato nell’8 d. C. Augusto. Neppure Tiberio revocò il provvedimento. Torna con una raffinata e colta mostra “Ovidio. Amori, miti e altre storie” ospitata alle Scuderie del Quirinale fino al 2o gennaio 2019.
Tutte le opere esposte sono ispirate dalle sue parole e dalle sue immagini, dalla poesia che lo ha reso immortale (catalogo L’Erma di Bretschneider) . Una mostra che giunge a compimento delle celebrazioni per il bimillenario ovidiano (Sulmona 43 a. C. – Tomi 17 o 18 d. C.), al culmine di un progetto, iniziato una decina d’anni fa da Francesca Ghedini e dal suo gruppo di letterati, storici dell’arte e della miniatura all’Università di Padova che ha organizzato tre convegni su Ovidio e dato alle stampe più di duecento articoli scientifici. E’ dedicata a “uno dei più prolifici poeti dell’antichità, inarrivabile cantore di sentimenti universali, l’amore, l’odio, il risentimento, la vendetta, autore di capolvori come “Amores”, “Ars amatoria”, “Heroides”, “Fasti”, “Metamorfosi” .
Ovidio visse e fu testimone di uno dei momenti cruciali della stori di Roma, quando Ottaviano, divenuto Augusto, trasformò la repubblica in un impero sotto la specie di una restaurazione del passato. Il poeta fu testimone di questa “rivoluzione” che riguardò non solo la forma di governo, ma anche i costumi pubblici e privati. E non la condivise, anzi la contestò più o meno apertamente, forse legato al gruppo di intellettuali e politici che faceva capo a Giulia molto critica nei confronti della politica del padre. Ovidio mette alla berlina tutti gli dei di Augusto, Giove Apollo, traditori e vendicativi. Preferisce Bacco che sposa Arianna, che non fa parte del pantheon di Augusto. E così se Giulia viene confinata a Ventotene, Ovidio accusato di immoralità, finisce nel Ponto.
Nei “Tristia” la principale opera scritta in esilio il poeta parla di due colpe “carmen et error”, un’opera poetica e un errore, se il “carmen” è certamente l’”Ars Amatoria”, sull’errore si sono lambiccati in tanti. Forse è coinvolto nello scandalo dell’adulterio di Giulia Minore, nipote dell’imperatore. Certo non riuscirà più a tornare a Roma da quel luogo che descrive come abitato da barbari e da incolti. Augusto non lo perdonò mai, insensibile alle sollecitazioni e alle preghiere, tanto era in conflitto con il suo ideale di stato, con le sue scelte religiose, morali e politiche.
E il poeta in esilio continua a scrivere, “Tristia”, “Epistulae ex Ponto” e anche poesie nella lingua locale, dicono le fonti. A dispetto dell’ostracismo la sua opera le “Metamorfosi” diventa immortale. Sarà studiata nelle scuole di retorica in epoca romana e poi mantenuta viva dagli amanuensi dei monasteri.
Fra il 1200 e il 1340 si contano una ventina di manoscritti. Alcuni, anche in preziosa foglia d’oro sono in mostra. Dante che attinge a piene mani dal suo repertorio d’immagini lo mette nel Limbo insieme ai poeti Omero, Orazio e Lucano. Presto verrà tradotto in volgare e “moralizzato”, giustificando il testo nell’ottica cristiana per avere poi pieno riconoscimento nel Rinascimento quando letterari e artisti trovano nei miti delle “Metamorfosi” la summa della letteratura classica.
Immensa la sua fortuna anche in età barocca fino agli entusiasmi dell’epoca dei lumi e alla modernità. Un poeta che ha continuato a influenzarci anche nel lessico, certi motti “nec sine te nec tecum”, né senza te né con te, sono impressi nella memoria.
Ovidio ha ispirato artisti come Shakespeare, Mozart, Strauss, Eliot fino ai contemporanei come Calvino, Bob Dylan per limitarsi agli scrittori e ai musicisti. Ma ancor di più pittori e scultori che dei suoi miti si sono nutriti.
Di questa temperie culturale vive la mostra delle Scuderie, bellissima e impegnativa. Che può essere letta a vari livelli, dal più complesso storico artistico letterario a quello immediato della pura bellezza. Presenta la poesia di Ovidio attraverso il linguaggio dell’arte antica, medievale, rinascimentale, barocca, moderna e contemporanea. Una pluralità di tecniche che vanno dalla scultura alla pittura, agli affreschi, la glittica, i codici miniati, le monete, i cassoni nuziali, i mosaici come quello con la caccia al cinghiale calidonio in tessere minutissime proveniente da Pollenza.
Fino all’installazione di Joseph Kosuth che apre la rassegna trasformando i versi del poeta in scritte luminose al neon in latino e inglese. Le parole di Ovidio guidano la mano degli artisti, che fanno rivivere la sua poesia. 250 i pezzi in mostra, provenienti da oltre ottanta musei italiani e stranieri. Fra questi si segnalano in particolare il Museo Archeologico di Napoli che ha prestato reperti pompeiani strepitosi, il Museo Archeologico di Aquileia che ha inviato la statua dell’imperatore Augusto da poco restaurata. E gli Uffizi, i Musei Vaticani, il Louvre di Parigi, la National Gallery di Londra, la Biblioteca di Gotha in Germania, il Museo Archeologico di Eretria in Grecia, la Royal Danish Library di Copenaghen. Tutte le singole opere hanno uno studio dietro, un legame con le descrizioni del poeta, sono i miti che lui descrive, i miti classici, precisa Isabella Colpo del gruppo di lavoro di Padova.
Accolti dalle scritte di Kosuth si entra in un tempietto laico in cui si conservano parole e versi, quello che rimane di Ovidio. Al centro della parete dipinto dall’Ortolano, inizio ‘500, il ritratto del poeta con penna, calamaio e libro, sullo sfondo immagini che richiamano le Metamorfosi, ai lati due manoscritti di testi ovidiani finemente decorati della seconda metà del ‘400 conservati a Parigi e la prima edizione a stampa delle opere di Ovidio impressa a Bologna nel 1471. Usciti da questa specie di sacrario si apre la prima spettacolare sezione della mostra. La parete è costituita da un grande affresco con pittura di giardino proveniente dalla Casa del bracciale d’oro di Pompei. I personaggi sulla scena sono la “Venere Callipigia”, “le più belle terga del mondo antico” da Pompei, la “Venere che si slaccia il sandalo” dal Museo di Costanza, la statua di “Eros con l’arco” dell’Archeologico di Venezia, la statuetta di “Afrodite” da Napoli. E sulle pareti altri capolavori. Dalla Casa della Caccia antica di Pompei l’affresco dalla forte carica erotica che riproduce il bacio appassionato fra Polifemo e Galatea. E ancora tutta una serie di monili, lucerne, spechi, coppe, ciondoli erotici in ambra, ceramica, bronzo, terracotta. In ideale confronto e a contrasto il mondo di Augusto e la sua famiglia e gli dei che Ovidio irride. Ecco la statua di “Antonia minore come Venere Genitrice”, i ritratti di “Agrippa”, di “Marco Claudio Marcello”, di “Giulia Maggiore”, la testa di “Tiberio” appena rientrata dagli Stati Uniti. Venne rubata, appena scavata, nel ‘43 a Sessa Aurunca dalle truppe francesi e algerine e finì in America. E poi l’”Altare dei Lari” in marmo lunense dagli Uffizi. Al centro Augusto presentato come Pontifex Maximus. Dagli Uffizi viene anche la statua di “Afrodite Pudica” del II sec. d. C. Di fronte in un rapporto antico-moderno un’altra “Venere”, quella di Botticelli, a fondo nero, dalla sensualità raffinata.
Il percorso espositivo si snoda, attraverso i secoli, lungo le sale del primo e secondo piano delle Scuderie fra sculture di età imperiale, affreschi, antichi testi, crateri apuli e pestani, preziosissimi manoscritti e dipinti di artisti che illustrano le storie di Ovidio secondo i gusti del loro tempo. Impossibile, vista l’ampiezza della mostra entrare nei particolari.
Al secondo piano le opere che si rifanno alle Metamorfosi, al primo con l’archeologia dominante come si conviene, gli altri miti. Come quello di Arianna. Ed ecco l ‘affresco pompeiano col risveglio di “Arianna sulla spiaggia di Nasso”, la lastra campana di età flavia con “Teseo e Arianna” ritrovata presso la chiesa di sant’Eusebio all’Esquilino a Roma, l’”Arianna dormiente” dai depositi del Museo del Bargello a Firenze, l’”Arianna abbondonata” nel delizioso rame di Carlo Saraceni e il grandioso “Bacco e Arianna” di Pompeo Batoni. Altro mito, altri artisti. “Leda e il cigno” del gruppo statuario di tarda età adrianea del Museo Archeologico di Venezia, dell’affresco di Ercolano e della Villa di Arianna a Stabia. Su un verde carico si staglia la figura di Leda con le vesti svolazzanti che regge un piccolo cigno. Viene dalla Villa della Pisanella a Boscoreale, è conservato a Parigi, lo specchio in argento che raffigura nel medaglione centrale Leda di profilo, mentre in un cammeo conservato a Napoli Leda appare semisdraiata nell’atto di accogliere Giove camuffato da cigno. Il mito di Adone, narrato da Ovidio nel libro X delle Metamorfosi, viene ripreso da Tiziano che ambienta la nascita in un ampio paesaggio. Holsteijn, Savonanzi e Jusepe de Rivera illustrano la sua morte scoperta da Venere ispirandosi anche all’Adone di Giovan Battista Marino, edito a Parigi nel 1623.
Ovidio una miniera di miti. “Il ratto di Europa” ripreso da Tintoretto nella decorazione del soffitto di una camera del palazzo veneziano di Vettor Pisani dalla Galleria Estense di Modena, “Il ratto di Europa” di Antonio Carracci dal Polo Museale dell’Emila e Romagna, che si rifà anche all’arazzo di Aracne, Europa sul cratere a campana apulo a figure rosse conservato al Museo del Louvre. Il mito di Ermafrodito e di Narciso innamorato della sua immagine fino a morire. Nelle “Metamorfosi” si narra l’infelice amore della ninfa Salmacide per Ermafrodito, figlio di Ermes e di Afrodite. La ninfa, respinta dal giovane implora gli dei di poter restare con lui eternamente ottenendo la commutazione in un solo corpo, metà uomo e metà donna. Ed ecco la statua di “Ermafrodito” da Palazzo Massimo, trovata a Roma in un edificio privato sotto il Teatro dell’Opera, ecco gli affreschi di Pompei in cui “Narciso” osserva la sua immagine riflessa nell’acqua. E i dipinti di Francesco Albani, Carlo Saraceni, Domenichino, Boltraffio. Ci sono poi i giovani che volano, Icaro e Fetonte in codici, affreschi, cammei, fronti di sarcofago, dipinti. E’ di Ludovico Carracci l’affresco strappato di forma esagonale con la “Caduta di Fetonte” che guida il carro del Sole. Proviene da un palazzo di Bologna demolito nel 1861. Di Saraceni il volo, la caduta, il seppellimento di Icaro. In un cratere apulo a figure rosse del IV sec. a. C. ritrovato a Sant’Agata dei Goti il mito di “Dedalo e Icaro”.
La mostra che si è aperta con la “Venere Callipigia”, termina al secondo piano con Ganimede coppiere degli dei. “Ganimede” ripreso in un delizioso rame di Saraceni e “Giove e Ganimede” in un bronzo di Bartolomeo Ammannati della metà del ‘500. All’apoteosi del giovane a cui si aprono le porte del cielo e dell’immortalità, rapito da Giove tramutato in aquila, fa da pendant l’apoteosi del poeta prefigurata negli ultimi versi del suo “carmen perpetuum”.
La sua fama si sarebbe estesa ovunque nelle terre domate da Roma, per tutti i secoli. Al centro della sala il gruppo scultoreo di “Ganimede con l’aquila”, un marmo bianco venato di età imperiale dagli Uffizi, già in collezione Capranica-Valle. Da un lato la sontuosa spalliera di letto con “Gli amori di Giove” di Alessandro Allori dal Bargello, committenza dei Medici come appare dalle “imprese” della famiglia dipinte entro le targhe a fondo nero, lo stesso tema è trattato da Damiano Mazza nel dipinto proveniente da Londra. A dominare è il quadro di Poussin del 1625 col “Trionfo di Ovidio”. Il poeta tiene in mano due corone di mirto, la pianta sacra a Venere, e appare coronato di alloro accanto alla dea che giace addormentata vicino a numerosi piccoli eroti indaffarati che simulano i patimenti d’amore.

Info:
Scuderie del Quirinale Via XXIV Maggio 16 Roma.
Orario: da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00, venerdì e sabato dalle 10.00 alle 2.30. Fino al 20 gennaio 2019. www.scuderiequirinale.it e info@scuderiequirinale.it

Fonte: www.qaeditoria.it, 25 ott 2018