A Roma Henry Matisse si vede raramente. Una retrospettiva all’Accademia di Francia nel lontano 1978 e un’altra mostra, in coppia con Bonnard, al Vittoriano nel 2007. Ma oltre Tevere nella sezione dedicata al Novecento dei Musei Vaticani, dal giugno 2011 è aperta la sala Matisse in cui sono esposti gli studi preparatori per la Cappella del Rosario di Vence, inaugurata nel ’51, a cui l’artista lavora nell’ultimo periodo della sua vita, occupandosi anche degli arredi liturgici. E che considera “nonostante le imperfezioni” il suo capolavoro.
Ben venga dunque la grande rassegna aperta alle Scuderie del Quirinale fino al 21 giugno 2015, organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in coproduzione con MondoMostre (catalogo Skira). La curatrice Ester Coen, affiancata da Johm Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen, indaga come dice il titolo “Matisse Arabesque” un particolare aspetto dell’ampia produzione di Matisse: la fascinazione per l’oriente e il riverbero nella sua opera.
“La révélation m’est venue d’Orient”, scriveva nel ’47. Ma non si trattò di una scoperta improvvisa. La passione per l’Oriente, per la luce e i colori del sud, per gli artifici e gli arabeschi decorativi, si forma negli anni, frutto d’incontri, viaggi, scoperte. “La mia educazione è consistita nel rendermi conto di diversi mezzi d’espressione del colore e del disegno – diceva – L’educazione classica mi ha portato naturalmente a studiare i Maestri, ad assimilarli quanto più potevo… finché mi sono reso conto della necessità di dimenticare il mestiere dei Maestri o piuttosto di comprenderlo, ma in modo tutto mio…” Ed ecco le tele organizzate mediante il colore, le tinte piatte, senza preoccupazioni di prospettiva e somiglianza.
Matisse doveva succedere al padre nel negozio di sementi di famiglia e studiare da avvocato. Ma costretto al riposo per salute scopre la pittura. E gli cambia la vita. A Parigi frequenta lo studio di Gustave Moreau, s’iscrive all’Ecole des Beaux Art, visita la collezione islamica del Louvre, le mostre e gira il mondo, Africa, America, Polinesia e anche Italia.
Le Esposizioni Universali aprono finestre su società affascinanti e ignote. Nel 1900 a Parigi ci sono i padiglioni di Turchia, Persia,Tunisia, Algeria, Egitto, Marocco. Nel 1906 è in Tunisia, nel ‘10 a Monaco di Baviera per la grandiosa esposizione di arte maomettana, 3500 opere in ottanta sale. Dall’Africa giungono in Europa sculture in legno, avorio, maschere, costumi, statuette propiziatorie, totem, si fanno mostre tematiche. Dall’Estremo Oriente, dalla Cina, dal Giappone arrivano porcellane, sete, lacche, stampe, ceramiche, bambù che ammaliano artisti e intellettuali d’inizio secolo. E che si possono vedere al Trocadéro, il museo etnografico inaugurato nel 1878. Ma si possono anche acquistare come la piccola testa africana di legno, che il pittore trova in un negozietto e porta a casa di Gertrude Stein, che interessa Picasso. Oggetti o souvenir di viaggi, modelli a cui ispirarsi che influiscono sulla moda, sulla grafica, sulla pubblicità. Matisse “coglie la novità dei segni immediati e graffianti dell’arte negra e di una sensibilità primitiva, la magia e l’incantesimo delle ceramiche mediterranee dai colori intensi fra gli azzurri e i verdi, la fantasiosa stilizzazione e il forte linearismo dell’Estremo Oriente”. Nel 1911 è a Mosca per allestire i pannelli della “Danza” e della “Musica” in casa di Scukin che con Morosov è fra i più appassionati collezionisti dei suoi dipinti. Nello stesso anno è a Tangeri in Marocco dove torna per scoprirne la luce, come Delacroix, relizzando disegni e dipinti. “L’Oriente e la Russia, nella loro essenza più spirituale e più lontana dalla visione puramente decorativa schiudono a Matisse…la forza di schemi compositivi dai significati più elevati – precisa Coen – Il motivo della decorazione e dell’orientalismo è per Matisse la ragione prima di una radicale indagine sulla pittura, di un’estetica fondata sulla sublimazione del colore, della linea” e cogliere il senso di uno spazio diverso, più vasto per “uscire dalla pittura intimistica”.
La mostra, che si snoda in una decina di ambienti di un biancore abbacinante, interrotto solo dai colori squillanti dei dipinti, presenta accanto a una novantina di opere di Matisse prestate da grandi musei (Metropolitan, Moma, Hermitage, Pompidou…), anche stampe di Hiroshige e una serie di oggetti d’artigianato d’arte che colpisce per quantità e qualità. Ceramiche, tappeti, maschere rituali, tessuti, abiti che vengono da Giappone, Cina, India, Turchia, Iran, Nord Africa. Da un lato i dipinti, dall’altro i manufatti esotici da cui essi traggono ispirazione. La rassegna si apre con “Gigli, Iris e Mimose” del ’13 del Museo Puskin da cui viene anche lo splendido “Pesci Rossi” che la chiude. Con “Zorah sulla terrazza”, “Marocchino in verde” e “Zorah in piedi”, costituisce uno dei preziosi lasciti del Marocco. Rimandano echi giapponesi “Ramo di pruno, fondo verde “ e “Edera in fiore” della Pinacoteca Agnelli di Torino. Degli anni Dieci “Pervinche – Giardino marocchino”, “L’albero presso il laghetto di Trivaux”, il “Ritratto di Yvonne Landsberg” del Philadelphia Museum. Degli anni Venti “Odalisca blu”, “Paravento moresco”, “Interieur à Etretat”.
Un capitolo a parte riguarda la collaborazione con Diaghilev e Stravinskij per le scene e i costumi del balletto “ Le Chant du rossignol” con la coreografia di Massine. Laboriosa e complessa la realizzazione. La prima, andata in scena all’Opera di Parigi nel ‘20, è un fiasco, ma per Matisse rappresenta un momento di grande creatività, l’occasione di una fusione totale delle arti, danza, musica, teatro, pittura. I suoi costumi, “colori in movimento”, sono in mostra, accanto a disegni e bozzetti.
Autore: Laura Gigliotti
Info:
Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio 16, Roma.
Orario: domenica-giovedì 10.00-20.00; venerdì e sabato 10.00-22.30, fino al 21 giugno 2015.
Tel. 06-39967500 e www.scuderiequirinale.it
Fonte: www.quotidianoarte.it, 9 mar 2015