Per la prima volta i Musei Capitolini, dedicano una grande rassegna a uno dei principali protagonisti del primo Rinascimento, Luca Signorelli (1450 – 1523), fra i giganti di quella stagione irripetibile che avrebbe segnato la storia dell’arte occidentale, prima del turbine rappresentato da Raffaello e Michelangelo.
“Fu ne’ suoi tempi tenuto in Italia tanto famoso e l’opere sue in tanto pregio, quanto nessun altro in qualsivoglia tempo sia stato già mai”, scrive Giorgio Vasari nelle “Vite dei più eccellenti, scultori e architetti” pubblicata a Firenze da Giunti nel 1568. La biografia dell’artista era corredata da un’immagine (che mancava nella prima edizione del 1550). E’ da questa che prende le mosse la mostra. Per uno strano caso Vasari utilizza come modello il ritratto eseguito da Luca di Vitellozzo Vitelli. Un volto ben diverso da quello che compare nella lunetta con l’Anticristo della Cappella di San Brizio a Orvieto. Fra i personaggi rappresentati ve ne sono due appartati vestiti di nero, il Beato Angelico e Signorelli che si ritrae con capelli lunghi e biondi. Ma nonostante l’evidenza, Vasari docet, bisognerà aspettare l’Ottocento per avere la vera effigie di Signorelli, opera di Pietro Tenerani esposta nella prima sala accanto a quella di Pietro Pierantoni che si ispira all’immagine utilizzata da Vasari.
Il titolo della mostra “Luca Signorelli e Roma. Oblio e riscoperte”, curata da FederIca Papi e Claudio Parisi Presicce (Catalogo De Luca Editori D’Arte), esprime bene i concetti guida illustrati da una sessantina di opere di grande qualità storico-artistica, distribuite in sette sezioni, alcune esposte per la prima volta a Roma. Se Signorelli occupa la posizione centrale della scena e le sue opere tra oblio e riscoperte rappresentano il filo conduttore della sua presenza nell’urbe almeno in tre periodi diversi, cooprotagonista è anche la città eterna, la Roma di papa Sisto IV della Rovere, il papa francescano e teologo, “restaurator urbis”. A lui, in vista del Giubileo del 1475, si devono chiese, strade, acquedotti, ponti. Come Ponte Sisto, l’antico Ponte Aurelio, realizzato in tre anni, e la rinascita dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, con la splendida corsia sistina affrescata, per l’assistenza gratuita a tutti i bisognosi. In mostra il grande plastico ricostruttivo in legno, stucco e vetro. Sulle pareti vedute a volo d’uccello della città piante anonime, incisioni, acqueforti di Roma di Giovan Battista Falda, vedute di van Wittel, monete e medaglie sistine.
Nel 1471 Sisto IV decide di trasferire sul Campidoglio, sede del potere amministrativo e giudiziario della città, gli antichi bronzi romani, lo Spinario, la Lupa, i frammenti del Colosso di Costantino e la Zingara, riconoscendo i romani legittimi eredi della città e degni conservatori delle sue preziose testimonianze. Una data che segna la nascita del più antico museo pubblico del mondo.
E quale promotore delle arti a lui si deve la rifondazione della Biblioteca Vaticana arricchita di centinaia di codici latini e greci che affida al Platina, la costruzione della Cappella Magna, la Cappella Sistina, che prima degli interventi di Michelangelo verrà decorata sulle pareti laterali nel 1481 – 82 anche da Luca Signorelli con l’affresco “Testamento e morte di Mosè” . E’ il primo soggiorno di Luca a Roma, la sua prima commissione documentata. Ma bisognerà aspettare venticinque anni per avere notizie certe di un suo ritorno, anche se si pensa che sia venuto più volte. Roma e lo studio dell’antico, che tanto ha nutrito la sua arte “perfetta fusione fra civiltà classica e cristiana”, non è generosa con lui. Anche l’elezione di un papa Medici come Leone X delude le sue speranze. Probabilmente è tornato a Roma per un lavoro in un ambiente privato di Giulio II e verso il 1507 insieme a Perugino e Pinturicchio per una “cena di lavoro” da Bramente che avrebbe dovuto favorirli presso il Papa Giulio II, tutti soppiantati da Raffaello. Come ricorda in un volume su Vitruvio del 1536 (in mostra) Gianbattista Caporali. Infine la terza volta nel 1513 come testimoniato da un documento dell’Archivio Capitolino e da una fonte autorevole, Michelangelo che ricorda un prestito non pagato di 40 Giuli. Signorelli va a trovarlo nella sua casa romana a Macel de Corvi.
Dalla fama sancita da Vasari “primo chiaro lume che fece scorta a Raffaello, a Michelangelo, a Leonardo e agli valenti artefici del secol d’oro per condurre l’arte verso la perfezione”, alla perdita di memoria nei secoli seguenti, al ritrovato credito nel Settecento con l’affermarsi del purismo e delle correnti preraffaellite romanticismo, quando si riscopre la Cappella Nova, visitata da Füssli, Overbeck, i Nazareni, Freud, Canova. Una rivalutazione a tutto campo che riguarda anche la storiografia e il mercato antiquario. E le sue opere finiscono all’estero fino a quando non viene approvata nel 1902 una legge e un catalogo di oggetti di sommo pregio in mano privata che lo impedisce. “La corte di Pan” distrutta da un bombardamento nell’ultima guerra era al Museo di Berlino.
La mostra si snoda su percorsi paralleli, da un lato l’artista e le sue opere, l’oblio e la riscoperta, dall’altro la città, i suoi monumenti, i suoi protagonisti. Dopo la sala introduttiva ecco lo Spinario in bronzo dei Capitolini e in sequenza lo Spinario Medici in marmo della prima età imperiale, da cui l’artista ha tratto più volte ispirazione. Dallo studio dell’antico Luca ricava un repertorio di figure e nudi maschili e una varietà di pose che animano le sue classiche composizioni. Sulle pareti lo spettacolare Martirio di San Sebastiano dipinto per la Cappella Brozzi nella chiesa di San Domenico di Città di Castello, restaurato per l’occasione (in un piccolo video le fasi del restauro), con rovine, scorci del Colosseo e dell’Arco di Costantino. Del capolavoro del Duomo di Orvieto, la Cappella Nova o di San Brizio, iniziata dall’Angelico e terminata da Luca nel 1504, è possibile avere una visione nei dettagli,. attraverso immagini retroilluminate di grande effetto. In mostra anche una discussa tegola dipinta con i ritratti di Luca e di ser Niccolò di Angelo camerlengo del Duomo. In una saletta rossa tre Madonne col Bambino, tra le più belle e originali. Un tema a lui caro che preferiva realizzare in formato tondo. Così doveva essere anche la Madonna Pallavicini Rospigliosi e quella del Museo Jaquemart-André diventata ovale. E’ un “unicum” nel catalogo dell’artista la “Vergine col Bambino” o “Madonna Bache” del Metropolitan Museum, donata con altri beni nel 1507 alla figlia Gabriella. La Madonna dal profilo severo che rivolge uno sguardo malinconico verso il figlio è dipinta su uno sfondo dorato costituito da atletici putti alati segnati con sottili smalti rossi, azzurri e verdi che si muovono gioiosamente su nastri e girali e all’interno di cerchi.
Info:
Musei Capitolini Palazzo Caffarelli, piazza del Campidoglio.
Orario : tutti i giorni dalle .30 alle 19.30. fino al 3 novembre 2019.
tel. 060608 e www.museicapitolini.it
Autore: Laura Gigliotti
Fonte: www.qaeditoria.it, 25 lug 2019
Foto:
Luca Signorelli, Madonna col Bambino, 1505-1507, olio e tempera su tavola, New York, Metropolitan Museum of Art.