ROMA. Lorenzo Lotto e i tesori artistici di Loreto.

lottoL’intitola “Lorenzo Lotto e i tesori artistici di Loreto”, la mostra curata dal professor Giovanni Morello, progetto espositivo di “Artifex-Comunicare con l’arte” aperta a Castel Sant’Angelo fino al 3 maggio 2015 (catalogo Artifex).
Una cinquantina di opere, una decina di Lotto, alcune provenienti da Loreto, il santuario presso il quale il 15 agosto 1554 l’artista si ritirò come “oblato”, come scrive di suo pugno nel “Libro di spese diverse”, il volume di “ricordi” ritrovato alla fine dell’Ottocento nell’Archivio della Santa Casa, in mostra in copia anastatica. Insieme a Lotto, Guido Reni, Pomarancio, Annibale Carracci, Simon Vouet, Giambologna e altri artisti che ornavano gli altari della basilica prima di essere sostituiti da opere in mosaico. In mostra anche sculture, bassorilievi, oli di contemporanei che hanno affrontato l’iconografia della Vergine e una scelta accurata di ceramiche artistiche urbinati e vasi da farmacia, nonché alcuni preziosi pezzi conservati nel tesoro di Loreto, quel poco che rimane dopo razzie antiche e furti recenti.
La basilica di Loreto, iniziata nel 1468 per volontà del vescovo di Recanati Nicolò dell’Aste, su probabile progetto di Francesco di Giorgio Martini, è frutto dell’opera del genio di molti architetti e artisti. Tutto ha origine dal trasporto “per ministero angelico” della casa della Vergine di Nazaret, tre pareti di pietre e mattoni, nella notte fra il 9 e il 10 dicembre 1294 a Loreto, attorno ad essa (rivestita di marmo dal Sansovino), viene costruita una chiesetta e poi la basilica, che subito diviene meta di devozione e pellegrinaggio lungo la via Lauretana.
Le opere esposte a Roma per la prima volta approfittano del riordino del Museo – Antico Tesoro della Santa Casa. La prima testimonianza storica del “Tesoro”  risale al 1315. Nel Seicento vasi, arredi liturgici, preziosi ex voto sono custoditi in imponenti credenzoni. Che verranno svuotati, come bottino di guerra e parte come contributo alla pace di Tolentino dai soldati napoleonici nel 1797. Alle razzie francesi si aggiunge nella notte fra il 24 e 25 gennaio ’74 il furto dei doni giunti a Loreto dopo le requisizioni napoleoniche.
Distribuiti in quattro sezioni, i pezzi sono esposti nelle sale degli appartamenti pontifici, di Clemente VII e dell’appartamento farnesiano di Paolo III. Ambienti sontuosi coperti da pannelli blu che creano un allestimento adatto allo scopo, oscurando però i segni del tempo e della storia.
La prima sala, dedicata a Lorenzo Lotto, l’artista geniale e inquieto, dalla vita errabonda, presenta a confronto due versioni del dipinto forse più significativo di tutta l’esposizione, “Cristo e la donna adultera”, uno della Collezione Spada, l’altro del Museo di Loreto. Un tema più volte ripreso da Lotto, che ha dato il via a varie versioni, a Louvre come a Dresda. La scena rappresenta l’episodio del Vangelo di Giovanni dell’adultera che deve essere lapidata, e si conclude con le parole di Gesù “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Il dipinto di Loreto, dalla smagliante cromia, da cui deriva quello della Galleria Spada più monocromo, era posto sopra il seggio vescovile nella zona della basilica che ospitava il coro dei canonici. Ricordato da Vasari, portato via dalle truppe napoleoniche nel 1797, venne ritrovato a Parigi nel 1824. Fa parte della collezione di Castel Sant’Angelo, donata nel 1916 allo stato da Mario Menotti, la tempera su tavola con venature a olio “San Girolamo nel deserto”, realizzato da Lotto probabilmente mentre era impegnato in Vaticano a decorare l’appartamento di Giulio II. Il santo in meditazione sulle scritture, he ricorda nella posa un antico dio fluviale, è al centro di un paesaggio in cui si riconosce Castel Sant’Angelo, un fiume e un ponte.
Fra i Lotto in mostra la monumentale tela di “San Cristoforo con il Bambino Gesù fra i santi Rocco e Sebastiano”, la prima opera, secondo la testimonianza di Vasari, realizzata dall’artista per Loreto. Di notevole interesse anche i ritratti. “Ritratto di gentiluomo” della Galleria Borghese, eseguito forse in contemporanea col San Cristoforo, mentre Lotto si trovava nelle Marche, proviene dalla collezione del cardinale Aldobrandini. E’ di collezione privata il “Ritratto di gentiluomo con cane”, il “Ritratto di balestriere” è dei Musei Capitolini. Identificato per tradizione con ”Mastro Batista balestrier de la Rocha Contrada”, oggi Acervia, l’uomo stringe in mano la sua balestra. Uno dei numerosi ritratti che richiamano la professione dell’effigiato attraverso la presenza di un oggetto. E’ il caso del “Ritratto di architetto” conservato a Berlino, considerato come il ritratto di Jacopo Sansovino per via di un compasso e di un rotolo nelle  mani del protagonista.
Ma non c’è solo Lorenzo Lotto ad attirare l’attenzione dei visitatori. Da segnalare in particolare tre opere di Pomarancio: il “Ritratto del cardinale Antonio Maria Gallo”, “San Carlo Borromeo genuflesso davanti al Crocifisso” (il santo ebbe una grande devozione per Loreto dove venne istituita una confraternita a lui intitolata), e una piccola porzione di affresco staccato, rappresentate “La Fede”, della cupola della basilica dipinta dall’artista fra il 1610 e il 1615, dopo il compimento della decorazione della Sala del Tesoro. E dipinti di Perin del Vaga, Guido Reni, Simon Vouet, Giuseppe Maria Crespi, Annibale Carracci, Andrea Sacchi, Mariano Fortuny, Alberto Sughi e il bronzo del trasporto della Santa Casa di Valeriano Trubbiani.
Tra i capolavori in mostra, accanto al “Corredo d’altare” in corallo di maestranze trapanesi, inviato in dono nel 1722 dal principe di Avellino Francesco Marino II Caracciolo, il “Crocifisso” in argento rifinito a cesello del Giambologna, il maggiore scultore della corte del granduca di Toscana, donato da Giovanna d’Austria, figlia dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo e prima moglie del granduca Francesco I de’ Medici per impetrare la grazia di un figlio maschio.
Scrive Luigi Busani in catalogo che “una parte cospicua del Tesoro di Loreto è costituita dalle maioliche istoriate dell’Antica Spezieria”, che si sviluppò accanto all’ospedale  fondato nel XV secolo. In particolare sono conservati 350 pezzi della Bottega di Orazio Fontana di Urbino del XVI secolo e 111 pezzi della Bottega dei Patanazzi sempre di Urbino del XVII secolo, più altre maioliche eterogene per datazione e provenienza.  Una collezione preziosa, giunta fino a noi quasi integra, perché scampata alle depredazioni napoleoniche. In mostra vasi e albarelli di Orazio Fontana, piatti di Deruta, brocche dei Patanazzi, maioliche faentine, albarelli di Castelli di Francesco Antonio Saverio Grue.

Info:
Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, Lungotevere Castello, 50 Roma, fino al 3 maggio 2015.
Orario 9.00-19.00, lunedì chiuso.
Tel. 06-68193064 e info@artifexarte.it

Autore: Laura Gigliotti

Fonte: www.quotidianoarte.it, 5 feb 2015