E’ sempre un piacere rivedere Boldini, un piacere dell’occhio e dello spirito, ammirazione per il pittore, per le sue sciabolate di luce che illuminano i protagonisti che sfilano davanti ai nostri occhi. Un’attenzione che oggi accomuna pubblico e critica, come dimostra il susseguirsi di esposizioni a lui dedicate, un successo internazionale. In passato non è stato sempre così. Per molti anni critici e detrattori si sono avventati sulla sua opera negandone il talento. Del resto, pur ai suoi tempi Diego Martelli, il teorico dei Macchiaioli, pur ammirandolo non lesinava critiche. Una vita lunghissima quella di Giovanni Boldini (1842 – 1931), è morto a 89 anni, fresco sposo della giornalista Emilia Cardona (aveva 50 anni meno di lui, erede ed esecutrice testamentaria delle sue volontà), con una produzione di oltre mille opere. A lungo ignorato, anni di vero e proprio oblio fra i Trenta e Cinquanta, fino alla riscoperta del ’63 con una mostra al Musée Jacquenar – André di Parigi. Dopo di che è stato un susseguirsi di riconoscimenti. L’ultima grande retrospettiva a Forlì del ’15, indimenticabile la rassegna del 2005 a Roma alla Gnam (ora Galleria Nazionale).
La mostra aperta fino al 16 luglio 2017 al Vittoriano con oltre 150 opere è fra le più complete antologiche degli ultimi anni. “Boldini come nessun altro al suo tempo ha saputo entrare in relazione con l’animo femminile”, dice Sergio Gaddi che con Tiziana Panconi ha curato la rassegna prodotta da Arthemisia che ha richiesto quattro anni di lavoro per ottenere i prestiti di grandi musei nazionali e internazionali, oltre che di numerose collezioni private.
Lungo e sale immerse nell’oscurità (quasi illeggibili i pannelli, ben evidenti le didascalie), intercalate a Boldini opere di amici del periodo fiorentino come Cristiano Banti, Telemaco Signorini, compagni di strada incontrati a Parigi come Zandomeneghi, Tissot, Corcos. E di De Nittis (“La dama con l’ombrello”, “La convalescente”), che vi era giunto per primo nel ’64 a vent’anni, morto a 38 anni “In piena giovinezza, in pieno amore, in piena gloria, come gli eroi e i semidei” scrisse nell’epitaffio Dumas figlio. Con lui ricostruiscono l’atmosfera frizzante della Belle Epoque.
Boldini, idolatrato da uomini famosi e belle donne, dalla marchesa Casati (assente in mostra), la “divina”, amante e musa ispiratrice di D’Annunzio, che aveva deciso di farsi “opera d’arte vivente”, alla principessa Bibesco amica di Proust, all’americana Consuelo Vanderbilt, ritratta anche da Sargent. Ma la rassegna non si limita al periodo d’oro del pittore, segue la sua evoluzione e abbraccia tutta la sua produzione artistica, compreso un assaggio della ricca produzione grafica. Che sebbene spoglia dell’elegante virtuosismo proprio dei dipinti, rivela la modernissima sensibilità dell’artista per tutto ciò che è mobile e veloce.
Quattro le sezioni: “La luce nova della macchia (1864-1870)”, “La maison Goupil fra ‘chic’ e ‘impressione’ (1871-1878)”, “La ricerca dell’attimo fuggente(1879-1890)”, “Il ritratto Belle Epoque (1892 – 1924)”. Sgranate lungo il corridoio le tante opere del periodo fiorentino. Lasciata Ferrara e gli insegnamenti del padre pittore, nel ’64 è a Firenze. Il contatto col fervido ambiente dei Macchiaioli che portano avanti la loro rivoluzione contro l’Accademia e le convenzioni sociali si riverbera sui ritratti di grande vivacità e verosimiglianza dei protagonisti delovimento, il critico Diego Martelli, l’amico pittore Cristiano Banti e i suoi figli, Leonetto e la bella Alaide di cui s’innamora. Degli stessi anni una splendida “Marina a Castiglioncello” e gli affreschi della sala da pranzo della Villa La Falconiera nella campagna pistoiese. Firenze dunque come trampolino di lancio per Parigi che aveva conosciuto in un breve viaggio nel 1867 in occasione dell’Esposizione Universale, dei Salons espositivie dei ritrovi mondani. A Parigi Boldini giunge nel 1871 dopo un viaggio a Londra che lo conferma nell’idea di dover evadere dal raccolto ambiente fiorentino e farsi conoscere dal grande pubblico. La città è un ribollire di iniziative e di trasformazioni urbanistiche. Ridisegnata per Napoleone III dal prefetto della Senna barone Haussman, apre gli ampi boulevard avviandosi a divenire la metropoli che attirerà artisti da tutto il mondo.
A contatto con gli impressionisti e gli italiani di Parigi come De Nittis e Zandomeneghi”, Boldini lavora per la famosa maison del mercante Goupil che lo spinge verso una pittura facile e veloce, criticata dall’amico Martelli. Una pittura di genere in cui raggiunge risultati di grande raffinatezza. Come in certe vedute all’aria aperta, paesaggi lungo la Senna, piazze. Come in “Berthe che legge la dedica sul ventaglio”, una delle sue numerose amanti, o “Place Clichy”dal modernissimo vigore realistico. Sono le opere del primo periodo parigino, fra nostalgia neosettecentesca e modernità.
Poi i ritratti internazionali di grandi dimensioni che rappresentano la fase matura della sua ricerca formale. S’ispira ai grandi artisti del passato, Van Dyck, Frans Hals, Velazquez. I geniali artifici del grande ritratto lo propongono come maestro sommo. L’Esposizione Universale dell’89 segna lo spartiacque verso la nuova maniera, quel ritratto “fin de siècle” a figura intera di intellettuali, artisti, aristocratici e altoborghesi accomunati da un forte senso di appartenenza di cui Boldini diviene l’interprete ideale. Come Sargent, Gainsborough, Reynolds. Celebri i ritratti del conte de Montesquiou, il Des Esseintes di Huysmans in “A rebour”, il conte di Charlus di Proust, di Consuelo Vanderbilt duchessa di Marlborough. Uomini e soprattutto donne colti in un interno. Donne nude o vestite, in piedi, distese, accovacciate, le prime compagne di vita parigina come Berhe, la contessa di Rasty, o ritratte una sola volta, ma tutte indimenticabili.
Donne bellissime ed eteree, dalla vita sottile e il collo lungo come quelle del Parmigianino, inguainate in abiti quasi una seconda pelle. Donne che sembrano man mano perdere la loro materialità, i corpi si allungano, si torcono, si espandono nello spazio come i loro abiti che guizzano leggeri. E accanto alle muse donne vere. E’ moderna ed emancipata quella che compare sullo sfondo de “La tenda rossa” del 1904. E fuma una sigaretta. Dagli oli ai pastelli. “Ritratto della signorina Concha de Ossa”, “Ritratto di signora in bianco con guanti e ventaglio”, “Signora con abito nero seduta di fronte”, “Signora bionda in abiti da sera” Pastelli insuperabili, dalle infinite tonalità di “bianchi esasperati”, come scriveva Colette. E oltre, la tappa finale della sua evoluzione, quando artista consacrato a livello internazionale (ha partecipato alla prima Biennale di Venezia nel 1895, ha esposto anche a New York), negli ultimi ritratti sperimenta nuovi percorsi che preannunciano nella rapidità del tocco, nei vortici e nello sfaldamento della pennellata, gli esiti di certa pittura moderna.
Al centro della rassegna il capolavoro simbolo della Belle Epoque, la grande tela di Donna Franca Florio la “Regina di Sicilia”, definita da D’annunzio “L’unica, una creatura che svela in ogni suo movimento un ritmo divino”. E’ la moglie dell’armatore Ignazio Florio, erede di una delle più facoltose e importanti famiglie siciliane. Boldini si reca a Palermo per eseguire il ritratto che il marito giudica troppo sensuale e provocatorio. Lunga la gestazione (1901-1924) così l’artista fa una seconda versione che presenta alla Biennale di Venezia del 1903. Ma se ne perdono le tracce, tanto che su richiesta della stessa Donna Franca il pittore riprende la prima versione che aveva in studio, realizzando il dipinto nella forma che vediamo oggi. In seguito al crak finanziario dei Florio il quadro viene comprato tra il ’27 e il’28 dal barone Rothschild e dal 2006 è esposto a Villa Igiea a Palermo. Coinvolto nella procedura giudiziaria del Gruppo Acqua Marcia, è stato prestato eccezionalmente per la mostra del Vittoriano. Prima che finisca non si sa dove e in quali mani.
Fra le opere dell’artista definito da Baudelaire “pittore della vita moderna”, da segnalare lo straordinario notturno “Il ritorno dei dragoni” e l’autoritratto del ’92 eseguito su richiesta della Galleria degli Uffizi per la collezione degli autoritratti. Boldini si rappresenta di tre quarti in una posa nobile alla Velazquez, il pittore ammirato a Madrid dove si era recato in compagnia di Degas. In cambio dagli Uffizi ottiene un calco in gesso del busto del cardinale Medici di Bernini che compare nel suo atelier in un quadro del ’99 davanti a uno specchio che ne rimanda l’immagine. E’ dell’11 l’autoritratto a 69 anni che ci restituisce la figura realistica di un Boldini poco avvenente, appesantito, lo “gnomo” su cui si appuntava l’ironia di critici e giornalisti.
Appassionato melomane, pianista dilettante, Boldini che ama cantare mentre dipinge, conosce e frequenta il mondo della musica e della danza e ritrae più volte attori, cantanti, direttori d’orchestra come “Il maestro Muzio sul podio”. Emblematica la storia del suo rapporto con Verdi “il vero imperatore e re dell’arte musicale” a cui dedica due famosi ritratti. Il primo in mostra a olio più ufficiale, un lavoro lungo e complesso (della Casa di Riposo per i Musicisti di Milano), il secondo celeberrimo, non in mostra, a pastello col cilindro e la sciarpa bianca, frutto di un’unica seduta di posa durata solo poche ore. Altro polo della fantasia creativa di Boldini è Venezia, il “luogo che meglio rappresenta l’estenuato immaginario artistico e letterario europeo tra ’800 e‘900”. Il pittore vi giunge nell’87. Alloggia in uno degli atelier di palazzo Rezzonico dove erano stati Whistler e Sargent o è ospite della marchesa Casati a palazzo Venier. Frutto dei suoi numerosi soggiorni acquerelli ed oli con vedute, scorci, singolari inquadrature della città resa con pennellate rapide ed evocative.
Settant’anni di pittura da protagonista per Boldini, a Parigi come a Londra, a New York, in Sud America, prima che il conflitto mondiale rimescoli le carte scompaginando il mondo scintillante e inquieto della Belle Epoque.
Info:
Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, Via San Pietro in Carcere, Roma. Orario: 9.30 – 19.30; venerdì e sabato 9.30 – 22.00; domenica 9.30 – 20.30.
Tel. 06 – 871511. Fino al 16 luglio 2017.
Autore: Laura Gigliotti
Fonte: www.quotidianoarte.it, 5 mar 2017