Per favore non imitateci””

Oggi che sono un fenomeno di massa – mai le istituzioni museali hanno avuto tanti visitatori – in tutto il mondo s’avverte l’esigenza di cambiamenti, la necessità di ridisegnare contenitori e a volte anche i contenuti. Ma nessuno sembra avere certezze sul cosa fare. Michel Laclotte, presidente onorario del Louvre, fino a pochi anni fa direttore di questa istituzione ma anche creatore del museo d’Orsay, a Roma per visitare le Scuderie del Quirinale (da lui molto lodate), sostiene che " non esiste una verità eterna, valida per tutti i musei" . Spiega: " Ho assistito a grandi cambiamenti e non è detto che siano stati in meglio. Ogni museo ha una storia propria, differente dagli altri. Insomma non ci sono esempi assoluti. Prendiamo il Louvre: è una specie di mammut, di mega-museo che ha una storia lunga più di duecento anni. Ma quello che si fa in questo luogo non deve essere necessariamente fatto da altre parti. A mio parere bisogna riflettere su ogni singolo caso, senza farsi influenzare" .D: Resta il fatto che l’esigenza di cambiamenti è forte. Trovano consensi gli allestimenti americani che rendono più facile la lettura delle opere d’arte contestualizzandole in ambienti d’epoca, strada che imboccano anche alcune esposizioni. Qual è la sua opinione?R: " Non credo che su questo piano ci siano molte differenze tra la situazione odierna e quella di trenta o quaranta anni fa. Ieri come oggi negli Stati Uniti ci sono musei che evocano un’epoca attraverso l’allestimento. Al Louvre invece non abbiamo seguito questa strada: ha i suoi ambienti originali che dal Rinascimento arrivano fino al Novecento e non abbiamo voluto ricrearne altri artificialmente. Ma si può capire che un museo americano, dove non si può far vedere un castello o una chiesa, abbia bisogno di evocarli" .D: Ma si vuole applicare questi indirizzi in Europa…R: " Nel caso di paesi carichi di antichità come la Francia o l’Italia le vie sono altre. Dovendo ricostruire o creare un museo in edifici d’epoca un’intera generazione di architetti – cito Scarpa su tutti – ha evitato in ogni modo il postiche, l’elemento in stile: ogni elemento da inserire – i mobili, le vetrine, i basamenti, le luci – era contemporaneo. Questo è anche il criterio che ho sempre cercato di rispettare nei musei di cui mi sono occupato: il Louvre, l’Orsay, il museo del Petit Palais ad Avignone. Il materiale museografico deve essere contemporaneo: in un edificio antico per mettere in evidenza un’opera d’arte, questa è la mia idea, occorre mantenere una distanza. Al contempo però ritengo anche che le gallerie d’epoca vadano conservate come sono, i musei in essa devono divenire come mummificati. Cito come esempio Palazzo Pitti di Firenze. Non solo. Credo che questo rispetto per l’ambientazione debba essere applicato anche al Ventesimo secolo. Al Louvre abbiamo mantenuto degli ambienti creati negli anni Trenta, che quand’ero giovane mi sembravano orribili, ma che ora hanno acquistato un valore storico. Gae Aulenti ha fatto la stessa cosa al museo d’Orsay, che era un esempio di architettura industriale, e a Roma, alle Scuderie del Quirinale, di cui ha conservato la struttura e gli ambienti preesistenti . Tutto quello che lei ha inserito di nuovo è distanziato fisicamente" .D: Il cambiamento più profondo però è il pubblico dei musei e le nuove esigenze legate alla visita… R: " La cosa più evidente è la necessità di tener conto sempre più delle esigenze del pubblico, cioè di fornirgli elementi di comfort, i cosiddetti servizi. I musei devono farlo. Al contempo è molto importante la creazione del pubblico, di cui esiste una vasta tipologia con due estremi; i visitatori di tipo giapponese – in Francia la definizione è ingiusta perché i più numerosi sono gli italiani – cioè coloro che fanno viaggi organizzati, e all’opposto gli eruditi, gli esperti Tra questi due tipi di pubblico c’è il non-pubblico, i visitatori che vivono nella città del museo e che si muovono se possono assistere anche a un concerto o a una conferenza. Accade al Louvre con i parigini ma questo dato non si applica automaticamente agli Uffizi, all’Accademia o al Museo di Brera. Ma parlavo dei diversi tipi di pubblico: abbiamo capito che oltre all’aspetto puramente pedagogico ed erudito c’è posto per l’aspetto culturale, detto tra virgolette, cioè la ricerca di un pubblico nuovo che si deve far venire al museo. Non parlo degli intellettuali ma del pubblico della periferia. E’ uno sforzo nuovo molto forte" .D: Cosa guadagnano il Louvre o gli altri musei dalle orde dei turisti?R: " Me lo chiedono spesso. Rispondo che dobbiamo curarci di loro perché può darsi che su trenta cretini ce ne sia uno, basta soltanto uno, che da questa visita ha una rivelazione. Non lo dico in senso messianico o esageratamente ottimista nei confronti della natura umana: so che effettivamente è proprio in seguito a queste visite di gruppi che qualcuno ha la rivelazione dell’arte. Dunque dobbiamo occuparci anche di questo pubblico gregario, che sembra un gregge al pascolo. E bisogna tentare di catturare il pubblico in ogni modo, anche attraverso i mezzi audiovisivi. Una tentazione evidente è di moltiplicare i musei virtuali ma, a mio parere, è molto pericoloso. L’immagine di Internet, per quanto perfetta, non può sostituire il contatto diretto, carnale con l’opera d’arte" . * Presidente onorario del Louvre

Autore: Michel Laclotte *

Fonte:La Stampa