In margine a un recente volume di Maria Teresa Balboni Brizza.
Mai come negli ultimi armi il museo ha dato segni tanto decisi di vitalità e presenza. Ormai archiviata la dura contestazione condotta all’inizio del Novecento dalle Avanguardie, quando erano stati innanzitutto gli artisti stessi a criticare duramente l’autorità polverosa dell’istituzione museale, e superata anche la crisi d’identità vissuta negli anni Settanta, quando il dibattito fra «museo tempio» e «museo forum» sembrava dover definitivamente mettere in scacco il ruolo tradizionale della «tomba di famiglia delle opere d’arte» (Adorno), nata, è stato detto, assieme alla ghigliottina, il museo si mostra oggi come una delle figure più salde e determinanti nell’organizzazione culturale e sociale del mondo globalizzato.
Ad attestarlo non è soltanto il proliferare di nuovi musei che da qualche anno caratterizza la scena internazionale (e basterà ricordare la diffusione della «multinazionale Guggenheim» o la nascita, annunciata come imminente, di nuove sedi del Louvre in Cina, negli Stati Uniti e negli Emirati Arabi), perché a sottolineare il ruolo centrale del museo nel sistema, sempre più articolato, dei beni culturali, materiali e immateriali, è, soprattutto in Italia, il moltiplicarsi di convegni e di iniziative editoriali che alimentano il dibattito sulle trasformazioni e sulle prospettive del museo contemporaneo.
Superando finalmente il ritardo che, fatte le dovute e prestigiose eccezioni, ha caratterizzato nel secolo scorso lo sviluppo degli studi di museologia in Italia, la riflessione sulle funzioni del museo e sul suo ruolo nella società si presenta vivace e persuasiva, indicando strategie di intervento e di sviluppo che, superata l’ebbrezza del marketing, puntano oggi soprattutto sull’incontro con il pubblico e sulla funzione educativa.
E appunto Riflessioni sulla didattica e il pubblico è il sottotitolo del volume di Maria Teresa Balboni Brizza Immaginare il museo, recentemente edito da Jaca Book (Milano 2007, pp, 108, € 14,00). Inserito nella sezione Museo e Beni Culturali curata da Giovanni Pinna all’interno della collana di fronte e attraverso, il saggio, che in parte rielabora interventi pubblicati dall’autrice, storica dell’arte e responsabile dei Servizi Educativi del Museo Poldi Pezzoli di Milano, sulla rivista «Nuova Museologia», offre in maniera affabile un’analisi delle questioni che definiscono la funzione educativa del museo, funzione, viene sottolineato ad apertura del volume, non accessoria ma istitutiva del museo stesso.
«La didattica — scrive a questo proposito Balboni Brizza — non dovrebbe essere considerata soltanto un servizio aggiuntivo e i suoi confini non sono rigidamente delimitabili. A mio parere, investe qualunque scelta e attività del museo nel momento in cui questo si apre al rapporto con il pubblico». Una posizione non sempre compiutamente recepita in ambito formativo e professionale — non a caso da qualche tempo attraverso momenti seminariali e la redazione di un documento, Eduarte, alcuni studiosi e operatori italiani provano a sostenere le ragioni educative del museo — di cui l’autrice argomenta in maniera puntuale luoghi e problemi cruciali.
L’articolazione degli apparati didattici e l’utilizzo delle nuove tecnologie, la questione del rapporto, talvolta micidiale, fra mostre e museo, il riconoscimento dei differenti pubblici sono alcuni dei temi che Balboni Brizza affronta nelle pagine appassionate del suo libro, una testimonianza e una proposta che alle derive spettacolari del Museo dell’lper-consumo (Purini) contrappone il valore educativo di un’istituzione che, senza venir meno alla propria storia, può essere oggi una straordinaria macchina per la definizione di identità aperte e dialoganti.
Autore: Stefania Zuliani
Fonte:L’Osservatore Romano