MILANO. Brera restaurata la Samaritana al pozzo di Carracci.

«La Samaritana al pozzo» di Annibale Carracci, una delle gemme della sezione emiliana della Pinacoteca di Brera, è tornata in museo dopo un sofisticato restauro condotto da Roberta Grazioli sotto la direzione di Ede Palmieri, responsabile di questo settore del museo, e supportato da Credit Suisse.
Il dipinto di Annibale Carracci era entrato a Brera nel 1811, con le tele del fratello Agostino («Cristo e l’adultera») e del cugino Ludovico Carracci («Cristo e la Cananea») con i quali l’opera compone una sorta di «trittico»: le tre tele erano infatti poste in sequenza nel lungo cannocchiale ottico della galleria di palazzo Sampieri a Bologna, sormontando l’accesso ad altrettanti locali, anch’essi decorati dai tre artisti.
Insieme giunsero a Brera le opere della stessa provenienza di Guercino, Guido Reni e Francesco Albani: in quell’anno i marchesi Sampieri saldarono infatti i lori debiti con l’erario cedendo una parte della loro celebre collezione (il resto, poco più di cento opere, fra le quali la «Pietà» di Bellini poi donata a Brera, fu acquistato dal viceré Eugenio Beauharnais), che era stata formata a partire dalla fine del Cinquecento, quando la famiglia fu elevata da Sisto IV alla dignità senatoria e il giovanissimo Astorre Sampieri, avviato a una gloriosa carriera ecclesiastica, si fece patrono delle arti: fu lui, con ogni probabilità, il committente dei tre dipinti ed è lui, con altrettanta probabilità, il giovane in primo piano che si volge a osservarci dal dipinto di Agostino.
Proprio perché concepiti insieme e perché sono l’ultimo frutto del lavoro congiunto dei tre Carracci, prima della partenza per Roma di Annibale (1595) e di Agostino (1598), per entrare al servizio di Odoardo Farnese, la Soprintendenza avrebbe voluto restaurarli insieme ma, dopo l’intervento (finanziato dal Mibac) di alcuni anni fa sulla tela di Ludovico, i fondi erano venuti meno. Ora, grazie all’impegno di Credit Suisse (il cui Ceo, Federico Imbert, è non a caso un appassionato cultore dell’arte) si è potuto provvedere al restauro degli altri due (il secondo è stato avviato a giugno, sempre a opera di Roberta Grazioli, a cui si doveva anche il primo, con l’intento di concluderlo entro l’estate).
Entrambi sono stati sottoposti preventivamente a minuziose indagini fisiche non invasive (di Gianluca Poldi e Simone Caglio) e chimiche microinvasive, con minuscoli prelievi (di Silvia Bruni ed Eleonora De Luca), che hanno riconfermato anche con supporti scientifici l’osservazione degli storici dell’arte, basata su dati stilistici, che i tre artisti si muovevano con notevole indipendenza, dal momento che, ha osservato Sandrina Bandera, soprintendente e direttore della Pinacoteca di Brera, «non erano tre artisti della stessa bottega ma erano tre docenti della stessa Accademia, quella bolognese degli Incamminati, che per oltre un secolo, dopo la brevissima vicenda dell’Accademia Ambrosiana, fu l’unica dell’intera Italia settentrionale e che dettò le linee guida del classicismo post-tridentino».
Hanno poi provato che Annibale non si serviva di disegno preparatorio e che quindi i suoi dipinti erano sì caratterizzati da una grande freschezza e libertà ma erano anche soggetti a numerosi pentimenti.
L’ultimo restauro, di Mauro Pelliccioli, risaliva al 1956, per la mostra bolognese dei Carracci, e nel frattempo, oltre all’offuscamento e ossidazione della vernice, si era manifestata una larga crettatura con pericolosi sollevamenti a cuspide (frutto anche di quell’intervento) e cadute di colore, a cui è stato posto rimedio con un consolidamento con resina sintetica, mentre una pulitura preceduta da sondaggi stratigrafici ha rimosso vernici, patinature e ridipinture.
Da ultimo, l’integrazione pittorica è stata condotta con metodo mimetico per le lacune puntuali e con leggera velatura laddove occorreva una ricalibratura cromatica. Recuperata anche la cornice a foglia d’oro, che si è rivelata originale di casa Sampieri. Ma gli studi di Ede Palmieri in questa occasione hanno anche chiarito le ragioni dell’apparentemente inspiegabile diversa scala delle figure dei tre dipinti, che troverebbero giustificazione proprio nel cannocchiale prospettico in cui erano esposti in Palazzo Sampieri, oltre a suggerire altre suggestive ipotesi, ancora allo studio.

Autore: Ada Masoero

Fonte:Il Giornale dell’Arte on line