MILANO. Al Museo del Novecento la grande mostra su Mario Sironi.

Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961) è il fascista dall’animo bolscevico, tragico ma vigoroso, metafisico e futurista. Ieri come oggi, resta difficile interpretare l’aura dell’artista, ma se la sua è una pittura frammentaria, ogni suo frammento è monumentale.
La mostra al Museo del Novecento segue un percorso lineare che marca l’evoluzione pittorica dell’artista, mantenendo ben evidenziate le analogie, come la visione drammatica e la predilezione per le tinte cupe.
Mario-Sironi-Autoritratto-1904-©-by-SIAE-2021-416x420Si comincia con il ciclo dei paesaggi urbani sfumati e personalissimi. Sironi è l’interprete dello squallore urbano che diventa bellezza. Sintesi di paesaggio urbano, Paesaggio urbano col tram e Periferia sono connotati da un intimismo simbolista declinato nella cupa intensità milanese.
Influenzato poi dall’opera di Boccioni, sperimenta tardivamente il Futurismo ma con l’ossessione della ricerca volumetrica. Ne è un esempio Testa futurista, un volto-maschera con rifrazioni cubiste.
Proseguendo nelle sale centrali scopriamo i suoi personaggi: non sono belli ma “eroi barbarici” persi nella fluidità della materia. Ad esempio la ballerina, tema par excellence futurista, nel suo collage diventa un automa screziato dal pathos. È attraverso opere come Venere dei porti che cogliamo la sua essenza originalmente metafisica. I manichini di Sironi, infatti, sono più umani di quelli dechirichiani: il suo è un antropomorfismo che si traduce in un dispiegamento del tragico reale.
Mario-Sironi-Il-molo-Cavallo-bianco-e-molo-1921-©-by-SIAE-2021-523x420Quella di Sironi è un’arte cangiante, come dimostra la sua adesione a Novecento Italiano che lo eleva a classicista moderno. Lo è a modo suo, come sempre, e un’opera come Il pescatore dimostra che alla fine è il più antinovecentista di tutti.
Dopo la crisi espressionista della fine degli Anni Venti, con i fascistissimi Trenta si passa all’arte monumentale, di cui Sironi fu teorico e interprete, ben rappresentata dalla luminosa Vittoria alata e dal visionario Condottiero a cavallo.
Indicativo l’accostamento con Lazzaro che, per la prima volta nella secolare iconografia del soggetto, non risorge. È l’epitome laica del crollo delle illusioni, fascismo compreso.
Lasciata alle spalle la sezione della pittura murale, ci avviamo verso la fase crepuscolare. Segnato dalla fucilazione mancata ? grazie all’intervento del partigiano Rodari ? e dal suicidio della figlia Rossana, l’artista è diviso tra inquietudine e bisogno di quiete. L’Apocalisse, dipinta poco prima della morte, è la sintesi perfetta degli ultimi anni, quelli in cui sperava “dopo tante burrasche, tante tempeste, tanto bestiale soffrire […]” di arrivare “lo stesso in un porto dove per questo misero cuore ci sia pace e silenzio”.

Autore: Lucia Antista

Fonte: www.artribune.com, 11 ott 2021