Michele Santulli. Camille Corot, il poeta della pittura.

Un celebre letterato, Théophile Gautier, scrisse: “Corot, le La Fontaine de la peinture” e tale quasi apodittica definizione non è applicabile con tale significato a nessun artista: in effetti il rapporto unico di Corot con la natura trova il suo analogo, in termini di purezza e verità e totalità, solo con quello di San Francesco d’Assisi. E qui vogliamo ricordarlo e allo stesso tempo sottolineare il ruolo esclusivo e impareggiabile del suo paesaggismo nel contesto dell’arte occidentale.
Dipingere “l’aria che fruscia tra i rami” o “la brezza sulle foglie dei salici” o “l’ombra degli alberi al sorgere del sole” o “come le foglie si tengono appese nell’aria” più in generale la natura in tutte le sue reali intime manifestazioni, questa fu la convissuta esistenza artistica di Corot. La natura era tutto: “prego tutti i giorni il buon Dio che mi mantenga fanciullo, che mi faccia vedere la natura e renderla come un fanciullo, senza preconcetti. La natura prima di tutto”.
Non aveva bisogno di trovare ispirazioni o motivazioni nei musei o altrove: assimilati i primi rudimenti necessari, tutta la sua opera scaturisce e matura a contatto permanente con la natura a lui circostante, reale e autentica, da lui, ecco la grandezza, filtrata e rispettata attraverso la sua anima sincera e i suoi sentimenti nonché le sue capacità di artista: “io canto con gli usignuoli”, “io sono l’uomo dei boschi e dei campi”, “faccio la corte all’aurora che saluto la mattina”. Un coinvolgimento ed identificazione totali.
Non leggeva giornali, non si occupava di politica: gli bastava la lettura di una pagina del solo libro a sua portata di mano, la Imitazione di Cristo. Si tenne distante dai circoli artistici dai quali, e per anni, in verità, venne catalogato riduttivamente a “paesaggista”, pari a una “proscrizione….persistente, di accanita mortificazione”. Ma le critiche non lo ferivano: il credo era: “essere se stessi e seguire solo la natura, quindi tutto bene!”, ”Lasciar parlare la natura e contentarsi del ruolo di sincero interprete”.
Il solo vincolo fu l’amore per i genitori, assieme alla devozione alla musica e al teatro: la libertà era completa, da ogni limitazione, sentimentale o finanziaria o di altra specie: il godimento erano le opere di bene che col suo successo di artista aumentavano continuamente e quanto anche lo gratificava enormemente erano le opere regalate a parenti ed amici e conoscenti oppure realizzate per chiese e istituzioni analoghe: queste erano le vere ricompense e retribuzioni che lo esaltavano!
“La pittura si esercita per far felici gli altri e non per soldi!” E questa era la molla rivoluzionaria della sua enorme laboriosità: di conseguenza una ricerca ed evoluzione sempre attive dello stile e della qualità: restava immutabile la considerazione che le sue opere, pur sofferte, erano pur sempre poca cosa rispetto alla maestosità della natura e alla grandezza della carità e anche al piacere che potevano arrecare al suo prossimo.
L’umiltà e la modestia di “questo cuore d’oro” erano tali che definiva “quadrucci” “tableautins” le sue opere! E invero le dimensioni dei suoi quadri pur se ricchi di elementi rifiniti al meglio, sono estremamente ridotte: per esempio 16×25, 20×21, 14×22, 13×26,25×26, raramente 50×70 e ancora più rare quelle superiori. Epperò questi quadrucci sono un mondo di completezza, di raffinatezza, di amore: se i criteri di valutazione e di giudizio restano quelli dettati dalle opere cosiddette classiche dell’arte universale sintetizzati nella celebre formula di “ingenuità nobile e grandezza silenziosa”, allora possiamo sostenere che ancora siamo lontani dalla comprensione reale e definitiva della grandezza effettiva di Corot.
Dipingendo solo la natura e il paesaggio era portato a continue dislocazioni in tutta la Francia, senza ricordare quelle durante il lungo soggiorno in Italia: un aspetto anche incredibile, in che modo riuscisse a tenere a mente la quantità di luoghi visitati e riportati sotto le opere: qualcuno ha parlato di un “geografo fantastico”. Famoso il suo abbigliamento così modesto, famoso il suo cappello diventato col tempo una vera e propria tavolozza, talmente imbevuto di colori.
Il suo primo riconoscimento da fuori gli venne all’età di 50 anni allorché in una mostra parigina lo Stato lo insignì della Croce di Cavaliere della Legion d’Onore: pur tuttavia il suo paesaggismo “all’aria aperta” incontrava ancora poca approvazione in un secolo dominato dalle personalità di Ingres, di Delacroix, da quella spavalda di Courbet e altresì all’insegna dell’impressionismo; ma a lui bastava “essere l’interprete sincero della voce della natura”, essere sé stesso e non seguire nessuno perché aderire o abbracciare una scuola o un altro artista implicava, diceva, “arrivare sempre dietro, non essere mai sé stesso!”
Fu ormai avanti negli anni, verso il 1850, che il riconoscimento lo prese di mira, Baudelaire aveva scritto: “Corot dipinge come i grandi maestri. La potenza di Corot…” e Théophile Gautier qualche anno più tardi colpì veramente nel segno: “Corot è un poeta: solo che usa il pennello…” E Monet all’amico Boudin dirà dei quadri esposti alla mostra: ”I Corot sono una semplice meraviglia…” Infiniti altri gli elogi successivi. E perciò il successo le richieste degli amatori, lo studio era diventato una continua folla, tanto che dovette servirsi di altri due ateliers per limitare i contatti con la gente, sia compratori, sia giornalisti, sia critici. Anche tanti soldi, i suoi “quadrucci” raggiunsero cifre a quell’epoca sbalorditivi, anche 25.000 Fr: si pensi che ancora trenta anni dopo Picasso vendette quel suo capolavoro “Ragazza col bouquet” per 75 Fr! e alla fine di “ogni anno apriva le chiuse” cioè distribuiva tutto a nipoti, parenti, amici e, soprattutto, alla beneficenza! Migliaia di Franchi allo Stato per fabbricare cannoni e cacciare i prussiani, diecimila Franchi (grandi cifre a quell’epoca) alla vedova Millet; al povero Daumier che abitava in una casa umida e malsana indegna di un così grande artista, diede incarico di farla restaurare e di comprarla e regalarla all’artista, ma quanto credo colpirà tutti non è solo la quasi quotidiana processione di indigenti al suo studio quanto l’amore che le Suore di Carità di San Vincenzo dé Paola di Parigi, nella persona in particolare di quella che periodicamente passava da lui, Suor Maria, che gestivano un asilo per trovatelli, come onorarono “quest’uomo di bene e di pace”: nella sala di rappresentanza avevano appeso una grande foto di Corot e, veramente toccante e commovente, nella corsia dove erano allineate le culle, immediatamente sotto il crocefisso, era appesa sul muro anche la foto del grande artista! Dobbiamo questa notizia e la relativa immagine che godiamo a far conoscere qui appresso per la prima volta, al suo amato amico e ermeneuta Alfred Robaut.
Sul letto di morte, recriminò solamente: “non posso andare più a stare con gli uccelli nei boschi e nei campi”.
Al cimitero Père Lachaise di Parigi, anche qui la commozione stringe il cuore alla visione del bene e dell’amore che questo umile messaggero della natura e della carità e dell’arte seppe suscitare: l’amico pittore Daubigny, morto tre anni dopo, volle farsi seppellire accanto a lui e l’anno dopo anche Daumier volle riposare per sempre affianco.

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu