MICHELANGELO? PROBABILMENTE NO.

Un articolo di luglio sul New York Times (sotto il titolo In seguito, mentre me ne stavo seduto nel mio caffè preferito dei tre che si trovano nel borgo toscano dove trascorro una parte dell’anno, il mio sguardo fu attirato dalla riproduzione sulla prima pagina di questo giornale, di un disegno anch’esso attribuito a Michelangelo. Un’impressione di dèjà vu s’insinuò nei miei pensieri. Oltre al Cupido, non molti anni prima un modello in gesso per il David, e in un passato più lontano un San Giovannino in marmo, tutti e tre presunte opere michelangiolesche erano già finiti nella pattumiera della storia dell’arte. Più recentemente abbiamo assistito a una scoperta a rovescio: è stato accertato che un famoso dipinto di Leonardo da Vinci non è in realtà, nella sua versione attuale, di mano del maestro, ma di un qualche oscuro discepolo. Il disegno attuale (un’opera già finita e di dimensioni piuttosto grandi), presentano come un indubbio Michelangelo, sarà destinato alla stessa sorte?

Nel modo della scoperta è riconoscibile la sindrome del colpo di fulmine, che sembra esser stata all’opera in tutti i casi qui menzionati. Ma facciamo un passo indietro per esaminare il disegno (che conosco soltanto attraverso le riproduzioni) e valutare la situazione. Esso non rappresenta un nudo, e neppure uno studio per un dipinto o una scultura, né è un disegno per una tomba, un palazzo, una chiesa o una cupola, ma raffigura un candelabro, di cui non può certo dirsi che offra indizi irresistibili del linguaggio artistico del maestro. Naturalmente la potenza dell’appello a Michelangelo è tale che qualunque frammento di casta o scheggia di marmo a lui associati appaiono sufficienti a giustificare il clamore. E qualunque persona sana di mente festeggerebbe il fatto di ritrovarsi in possesso di una altro disegno del maestro, che è stato già valutato 12 milioni di dollari.

Compiere questo tipo di scoperta appartiene all’arte del conoscitore. Richiede un talento speciale, forse più innato che appreso, e in ogni generazione non emerge che un pugno di conoscitori. Nel corso degli ultimi cent’anni, l’esempio più celebrato è Bernard Berenson, i cui vasti lavori tengono tuttora il campo. Ma anche quando a proporla siano gli esperti illustri, un’attribuzione non è mai dimostrabile, sebbene il pubblico, dopo aver letto il giornale, si convinca che si, naturalmente, in una vecchia cassa è stato trovato un disegno di Michelangelo.

Le attribuzioni acquistano credito sulla base di analisi scientifiche e del consenso tra gli studiosi. L’attribuzione in questione sarebbe risultata più persuasiva se il suo autore avesse preparato una pubblicazione scientifica, corredata con tutti gli elementi di prova che fosse riuscito a mettere insieme (incluse esemplificazioni comparative), rinviando a un secondo momento l’annuncio pubblico. Le scoperte in campo medico vengono di regola comunicate prima nelle riviste professionali, e solo successivamente sono riprese dalla stampa popolare. A quanto pare, la presentazione scientifica è in corso di preparazione.

Quanto alla formazione di un consenso tra gli esperti, gli sforzi compiuti finora appaiono piuttosto tiepidi. Le persone che sono state consultate hanno stretti legami con il mondo dei musei, oppure possono essere considerate di manica larga quando è in ballo l’attribuzione di disegni. Voglio dire che sono inclini ad attribuire al maestro disegni che altri probabilmente classificherebbero . La posizione estrema, anatema agli occhi del mercato dell’arte, è quella di uno specialista tedesco dei disegni di Michelangelo, secondo il quale i disegni autenticamente michelangioleschi non sono più di qualche dozzina. Invece gli specialisti consultati nel caso in questione ritengono che ne esistano dieci volete tanti.

Inoltre, potrebbe essere qui all’opera un filo di orgoglio nazionale, giacche oltre a Sir Timothy Clifford, il direttore di un museo scozzese, anche i due eminenti esperti di Michelangelo consultati rappresentano quella che potemmo chiamare la . Naturalmente, alla fin fine la prova regina è il disegno stesso. Eseguito con gesso nero su carta color crema, l’alto e sottile oggetto raffigurato è disegnato con tocco leggero ma meticolosamente, e le proporzioni sembrano caratteristiche più di una sensibilità decorativa che della consueta monumentalità michelangiolesca. Non c’è praticamente nessun indizio dell’origine della luce (un elemento senza dubbio inconsueto per un maestro come Michelangelo), ed è perché il disegno è atipico, se non addirittura un caso unico in Michelangelo.

A me sembra un’opera sovraccarica di dettagli ornamentali, e i pochi elementi figurativi, come i cosiddetti serafini alati, sono di concezione talmente mediocre )se misurati con il linguaggio michelangiolesco che conosciamo), che è impossibile attribuire il disegno alla mano del maestro.

E’ lecito affermare che, come nel caso del Cupido, del modello in gesso per il David e del San Giovannino, collocare quest’oggetto nel corpus delle opere di Michelangelo significa abbassare indebitamente il rango della sua storica impresa artistica. Ciò che abbiamo davanti è uno spettacolare evento mediatico ma un mediocre disegno, probabilmente eseguito da un ignoto orefice o artigiano intorno al 1550. Ciò nondimeno, bisogna congratularsi con Sir Timothy per la sua tenacia nel rovistare in casse traboccanti di disegni trascurati dai suoi colleghi americani. Infatti, come dice l’adagio italiano, .

Autore: James H. Beck

Fonte:La Stampa