La querelle sull’obelisco dì Axum deve essere valutata alla luce dì una doppia considerazione: storico-artistica e diplomatica. La seconda merita precedenza visto che uno Stato serio, come non si dovrebbe dubitare sia l’Italia, ha firmato un trattato di pace con l’Etiopia, e inoltre il presidente del consiglio e il presidente della Repubblica del tempo si sono impegnati a rendere l’obelisco al paese a cui fu sottratto nel 1937, in un’odiosa guerra fascista che non onora la nostra recente storia. Vicenda che merita l’oblio e l’atto simbolico della riparazione. Che l’obelisco possa essere reso intatto senza subire danni nel corso dello smontaggio e del trasporto è cosa oggi realizzabile senza mettere a rischio l’opera stessa. Il ruolo che l’obelisco ha nel panorama romano della passeggiata archeologica è del tutto insignificante, ridotto com’è a cippo spartitraffico.Ciò detto rimane sul tappeto la questione di principio, per così dire storico-artistica; tutto cominciò molti anni fa alla conferenza mondiale dell’Unesco di Città del Messico quando il ministro della cultura ellenica Melina Mercuri chiese alla Gran Bretagna la restituzione delle metope del Partenone. La richiesta di questa donna intelligente aveva un valore altamente simbolico, ma nessuna ragione storica. E’ vero infatti che per alcuni secoli le potenze coloniali depredarono i Paesi che sviluppati non erano, sottraendo a essi testimonianze essenziali della loro civiltà. I " marbles" del Partenone sono tra le più alte espressioni della civiltà occidentale, uno dei massimi documenti-monumenti della perfezione a cui è giunta l’umana fabbrilità e sono greci quei marmi non certo inglesi: anche se nessuno dubita che le opere d’arte non hanno né patria né nazionalità. I marmi giunsero a Londra dopo l’azione di spoliazione di Lord Elgin che li acquistò dal sultano turco che governava Atene e così li salvò dalla distruzione visto che il Partenone fu ridotto a deposito di munizioni e per larga parte fu distrutto nel corso del conflitto con la Repubblica dì Venezia che bombardò la città e l’Acropoli. Le ragioni morali erano tutte dalla parte della Mercuri ma la storia era ed è contro di lei. Il British Museum ha il merito di aver preservato nei secoli quelle memorande vestigia per la storia della civiltà occidentale. Se il governo Blair decidesse di rendere le metope alla Grecia sarebbe il suo un atto di civiltà ma non c’è ragione – diplomatica e storica – che possa costringerlo a questa restituzione. Né, aggiungo, avrebbe senso che gli obelischi egizi che adornano alcune delle più importanti piazze di Roma fossero rese all’Egitto né l’intero Museo Egizio di Torino perché queste vestigia fanno parte della storia universale e conta poco risalire alle ragioni che le hanno condotte in Italia da millenni o da secoli. I musei di tutto il mondo sono l’esito di una politica di rapina nei confronti dei poveri e dei diseredati di tutto il mondo: non si pensa mai a cosa si è sottratto a India, Cina, civiltà precolombiane? Il sottosegretario Vittorio Sgarbi, che queste cose le sa, dovrebbe pertanto parlare subito col suo collega Mario Baccini che imprudentemente vorrebbe chiedere alla Francia la restituzione della Gioconda. Ci riderebbero in faccia! Infatti il ritratto di Leonardo fu acquistato, nelle mani del venerando re Francesco I, per la somma di quattromila ducati d’oro (una bella cifra) e dal 1584 nelle collezioni reali di Fontainebleau. Ogni opera d’arte ha una storia a sé e non ha senso alcuno né storico né diplomatico presumere di rifare i musei del mondo alla luce delle (talvolta labili) ragioni del maltolto. Altra questione è quella dei furti più o meno recenti: celeberrimo il caso del Cratere di Eufronio o di opere altrettanto rilevanti di cui soprattutto i musei americani hanno fatto incetta. Ma si sa che gli Stati Uniti per decenni hanno rifiutato di aderire a convenzioni internazionali volte a fermare il saccheggio e il furto in aree archeologiche, chiese, palazzi, a volte persino pubblici musei.Mi sembra abbastanza evidente che un nobile moto di coscienza ha avuto ed avrà scarsi effetti pratici perché si scontra con infinite ragioni; talune fondate, tal’altre diplomatiche e giuridiche che non facilmente potranno essere risolte. L’importante è che si vada affermando la tendenza che riconosce ad ogni civiltà il diritto all’esistenza e che contraddice la politica della rapina perseguita, ieri, dai Paesi ex coloniali, oggi dal grande mercato internazionale dell’arte. E’ su questo terreno che un’intesa globale tra le grandi potenze va perseguita, al fine di frenare lo spirito di rapina che non si è estinto nonostante l’età del colonialismo sia estinta.
Fonte:La Repubblica