L’obelisco di Axum in Etiopia è atteso da una grande buca piena di Buganvillee e Jacarande

Da un paio d’anni c’e’ una grande buca coperta da una leggera lamiera proprio al centro del parco delle steli di Axum, pieno di buganvillee e jacarande.

Attende il ritorno dell’obelisco, il piu’ bello tra le molte centinaia che nell’ex capitale imperiale, ed ancora capitale religiosa (non vi e’ consentito erigervi moschee, ad esempio) erano stati eretti: torri svettanti verso il cielo, via via piu’ sottili, con incise porte e finestre per scandire i vari passaggi. Urne funerarie: e piu’ era importante e ricca la famiglia, piu’ erano alte e massicce.

Invero, la grandissima maggioranza di tali steli giace in pezzi sul terreno: numerose, le piu’ eleganti, nel parco (dove per accedere occorre pagare un biglietto); ma la grande maggioranza, a grappoli, tutt’intorno. Axum e’ ormai un piccolo paese molto pietroso, come tutto il Tigrai, nel cui cuore sorge: non lontano – una cinquantina di chilometri – dal confine eritreo. Arrivarci in macchina dalla capitale Addis Abeba e’ molto difficile, richiede giorni di fuoristrada. Ci si va in aereo, una specie di autobus dei cieli, che fa almeno due o tre ‘fermate’ prima di raggiungerla.

Un museino, tante steli, tante regge avventurosamente datate a molte migliaia di anni fa di re e regine piu’ o meno mitici (ma di certo fu per lunghi secolo al centro di un impero che spaziava tra le attuali Etiopia, Eritrea e Yemen) e – soprattutto – molte chiese ‘sante’, le piu’ ‘sante’ per i cristiani ortodossi etiopici. In una delle quali (in realta’ una grande cappella) e’ conservata, invisibile se non agli occhi del suo custode – un monaco la cui carica dura a vita, chiamato Atang – l’Arca dell’Alleanza che nella tradizione il mitico figlio della regina di Saba Menelik rubo’ a suo padre Salomone, che ne era custode.

Paese piccolo e polveroso Axum, ma dove e’ evidente lo sforzo di tenere tutto il piu’ pulito ed ordinato possibile, seppur con i pochi mezzi a disposizione. E dove si respira gia’ da tempo un’aria di grande attesa turistica. Per ora di turisti non ne arrivano molti; ma anche per quei pochi ci sono nugoli di ragazzi pronti a vendere di tutto: da guide di terza mano, a pezzetti di terracotta ‘archeologici’, a monete antiche (vere), a moderne ricostruzioni ‘anticheggianti’ di vecchi pezzi dell’epoca d’oro della capitale.

E tutti vivono nell’attesa che l’obelisco portato via (in pezzi come era: non e’ vero che fu spezzato in tre per facilitarne il trasporto) dalle truppe italiane nel ’37, quelle stesse che costruirono la strada che di li’ porta verso il mar Rosso, ancora l’unica esistente, torni. Sperando che esso inneschi infine un vero e proprio volano di ripresa economica. Il che e’ tutto da verificare: per ora, di fatto, c’e’ un solo albergo degno di questo nome, ed alquanto spartano. Per non parlare dell’annesso ristorante. Comunque la restituzione dell’obelisco e’ vissuta con grandissima ansia ed attesa dall’Etiopia intera.

L’averla ritardata ormai per oltre 50 anni era considerato sempre piu’ un grave insulto. Anche se a molti era noto che quei ritardi erano spesso stati informalmente concordati, in cambio di questa o quell’opera civile (ponti, ospedali, scuole, acquedotti…): cio’, almeno, fino a che c’era il Negus. Ma i tempi erano poi cambiati. E ancora nella sua ultima intervista diffusa oggi, il premier ed uomo forte etiope Meles Zenawi, che sempre aveva parlato della mancata restituzione come di ”un’ombra grave nei pur buoni rapporti bilaterali con l’Italia” ribadiva: ”Tranne che ricorrere alle armi, faremo di tutto per riavere la stele”. Ed appena la scorsa settimana la neonata Unione Africana aveva emesso una ferma dichiarazione di appoggio all’Etiopia in tal senso.

E tra la stessa comunita’ italiana che – magari da generazioni – opera in Etiopia, spesso riunita al circolo ‘Juventus’, al centro di Addis Abeba, era da tempo ormai diffusa la convinzione che la restituzione fosse ineludibile. Anche perche’, sussurrava qualcuno a mezza voce, i commerci degli italiani cominciavano ad incontrare qualche difficolta’ burocratica che prima non veniva avvertita. Ed in molti, poi, suggerivano: ma si’, e non solo bisogna riportare l’obelisco, ma occorre farlo alla grande, magari impegnandoci unilateralmente a creare un vero grande parco archeologico ad Axum. Un’ipotesi che sembra tutt’altro che peregrina

Fonte:ANSA