La gioiosa bellezza del piacere fisico

L’attenzione e la raccolta di oggetti " osceni" ha costituito fin dagli inizi della riscoperta dell’Antico, nel Rinascimento, uno dei tratti caratteristici, anche se forse non tra i più rilevanti, del nuovo atteggiamento verso la classicità. La ripulsa medioevale delle immagini antiche era certamente stata anche la ripulsa cristiana, fondata sull’autorità dei Padri della Chiesa, della loro " impudicizia" ; a fronte di essa la nuova libertà umanistica si esprimeva anche nell’accettazione gioiosa della bellezza del piacere fisico e delle sue immagini. […] Sulla " libertà" rinascimentale cadde la dura condanna della Controriforma, che fece vittime illustri nei paesi cattolici, dai nudi michelangioleschi del Giudizio Universale alle statue antiche del Vaticano, chiuse da portelli di legno e poi escluse del tutto alla vista da Pio V. Le nuove norme del decoro da tenersi nelle esposizioni domestiche delle opere d’arte sono così sintetizzate da Giulio Mancini nelle sue Considerazioni sulla Pittura (1619): " [il padrone di casa faccia collocare le immagini] lascive, come Veneri, Marte, Tempi d’anno o donne ignude, nelle gallerie di giardini e comare terrene ritirate; le deità nelle comare più terrene, ma più comuni, e le cose lascive affatto si metteranno nei luoghi ritirati, e se fusse padre di fameglia, le terrà coperte, e solo alle volte farà scoprirle quando vi andrà con consorte o persona confidente e non scrupolosa" . Questi decorosi precetti vennero alquanto in disuso nel Settecento, messi da parte senza clamore dal frivolo mondo rocaille non meno che dal razionalismo illuministico europeo. Alexander Pope, nei suoi Moral Essays del 1731 (Epistola IV) parlava di " sporchi dei" (dirty Gods} a proposito delle statue antiche raccolte a Wilton House da Thomas Pembroke (1656-1733), ma una generazione più tardi le immagini delle dee e delle Menadi dei vasi, delle pitture e dei marmi antichi potevano far da pretesto per le discinte " Attitudes" di Emina Hart-Hamilton, esibite senza scandalo, anzi con un’aura di fascino culturale, nella casa dell’inviato inglese alla corte napoletana, il che contribuì, per la sua parte, a guadagnare a Napoli, nel bel mondo del Grand Tour, l’immagine di una città viva, moderna e di livello europeo. E quando il cavaliere Hamilton dovette scegliere un curatore per la pubblicazione della sua raccolta di antichità, la scelta di un antiquario come Pierre Hugues, sedicente barone d’Hancarville, non sarà pregiudicata dal pur grave episodio in cui questi incorse quando fu espulso da Napoli ( 1769) per avere pubblicato un’opera libertina sul " culto segreto delle dame romane" per Priapo, un erudito centone di passi " scabrosi" di autori antichi messi a commento di una raccolta di incisioni gemme erotiche, la maggior parte delle quali erano però di pura invenzione dell’autore. Non dovette mancare al d’Hancarville il sostegno, se non la collaborazione, del giovane amico consigliere dell’ambasciata francese a Napoli, quel Dominique-Vivant Denon che sarà il futuro creatore del Grand Louvre napoleonico, ma che per ora era noto solo come autore di un indiscreto ritratto a matita di Voltaire (Dejeuner a Femey) e di un quasi innocente romanzo libertino (Point de Lende-main, 1777). Nel suo soggiorno nella città partenopea (1777-1785), Denon si diede ai disegni di soggetto erotico in gran parte ispirati alle antichità vesuviane (tra cui il famoso e inaccessibile gruppo scultoreo di Pan e la capra), che poi inserirà nella sua raccolta dei Priapées. […] Fin da quando ebbero inizio gli scavi nelle città vesuviane, i diari dei lavori avevano registrato, con malcelato imbarazzo – cadeva in crisi il mito della grandezza morale dei Romani, modello di ogni regno e impero! – la scoperta di sempre più numerose cose oscenette, amuleti, lucerne, pitture, rilievi che rappresentavano, esplicitamente e spesso caricaturalmente, scene di attività sessuali. Esibite, dapprima, senza particolari censure ai visitatori del Museum Herculanense di Portici, esse da un lato segnavano una conferma di quella profonda differenza, già nota ai conoscitori della letteratura antica, che esisteva riguardo al sesso tra il punto di vista degli antichi e quello dei moderni, dall’altro cominciarono però a costituire presso il pubblico meno avveduto, il mito, tanto falso quanto, ahimè, perdurante, di una Pompei lasciva e corrotta, dedita alla più sordida impudicizia per cui da Dio meritò, come Sodoma, il castigo del fuoco. […]Così nel 1785 il pittore Philipp Hackert, consulente artistico del re Ferdinando IV, dispose che l’architetto Pompeo Schiantarelli, nel realizzare il progetto del nuovo Museo agli Studi a Napoli, tenesse conto del fatto che, nella sezione delle antichità già formanti il " Museo di Ercolano" , si sarebbero dovute prevedere alcune Stanze libere per riporvi il Priapismo ed altre cose, per cui vi vuole un Dispaccio particolare per vederle. In attesa che si realizzasse il nuovo Museo napoletano, il consiglio dello Hackert cominciò ad applicarsi a Portici e nel 1794 per la prima volta è documentata nel Museo Ercolanense l’esistenza di una sala, la XVIII, riservata alle antichità " oscene" , che poteva essere visitata solo a richiesta e con permesso speciale. La creazione tardiva, nella storia del museo di Portici, di questa sala mostra peraltro che una tale necessità venne a porsi solo nel clima più prudente seguito alla Rivoluzione Francese, ma, una volta creatasi la sala (il primo pezzo forte ne era il Pan e la capra), la neo istituita categoria dell’osceno archeologico finì per richiamare in essa anche oggetti prima liberamente esposti alla vita in altre sale, come il famoso tripode coi satiri itifallici (già esposto nella prima sala) e i tintinnabula, dalla seconda. Dopo il trasferimento, durato lunghi anni, del Museo da Portici a Palazzo degli Studi, la collezione dovette per qualche tempo essere nuovamente esposta, dimenticando il consiglio dell’Hackert, senza particolari restrizioni, se nel febbraio del 1819 il principe ereditario e poi futuro re Francesco I ( 1825-1830), in occasione di una visita al Museo con la moglie Maria Isabella e la figlia Luisa Carlotta, dovette " suggerire" che sarebbe stata cosa benfatta il chiudere tutti gli oggetti osceni, di qualunque materia essi fossero, in una stanza; alla quale stanza avessero poi unicamente ingresso le persone di matura età e di conosciuta morale. Allestita al primo piano del Museo, tra il gabinetto dei vetri e quello dei preziosi, la raccolta fu detta " Gabinetto degli oggetti osceni" e poi, meno esplicitamente, nel 1823, " riservati" . All’epoca della prima istituzione esso conteneva – come recita una guida del tempo – centodue infami monumenti della gentilesca licenza. L’episodio della visita del 1819 di Francesco I fu narrato pochi anni dopo dallo stesso direttore Arditi nel suo studio sul " Fascino" : mancava di questa stanza il Museo Regale Borbonico; e se io ne ordinai la costruttura, debbo confessare per amore del vero, che la idea mi fu suggerita da S.A.R. il duca di Calabria (oggi Augusto Sovrano) nella cui persona la Morale e la Religione hanno sempre capeggiato in particolare modo fra il coro delle altre Sue molte virtù. Venne egli a visitare…. […] La stessa riservatezza, unita alla fama della loro abbondanza e varietà, dei materiali " osceni" pompeiani, era però destinata a costituire uno dei richiami specifici del Museo napoletano. Nel 1822 erano ancora solo venti le richieste di visita pervenute al Ministro competente, ma già due anni dopo si era passati a trecento! Per alleviare la fatica agli scrivani ministeriali – non risultano mai permessi non accordati – si fecero addirittura stampare dei moduli di autorizzazione, che venivano rilasciati al nome del richiedente e spesso di una compagnia standard di quattro persone. Facevano a gara a chiedere l’autorizzazione i nobili europei, ultimi epigoni del Grand Tour, i diplomatici, gli archeologi, molti artisti; consultando gli archivi, i visitatori più numerosi risultano gli inglesi e i francesi, seguiti da tedeschi, americani, austriaci, russi, mentre, tutto sommato, sono pochi gli Italiani. […] Nel 1846 si scoprì un traffico clandestino di permessi falsi che i custodi del Museo vendevano ai turisti stranieri, facendoli arrivare fino ai loro alberghi, come la " Locanda della Vittoria" . Davanti a questo crescente interesse internazionale, montava l’irritazione dei napoletani più conservatori, ergentisi a difesa del buon nome del Regno napoletano. Ne è un divertente esempio la supplica di un anonimo sacerdote presentata al Re nel maggio del 1827 con la richiesta di sopprimere il Gabinetto. Un suddito fedele di Vostra Maestà, qual cristiano religioso, che guarda in Vostra Maestà il sostegno della Nostra Santissima Religione, prostrato al Regio Trono, vi manifesta cosa che fa ergere le chiome dall’orrore e dallo spavento […]. Sire, l’oggetto delle mie preci è il seguente. Non ha guari che essendomi portato nel Vostro Real Museo, per visitar ivi i capi d’opera che Vostra Maestà possiede, m’imbattei in una compagnia di forestieri, che curiosava la stanza riservata delle cose oscene; colsi il momento per mischiarmi tra i suddetti forestieri. Entrai. Iddio immortale! Vidi spettacolo orrendo! Degli oggetti che erano impegnati nel coito, così immodestamente che a parlarne solo, per farne descrizione, il sangue mi si gela nelle vene. Là vidi una donna sopragiacente un uomo, ambo ignudi; qui una capra, che tien dietro ad un’altra, col membro erto, e nell’attitudine di coitare; in un’altra parte un uomo su di un altro, che commette il nefando vizio della sodomia; sparsi varia priapi, ed altri oggetti che mi fanno gelare la mano e il core. […] Quella stanza è l’Inferno, corrompe la morale delle persone più caste, più religiose e sante, alterandosi la fantasia di chicchessia con figure così orrorose, ed immodeste. Difatti la compagnia era inglese. Ed io, che ho imparato la lingua di essi, intesi che dicean a chiare note: questo il Re Cattolico che si vanta di sana morale? Questo il ricovero de’ cattolici romani? Vergogna! Solo a Napoli si riveggono queste cose infami! Considerate, o Sire, il mio dispetto, nel sentire tali rimbrotti ad una nazione, che mira in Vostra Maestà il più santo cristiano. Sire, chi vi scrive è un sacerdote, che tocca un Dio ogni mattina, e che conosce benissimo che i sacri canoni fulminano una scomunica solenne contro i detentori di tali pestiferi oggetti. Io mi aspetto che Vostra Maestà ordini immediatamente la soppressione di tali detestandi oggetti senza potersene avere più memoria. Io vi raccomando a Dio nel Santo sacrificio della Messa, che vi ispiri tale giustissima soppressione, e che, seguita questa, ve ne dia merito, aprendovi le porte del Paradiso. […]

Autore: Stefano de Caro

Fonte:Catalogo