LA FESTA AMARA DELL&#8217UNESCO: &#8220Troppi capolavori in pericolo&#8221.

Accedere alla lista non è facile, avere il marchio che garantisce protezione, tutela e forse vita eterna non è semplice. Sono molti a chiedere il riconoscimento di bene esclusivo, dal valore unico, qualcosa di cui l’umanità non può proprio fare a meno.

Questo è ciò che unisce la Kasbah algerina e il parco di Iguazù in Argentina, il centro storico di Vienna e la barriera corallina in Australia, le Cinque Terre e Petra in Giordania, la Torre di Londra e il parco nazionale del Kilimanjaro in Tanzania. Ma anche Auschwitz e la Grande Muraglia. Sono 730 i siti considerati patrimonio dell’umanità, una lista che si aggiorna ogni anno e domani, con una conferenza a Venezia, l’Unesco celebra i trent’anni della convenzione creata con lo scopo di preservare luoghi che parlano al cuore dei popoli.

“Iscriversi è un procedimento lungo e costoso”, dice Francesco Bandarin, il direttore del “World heritage centre” dell’Unesco, e spiega con grande garbo e determinazione che il suo lavoro consiste nel lottare contro “le forze della distruzione”. “Sono gli Stati a chiedere il riconoscimento, occorre preparare un dossier dimostrando i valori del sito e impegnandosi a mantenerlo e preservarlo. La domanda viene valutata da due commissioni; passato il primo ostacolo la richiesta viene studiata da un organismo intergovernativo fatto da 21 stati eletti a turno con le loro delegazioni di tecnici. Una volta ammessa nella lista il sito è sotto la protezione dell’Unesco. Facciamo controlli ogni sei anni”.

Avere il “marchio del paradiso” implica onori e doveri: essere nella lista è un fatto di prestigio che ha un’immediata conseguenza per il turismo ma significa anche prendersi un impegno che poi non sempre i governi assolvono”. “Dobbiamo sempre lottare. A Machu Picchu siamo riusciti a impedire la costruzione di una funivia per turisti, abbiamo bloccato un’autostrada nell’area delle Piramidi in Egitto, impedito che una strada arrivasse nella foresta di Iguazù in Brasile e che una torre venisse costruita nel centro storico di Vienna”.

Storie di successi e di insuccessi perché c’è anche una lista dei siti in pericolo, di luoghi che nonostante la protezione ufficiale vengono devastati dalle guerre, stritolati dalla speculazione. A Katmandu i monumenti non sono distrutti ma assediati, soffocati dalla proliferazione urbanistica. Molti luoghi storici cinesi sono dati in pasto al turismo. Nelle Eolie l’Unesco ha minacciato di ritirare il marchio di luogo protetto se continua l’attività nelle cave di pietra pomice”.

“Nel corso degli anni il concetto di sito si è evoluto, la nozione di monumento era troppo europea, abbiamo introdotto il criterio di “paesaggio culturale”: tali sono alcuni luoghi degli aborigeni che hanno una forte pregnanza mitologica”. Luoghi dove pulsa il cuore primitivo della natura, luoghi dove si sedimenta la storia, luoghi dello spirito. L’ingegner Giorgio Crosi, tra i curatori del restauro del Duomo di Assisi e di Angkor, in Cambogia, dice: “Per essere iscritti nella lista c’è la fila, è un fatto di prestigio, c’è un ritorno d’immagine e anche dei vantaggi: l’Unesco, anche se con fondi ancora insufficienti, aiuta; non è molto ma è un segnale, in un mondo dove niente è sicuro è già qualcosa.”.

Autore: Marina Cavallieri

Fonte:La Repubblica