La dimensione sistemica genera un effetto d’immagine spendibile sui mercati internazionali. “Culture Counts” è il titolo evocativo della conferenza internazionale organizzata lo scorso ottobre dalla World Bank a Firenze: la cultura conta non solo per le sue qualità tradizionali ma anche come risorsa economica per uno sviluppo sostenibile del reddito, dell’occupazione e del benessere.Per quanto le cifre meritino una verifica accanita nel 1995 i posti di lavoro nel settore culturale dell’Unione Europea erano circa 2.5 milioni, che diventano quasi 3.5 milioni, un po’ più del 2% dell’intera occupazione europea, se si includono le arti figurative e l’artigianato. Secondo un’indagine della Commissione di Bruxelles (European Commission, Commission Staff Workim Puper, Culturè. The cultural industries and employment, 14 maggio 1998), l’Italia avrebbe creato nel settore culturale circa 495 mila posti di lavoro, la Gran Bretagna 511 mila, la Francia 750 mila e la Germania 1 milione. La produzione di cultura per le sue caratteristiche economiche (bassa intensità di capitale e alta componente di attività intellettuale), per i suoi aspetti sociali (forte contenuto simbolico e di identità nazionale e comunitaria) e per le sue evidenti ricadute positive su altri settori dell’economia, quali ad esempio il turismo e la protezione ambientale, appare di grandissimo interesse anche per la crescila economica dei paesi poveri e in via di sviluppo.In particolare, i mercati delle arti, lo spettacolo dal vivo, i musei e i servizi del patrimonio culturale e ambientale, ma anche il settore dei beni fondati sul design si articolano in filiere produttive che diffondono e “mettono a sistema” esperienze comuni e innovative in campo estetico, legale, distributivo, tecnologico e formativo. Tali attività sono, cioè, valorizzate quando assumono la forma e sono governate nella logica dei distretti industriali. A questo proposito l’Italia è il paese che ha maggiormente dimostrato, nella pratica e nella riflessione teorica, la validità della via allo sviluppo attraverso la crescita di una piccola e media impresa fortemente integrata nel territorio e nella comunità locale. I distretti famosi, come quelli per la produzione di montature per occhiali nel Cadere, di calzature sportive a Montebelluna o di tessuti e abbigliamento a Prato, e quelli meno noti legati alla protezione di prodotti del territorio, come quelli delle Langhe o del Chianti, costituiscono un modello ideale anche per la produzione di cultura.Vediamo, in sintesi, le principali caratteristiche e potenzialità di tre modelli di distretto: il distretto culturale industriale, il distretto culturale istituzionale e il distretto culturale artistico e museale. Muovendosi dal primo al terzo modello aumenta la pregnanza e salienza culturale del distretto.Il distretto culturale industrialeIl distretto industriale è la formula che ha portato al successo la piccola e media impresa della Terza Italia, per usare una definizione fortunata. Si tratta di una strategia di sviluppo che si è avvalsa di elementi noti e imitati in tutto il mondo:- una comunità locale coesa nelle tradizioni culturali e nell’accumulazione del sapere tecnico e di capitale sociale;- una struttura familiare capace di trasformare l’impegno nella produzione agricola in lavoro industriale;- accumulazione di risparmio e gestione del credito in forme cooperative, solidali e fortemente imprenditive;- forte apertura internazionale;- una sequenza di generazioni che nel volgere di pochi anni ha saputo appropriarsi di tecniche e formazione manageriale;- presenza di risorse pubbliche di sostegno, lungo tutta la filiera di creazione del valore;- infine, la capacita di fare distretto, di diventare sistema locale, e di produrre esternalità economiche nel campo dell’innovazione tecnologica, dell’organizzazione del lavoro, della creazione di nuovi prodotti, della flessibilità produttiva e delle modalità di distribuzione.Tradotti in campo culturale i distretti industriali e il sistema delle piccole imprese possono essere un modello utile per la valorizzazione di quelle realtà (negli importanti settori delle arti applicate e dell’artigianato trasformano tradizioni culturali in beni e prodotti fondati sul design) che traducono creatività in cultura del design industriale, dal settore tessile e abbigliamento, alla produzione di una vastissima gamma di oggetti pratici e funzionali per il lavoro, la vita domestica e il tempo libero.Ma… c’è un ma. La riproducibilità e la replica della logica del distretto culturale di tipo industriale spontaneo è condizionata da un contesto socio-economico molto specifico e da tempi di attuazione rallentati da una fase di incubazione storica, lunga e spesso dolorosa. In altre parole siamo in presenza di un processo di lunga durata.Il distretto culturale istituzionale Una seconda formula per la costruzione di un distretto si fonda sulla scelta politico-collettiva di un sistema di istituzioni formali, ossia sulla assegnazione dei diritti sulla proprietà intellettuale e sui marchi.Anche in questo ambito l’esperienza italiana è significativa e il risultato, per quanto caratterizzato da una forte componente industriale, presenta caratteri culturali ancora più marcati ed evidenti. In regioni come il Piemonte e la Toscana lo sviluppo economico di certe aree ha una data di inizio: quella della legge che assegna i diritti di proprietà sui prodotti della tradizione locale. Il diritto alla denominazione di origine, come il copyright, la tutela di un marchio o di un particolare design hanno conseguenze virtuose particolarmente interessanti:- creando un privilegio monopolistico, consentono un aumento dei prezzi e in definitiva dei redditi, che contribuisce ad una sostanziale accumulazione di capitale;- la tutela giuridica, di fatto, genera gli incentivi corretti affinché i produttori trovino il loro tornaconto nell’investimento e valorizzazione di prodotti che una lunga tradizione culturale ha selezionato;- la tutela giuridica e gli incentivi economici portano ad un maggiore controllo dei processi produttivi e distributivi con un notevole aumento della qualità dei prodotti.Tra gli aspetti culturali spiccano la valorizzazione di fiere e festival legati alle tradizioni culturali; il recupero del patrimonio storico di castelli e cascine; l’uso del paesaggio come risorsa economica; la diffusione di ecomusei, centri culturali ed enoteche; la creazione di parchi letteraria e artistica; lo sviluppo dell’industria turistico-alberghiera; l’istituzione di una università internazionale del gusto che fa rivivere cucina tipica e antichi mestieri.Analogo ragionamento può applicarsi ai distretti culturali istituzionali che si fondano sullo sfruttamento economico delle tradizioni più spiccatamente artistiche e popolari: come in campo musicale, delle arti figurative e plastiche e del disegno industriale.Il distretto culturale artistico e musealeLa forma più esplicita di distretto culturale, che varrebbe la pena di approfondire, è quella costruita attorno ad una rete museale o ad una comunità artistica. I distretti museali sono di norma localizzati nei centri storici e creano effetti di sistema capaci di attrarre visitatori e turisti. Anche qui l’incipit è legato ad una scelta politico-amministrativa di recupero e valorizzazione del patrimonio storico e artistico di una città.La loro realizzazione aumenta la domanda di servizi alberghieri e la spesa turistica si allarga a numerose attività di servizio e artigianali. La crescita dei visitatori, attratti dalla dimensione sistemica, ma anche dai vantaggi di percorsi integrati e dall’offerta di servizi collaterali, è un esito ricercato da molti piani di sviluppo locali, perché da un lato crea un contesto di attenzione diffuso per la produzione di cultura e dall’altro genera un effetto di immagine spendibile sui mercati internazionali del turismo culturale: un vero e proprio investimento in reputazione della città.Le tre forme di distretto culturale sono, ovviamente, complementari e compatibili. Nel loro insieme indicano una potenziale differenziazione dei processi di sviluppo economico e di crescita locale. * Professore di Politica economica e Economia dei beni culturali all’Università di Torino
Autore: Walter Santagata *
Fonte:Il Giornale dell’Arte