Nato ai tempi dei romani come attività per promuovere l’arte e la cultura da parte della classe più abbiente tra la popolazione, il mecenatismo nel tempo ha assunto forme e destinazioni diverse. Se l’attività di filantropia alle sue origini si identificava del tutto con il suo artefice, Gaio Cilnio Mecenate, l’amico e consigliere dell’imperatore Augusto da cui questo settore prende il nome, ad oggi risulta difficile identificare le personalità che si celano dietro alle grandi aziende che si occupano di “fare del bene”.
Nella voce filantropi italiani di Wikipedia sono molti i nomi di uomini e donne illustri, componenti di quella nobiltà della fine del secolo scorso che decisero di devolvere parte del loro patrimonio a cause sociali, impegnandosi spesso anche in prima persona nell’apportare il proprio contributo in progetti di solidarietà. Nel corso degli anni al cambiamento della società civile è coincisa una trasformazione ed evoluzione anche del “modus operandi” dei mecenati stessi in funzione dei progetti da realizzare.
La funzione filantropica della donazione di denaro e dell’impegno sociale ad oggi non viene esercitato più dal singolo. L’imprenditore che decide di investire in cause sociali e culturali spesso, infatti, si cela dietro le attività portate avanti dalla propria azienda, che diviene l’autentica protagonista dell’arte del mecenatismo.
Chi sono quindi i mecenati del nuovo millennio? Difficile a dirsi e ancora più complesso è delineare la personalità dei magnati della filantropia odierna. Ad oggi l’operato si nasconde dietro un’anonimità coadiuvata dalla nascita di enti e fondazioni che si prendono l’onere di fare le veci di più di un impresario per raccogliere fondi.
Alcune di queste fondazioni sono riconducibili al proprio fondatore perché portano il nome dell’imprenditore illuminato che con il suo finanziamento ne ha premesso la nascita e la realizzazione. Esempio tra tutti è la fondazione Fendi, a cui vertici, in qualità di presidente onorario risiede Carla Fendi, che sino al 2008 era a capo della nota griffe di moda e che ha il merito di aver restaurato il teatro Caio Melisso a Spoleto. Oppure l’albergatore filantropo, Filippo Saccamanne, conosciuto a Milano, la città dove gestisce da 26 anni la catena degli hotel Best Western Italia, per aver dotato il suo hotel di un defibrillatore. Nel campo del sociale inoltre il patron della nota catena alberghiera è il presidente della croce Bianca della sua città natale, Brescia, a cui ha da poco donato un ambulanza per le operazioni più urgenti ed immediate. Lasciando il campo delle grandi marche si scoprono realtà minori ma centrali per lo sviluppo della zona in cui sono nate, come la Fondazione Isabella Seragnoli, che nella città di Bologna è divenuta un punto di riferimento per la ricerca e l’applicazione delle cure palliative in favore dei malati di cancro.
Rare eccezioni in una realtà come quella italiana in cui non si ritrovano grandi nomi, passati alla storia ed associati all’idea di filantropia prima ancora che alla propria azienda come Rockfeller e Bill Gates negli Stati Uniti.
In Italia oltre alle fondazioni bancarie e alle donazioni private, si è diffusa con forza la filantropia comunitaria: diverse persone comuni, privati, industriali raccolti in un’unica comunità locale indipendentemente tra loro versano ad una organizzazione filantropica presente nel territorio una parte dei loro finanziamenti che poi verranno reinvestiti per una buona causa. Una filantropia della comunità dove tutti possono sentirsi dei piccoli mecenati, mantenendo al contempo il controllo delle erogazioni. Una tra queste, la prima a nascere nel nostro paese, è quella della Fondazione Cariplo che, pur essendo autonoma ha ricevuto dalla fondazione bancaria il capitale iniziale. Nel settore della filantropia comunitaria, l’Italia con le sue trenta fondazioni si attesta al terzo posto a livello mondiale, dietro Stati Uniti e Canada.
Grande o piccola che sia, il fine è donare senza scopi di lucro e consentire a tutti di poter essere partecipe dei progetti di riqualificazione in ambito sociale e culturale. Dal momento che la dicitura “senza scopi di lucro” rientra nella definizione stessa dell’attività della filantropia, questa caratteristica dovrebbe essere il discrimine per discernere determinate donazioni che si trasformano in un vero e proprio diritto di esclusiva, soprattutto nel campo della cultura.
In quanti infatti considerano realmente l’imprenditore della Tod’s, Diego della Valle, un mecenate per i soldi che investirà per il restauro del Colosseo, dal momento che le spese verranno in qualche ricompensate dai diritti che con l’operazione l’imprenditore acquisirà sul celebre monumento romano?
Fonte: www.tafter.it
Autore: Fabrizia Memo
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