Dopo esser stata esposta alla Galleria dell’Accademia di Firenze nella mostra del 2000 dedicata a Giotto, la grande (5 metri di altezza e 450 kg di peso) Croce della chiesa di Ognissanti, di cui fino ad allora si era discussa la paternità, venne riconosciuta opera di Giotto maturo (1310-15), con la collaborazione della bottega nel Cristo benedicente.
Trasportata all’Opificio ne fu avviato il restauro condotto, sotto la direzione di Marco Ciatti e Cecilia Frosinini, da Paola Bracco e Ottavio Ciappi per la parte pittorica, Anne Marie Hilling, Ciro Castelli, Mauro Parri e Andrea Santacesaria per il supporto ligneo (cfr. n. 262, feb. ’07, p. 49).
Rispetto alla Croce di Santa Maria Novella, opera giovanile cui la Croce di Ognissanti viene assimilata, quest’ultima presenta due tele sovrapposte solo nella parte piana e non in quelle a rilievo.
Giotto aveva infatti canonizzato la complessa procedura della pittura fiorentina del tempo: solido supporto in legno di pioppo, strati preparatori complessi composti da tela di lino, gesso e colla, strati pittorici sottili a tempera a uovo, ricercati effetti decorativi nelle dorature a guazzo e a missione.
Il disegno della Croce di Ognissanti appare molto studiato, talvolta con incisioni e grandi ombreggiature che creano il chiaroscuro, ancor prima dell’applicazione del colore, dando volume e plasticità alle figure. È emerso un pentimento che riguarda l’aureola di Gesù, dapprima concepita più grande e poi ridotta: un «capriccio» che comportò la stesura di un nuovo pezzo di tela sul supporto ligneo. Ciò ha portato a interrogarsi anche sul progetto esecutivo generale che probabilmente doveva essere molto dettagliato e far uso di cartoni o patroni sagomati, come ha approfondito Cecilia Frosinini in uno dei saggi nel volume edito da Edifir in occasione del restauro: L’officina di Giotto. Il restauro della Croce di Ognissanti a cura di Marco Ciatti.
Benché la metodologia dell’Opificio imponga un approccio trattenuto e rispettoso, che non deve mai far apparire l’opera «troppo pulita», a fine restauro la maestosa Croce rivela la finezza di esecuzione (basti guardare la sottigliezza delle pennellate nell’addome di Cristo), lo splendore della cromia (ottenuto con una pulitura delicatissima essendovi, sotto la pellicola pittorica, una preparazione molto sensibile all’umidità che ha richiesto la messa a punto di formulazioni specifiche), e l’effetto straordinario dei vetri intorno all’aureola.
Avviato nel 2002 ma senza sponsor, il restauro dal 2004 ha avuto come mecenate attento e appassionato Alvise di Canossa, presidente di Arterìa, che ne ha seguito anche il ricollocamento curato da Anna Bisceglia della Soprintendenza fiorentina: non nel luogo originario sul tramezzo, ma nella cappella sinistra del transetto, in una suggestiva elevazione.
Autore: Laura Lombardi
Fonte:Il Giornale dell’Arte on line