En plein air le sculture nel parco della Mandria . Scultura Internazionale alla Mandria

Potreste non farci caso e passare oltre, inconsapevoli di aver perso un’emozione. Sul sentiero che conduce alla Villa dei Laghi, della Mandria, il parco alla porte di Torino, dove è allestita la mostra Scultura Internazionale, proprio al centro, emergono due piante … di piedi. Lui è Antony Gormley. Ha riprodotto una copia del proprio corpo in ferro e l’ha fatto interrare, escluse le piante dei piedi. «Ci pensavo da 15 anni – annuncia – alla fine ho deciso di metterla proprio qui, alla Mandria, con le ombre che fanno gli alberi e la strada… che attraversa la foresta …serpeggia e non si sa dove porti». Viaggiatore con la testa all’ingiù, ovvero un’avventura al rovescio sotto la crosta della terra.

Incomincia di qui la visita alla mostra allestita dalla Regione Piemonte in collaborazione con l’Associazione Piemontese Arte che rimane aperta fino al 27 ottobre (sabato e domenica dalle 11 alle 19, ingresso gratuito).

Ventinove artisti sono stati scelti dal curatore, Victor de Circasia, per una sfida fra arte e natura, in questo angolo sconosciuto della Mandria.

Un opuscolo aiuta il visitatore a organizzarsi il percorso. E’ possibile salutare la balena di Julia Bornefeld, affondata nel prato o interrogare Unfplanze (Luisa Valentini) un essere inquietante, una pianta da cui avrebbe avuto origine la vita, simile a un gigantesco spermatozoo. Intorno la terra è smossa. Non fa parte dell’opera d’arte: sono i cinghiali che vengono qui a pascolare. Preferiscono Unfplanze ai cioccolatini di Gudmundsson: in granito rosso, nero, sale e pepe, viene voglia di toccarli (purtroppo è vietato), quasi di assaggiarli. «Quando una scultura non piace – spiega l’artista islandese – si dice che sembra un cioccolatino. Io ho voluto dar dignità a questi dolcetti prelibati. Le mie sculture sono cioccolatini, appunto». L’ironia è un gioco a cui partecipa facilmente anche Pascal Bernier che fra cespugli di rododendri nasconde un elefantino fasciato (lo ha intitolato «Incidente di caccia») e non resiste all’impulso di parlarci delle devianze sessuali dei fiori proponendo una rosa sadomaso.

L’arte offre messaggi per riflettere. Pesanti e dolorosi, come la gabbia del portoghese Rui Chafes che pende minacciosa da un albero secolare o leggeri e gioiosi come la gabbia di Mainolfi: ha le porte spalancate, un segno di speranza su cui si appoggiano indifferenti gli uccelli di fronte al laghetto dove fluttuano, le nifee di Enrica Borghi. Fatte di bottiglie di plastica colorate di rosa, arancio e azzurro, sembrano estraniarsi dall’imperturbabile concerto verde e bruno che le circonda e inoltrasi verso un ineluttabile destino.

Altre sculture, invece, si offrono con prepotenza. Impossibile non soffermarsi a decifrare i segni della Rotativa di Babilonia di Arnaldo Pomodoro. O a capire la trasparenza del monumento equestre di Zadok Ben-David: quel cavallo, ridotto all’osso e sistemato su un basamento pesantissimo, si muove se ottiene attenzione. Come non è difficile passeggiare intorno al Luogo della Memoria (Riccardo Cordero) per seguire le contorsioni di una linea d’acciaio che dialoga con l’ambiente.

Altre sculture parlano, come la virgola d’acciaio (William Pye) su cui l’acqua disegna sussurri o lo specchio di Anish Kapoor che riflette e amplifica le parole degli alberi. E altre, pur mimetizzate, anche perchè fatte del materiale più comune, la pietra, lanciano moniti silenti: una traccia di pneumatico (Eredi Bruncusi) è il tempo che saremo, la barca dell’Ultimo viaggio, di André Raboud, la mistica del nostro presente. Ci sono anche artisti giovani come la riminese Maria Luisa Tadei: con la sua Incarnazione propone una sorta di occhio che scruta il verde del parco.

Autore: Irene Cabiati

Fonte:La Stampa