Cristina ACIDINI LUCHINAT Michelangelo scultore.

Così come i restauri della Cappella Sistina hanno imposto un radicale ripensamento dell’opera pittorica di Michelangelo, la massa di nuove ricerche dedicate negli ultimi vent’anni alla scultura del maestro ha evidenziato la necessità di una nuova monografia sulla sua produzione scultorea.
Impresa, questa, da non prendere alla leggera, sia per la vastità della bibliografia esistente sia, anche, perché implica che ci si addentri in un campo minato di nuove attribuzioni più o meno controverse.
La nuova monografia di Cristina Acidini Luchinat, Michelangelo scultore (Federico Motta Editore), spaziando tra una varietà di temi, affronta entrambi i problemi con grande padronanza della materia e un equilibrio nell’impostazione davvero rimarchevole.
Esemplare è il lavoro svolto dalla Acidini per incorporare la mole di studi emersa nell’ultimo ventennio, che comprende un gran numero di monografie su singole opere.
Il suo resoconto, stringato e dialettico, veleggia agile nel vasto pelago di questa letteratura, come una goletta in mezzo a delle corazzate. La narrazione principale del libro si completa con un sintetico catalogo di 46 opere accettate e di possibili attribuzioni.
Come in molti altri suoi lavori, la Acidini dimostra, ancora una volta, una magistrale capacità di distillare da una vasta letteratura gli elementi essenziali e di saper valutare le prove con equilibrio e originalità.
L’autrice, per forza di cose, ha evitato di appesantire la narrazione con una zavorra bibliografica eccessiva; con tutto ciò, non esiste, a oggi, un libro migliore per i lettori che vogliano disporre di un resoconto aggiornato sullo stato della ricerca.
Scrittrice elegante e colta, nella migliore tradizione della storia dell’arte italiana, la Acidini possiede un senso infallibile del mot juste; ma, seppur caratterizzata da uno stile elevato, la sua prosa è sempre incisiva, lucida e leggibilissima. Uno dei pregi di questa monografia è la minuziosa disamina di tutte le nuove attribuzioni ragionevolmente plausibili proposte dalla letteratura recente, e financo della non plausibile, ma molto strombazzata, ipotesi che Michelangelo abbia scolpito, e poi, in segreto, seppellito, il «Laocoonte» del Vaticano (teoria che la Acidini respinge).
L’autrice argomenta, senza dilungarsi, la paternità di Michelangelo del «Fanciullo arciere» di New York e del «Crocifisso» di Santo Spirito, apre la questione del piccolo «Crocifisso» ligneo di collezione privata torinese, attribuito al maestro nel 2004, in concomitanza con la mostra al Museo Horne.
Si esprime poi a favore della prima versione del «Cristo risorto» di Santa Maria sopra Minerva, identificata di recente a Bassano Romano; benché completata da mani ignote, essa mostra ancora la venatura nera sul volto che indusse Michelangelo ad abbandonarla.
Le fotografie forniscono un solido sostegno visivo all’autrice nel suo controbattere la recente attribuzione al solo Michelangelo dell’effigie papale della Tomba di Giulio, opera nella quale, a suo avviso, le qualità formali suggeriscono invece una collaborazione tra il Maestro e un assistente (forse Tommaso Boscoli).

L’articolo integrale è disponibile nell’edizione stampata de Il Giornale dell’Arte, marzo 2007. 
  

Autore: Louis A. Waldman

Fonte:Il Giornale dell’Arte on line